Non lo posso nascondere, se dicessi che Kazantip per anni non è stata un’ossessione sarei un bugiardo fatto e finito. E’ sempre stato un traguardo quasi invisibile, che passo dopo passo è diventato man mano maggiormente intravedibile fino a che non c’è stata l’occasione di varcarlo. Il timore di andare all’avventura si è fatto abbastanza sentire, ma come avrei potuto tirarmi indietro?
Le settimane che hanno preceduto la mia partenza sono state un unico pensiero fisso, un continuo fantasticare senza sosta. Per mia precisa volontà non ho mai voluto vedere nessun filmato riguardo al lato musicale per godermi al 100% la sorpresa. Avevo idealizzato un certo tipo di festa dai racconti di chi ci era stato, un po’ come quando si preferisce leggere un libro e non vederne la trasposizione cinematografica. Perché diciamocelo, la fantasia è ciò che distingue e rende emozionante la nostra esistenza. Mentre scrivo queste righe sono sul volo che mi riporta a casa, dopo un’autentica Odissea tra strade dissestate ed aeroporti sperduti nel nulla. Mi casca la testa mentre scrivo e sto già sognando il letto, ma credo non ci sia modo migliore per ovviare la stanchezza riportando alla mente quelli che sono stati i giorni appena trascorsi.
Partiamo proprio dal viaggio, che francamente è stato più un incubo che (come invece mi aspettavo) il piacere di scoprire tanti posti nuovi, alcuni radicalmente diversi da quelli a cui ero abituato. Non sono mai riuscito a prendere un volo in orario (alla faccia del fatto che i voli di linea offrono un servizio migliore) e addirittura ho dovuto rinunciare alla prima notte di festival perché, una volta persa la coincidenza per Simferopol a causa del ritardo del volo precedente, ho dovuto barattare le meraviglie di Kazantip con una stanza di hotel a Mosca con tanto di polizia a fare la guardia alla porta perché non avevo il visto per rimanere in Russia. Insomma, quando si dice cominciare col piede giusto. Un’altra cosa che mi ha sconvolto è che nessuno o quasi in Ucraina (dipendenti di aeroporti internazionali compresi) parla una mezza parola di inglese. Vi assicuro che dopo un po’ diventa frustrante non capire mai che cosa succeda intorno a se. A tratti avrei avuto voglia di urlare con tutta la mia forza, ma alla fine sono esperienze come questa che temprano il carattere, almeno così dicono. Esempio lampante di questo aspetto è stato il volo surreale Mosca-Simferopol nel quale sono stato “preso in ostaggio” da un simpatico ingegnere ucraino, ubriaco fradicio, che non parlava una parola di inglese e che ha continuato ad offrirmi per due ore consecutive mignon di qualsiasi super alcolico il signore abbia concepito. Ok che sei simpatico, ok che paghi tu, ma il Jameson alle 8 del mattino no dai… Ahimè era più facile bere con lui che fargli capire che non lo volevo. Salute! Non da meno è stato il tragitto aeroporto-festival: 2 ore di strade tremende, sotto un sole cocente e con sorpassi che manco in Tangenziale Est a Milano la mattina alle 9. Il rally di Crimea!
Una volta arrivati a Popovka lo scenario era quello di un’oasi nel deserto. Nel mezzo del nulla svettava già in lontananza la struttura del festival, intorno ad essa si ergeva una piccola distesa di ville e villette, per altro molto pittoresche. A completare il quadro, la quasi totale assenza di strade asfaltate e un costante polverone alzato dalle macchine che, con transito quasi costante, vagavano per le strette vie della “città”. Il sole picchiava discretamente sulla testa ma non al livello quasi tropicale della mia Milano o di Roma, perciò da questo punto di vista tutto ok. Dopo una cert’ora il problema non si poneva neanche più visto che iniziava a tirare un ventaccio gelido che ci ha quasi sempre costretti alla manica lunga. Le stanze riservate alla stampa erano confortevoli e non troppo lontane dall’evento. Appena arrivati mi sono accorto che ad ogni porta o finestra c’era una zanzariera. Eppure non mi sembrava il posto da zanzare. Vi dico solo che l’unica volta che per sbaglio ne ho lasciata una aperta per 5 minuti sembrava di stare in Jumanji. L’acqua corrente, e di conseguenza la doccia, vista l’evidente sovrappopolazione del periodo, andava un po’ quando le pareva e nella maggior parte dei casi era fredda come una visita quindicinale di un padre divorziato. Un paio di volte mi son ritrovato tutto insaponato a fare la danza della pioggia in tutte le lingue. A proposito: si, è vero, la carta igienica non ha il classico buco in mezzo, le leggende erano vere!
Ok, ora che abbiamo snocciolato tutti i temi marginali, veniamo al succo: la festa. Una volta varcata la soglia del festival era tangibile fin da subito che qualcosa di diverso pervadeva l’aria. Gente vestita con colori sgargianti, con costumi geniali o semplicemente nudi. C’era di tutto, sembrava di essere stati teletrasportati ad Ibiza negli anni ’90. Ragazze bellissime e mezze nude in ogni dove, purtroppo quasi totalmente accompagnate, ma pur sempre un bel vedere. La parte giornaliera si viveva così, tra spiaggia e mani in aria negli stage più vicini al mare, che sfortunatamente era pressochè impraticabile. Bellissimo da vedere, peccato che fosse ghiacciato come un lago di montagna e con più meduse che granelli di sabbia. I più temerari (o i più accaldati che dir si voglia) ci si lanciavano dentro a 200 all’ora per poi schizzare fuori dopo mezzo secondo per tornare a rosolarsi al sole. La prima cosa che abbiamo fatto, dopo un giro velocissimo dell’area, è stata quella di salire sopra una torre alta circa 30 metri dove, chi lo voleva, poteva decidere di sposarsi al cospetto degli abitanti della Repubblica di Kazantip. Inutile stare a spiegare che razza di personaggi abbiamo incrociato, ma è stato bellissimo vedere la totale spensieratezza con cui le persone si godevano il momento in mezzo a tanti sconosciuti. Inutile dirvi che ho provato a sposarmi con uno dei miei amici (nonostante si sia entrambi etero) ma bisognava prenotarsi il giorno prima. Mai una gioia. Accompagnato dal già citato ventaccio, è arrivato il momento del tramonto. Dal nulla sono apparse delle ragazze con dei giganteschi mazzi di palloncini gialli. Hanno cominciato a distribuirli insieme a dei pennarelli, coi quali ognuno poteva scriverci sopra un desiderio. Una volta calato il sole e dopo un urlo di gruppo, ognuno ha lasciato andare nell’aria il suo piccolo palloncino, il tutto seguito da un lungo applauso. Vi assicuro che ancora ora solo a pensarci mi vengono i brividi, è stato uno dei momenti più belli ed intensi che abbia potuto trascorrere nella mia esperienza come clubber. Nonostante la musica proseguisse su alcuni palchi 24 ore su 24, la sera il festival prendeva vita a pieno regime. Immaginatevi un lungomare con mille bar e baretti, ristoranti e fast food e una discoteca diversa all’incirca ogni 10 metri. Addirittura c’era uno stage nei bagni. Potevi andare a fare la pipì e se ti andava mentre aspettavi potevi farti due salti. Mica male per passare il tempo no? Per sole tre sere in tutto l’arco della manifestazione, veniva anche aperto il Main Stage. Inutile dire che si trattava dell’attrazione principale: cambi di animazione ogni 10 minuti, fuochi d’artificio, un impianto che entrava in gamba tesa sulle orecchie. Davvero maestosa come situazione. Personalmente ho sentito i Moderat suonare come Carl Cox e i Booka Shade suonare come Marco Carola. Evidentemente ai russi piace particolarmente la tech house perché se no non si spiega questo snaturamento. Detto questo lo spettacolo del palco era talmente rinvigorente che tutto il resto passava quasi in secondo piano.
Per quanto riguarda gli altri stage, si poteva trovare davvero qualsiasi genere. Dalla musica dal vivo del Fabergè, all’hardcore più spinta del bellissimo Coliseum, passando per la trance, la dubstep e la house (in tutte le sue varianti). Se posso fare un appunto, non ho mai sentito techno da nessuna parte. Probabilmente in questi lidi non ha particolare attrattiva. Quello che posso dire è che dovunque mi recassi trovavo una grande atmosfera di festa, tanto da ballare musica che normalmente non seguo o non apprezzo. Esempio lampante il Coliseum: un’autentica fortezza con vista sull’alba e con tanto di mura di cinta intorno, al cui interno ragazze che sembravano bamboline si scatevano a 160 bpm fino all’ora di pranzo. Sono forse morto e questo è il paradiso? Non ho mai avuto particolare antipatia per l’hardcore, anzi spesso l’ho ascoltata volentieri, ma ballarla è un’altra cosa. Eppure quando sono entrato e stava suonando Angerfist non riuscivo più ad andare via. Sono passate due ore prima che qualcuno venisse a vedere che fine avevo fatto. Mamma mia che posto e che musica e che gente e che salti mortali! E proprio la disponibilità e la grande simpatia nei confronti degli italiani della gente ucraina e russa mi hanno lasciato senza parole. Forse perché eravamo davvero pochi (ma buoni) e ci comportavamo bene, ma mantenendo un modo di concepire la festa sempre molto sopra la media della freddezza europea ci siamo fatti volere bene davvero da tutti.
Una volta che la stanchezza cominciava ad incalzare si poteva sempre andare a sedersi davanti ad un falò sulla spiaggia oppure in uno dei tanti bar a bere uno dei temutissimi shottini. Addirittura in alcuni bar per potersi guadagnare una bevuta gratis si poteva calarsi le braghe, sdraiarsi sul bancone, e farsi sculacciare dal barista. Inutile dire che diversi di noi ancora fanno fatica a sedersi. Se invece si volevano evitare le scuddisciate, bastava pagare. I prezzi erano onesti ma non bassi come personalmente mi aspettavo. Un cocktail poteva costare da 4 fino anche a 10 euro se vi erano ingredienti particolarmente complessi. Inoltre i prezzi variavano in base al bar, quindi a un certo punto bisognava capire dove andare a prendere cosa. Niente che non si impari in un paio di giorni, ma pur sempre un mezzo casino. Anche il cibo tutto sommato era accettabile e nemmeno poi così costoso. Se si voleva risparmiare ci si poteva armare di coraggio e si poteva sempre uscire dal festival e mangiare nei numerosi baracchini presenti intorno all’area. 1…2…3…SALMONELLA!
Una volta che il sole faceva capolino la festa sembrava ancora essere nel vivo del suo svolgimento. Gli stage principali andavano avanti tranquillamente fino a mattina inoltrata e i festanti ospiti non davano l’idea di essere minimamente intimoriti dalla cosa. Da notare in maniera positiva la quasi totale assenza di droghe, cosa strana visto l’incessante ritmo con cui la festa procedeva. Forse c’era un po’ di timore nei confronti della sicurezza, che vi assicuro erano personaggi con cui nessuno vorrebbe mai aver a che fare. Per farvi capire, la prima regola del festival riguardava il divieto di fare la pipì in spiaggia. Meglio non raccontare cos’è successo a chi ha contravvenuto a questa piccolissima imposizione. E’ chiaro che poi uno ci pensa due volte prima di sgarrare in qualunque altro modo.
Giunto il momento di trarre le dovute conclusioni, posso dire che Kazantip si candida senza grossi problemi ad essere una delle feste più belle dell’estate europea. L’importante è saper dosare le forze. Se si parte troppo forti si rischia di schiantarsi in fretta e di rovinarsi la festa subito. Il trucco è cercare di non essere ingordi ma di capire prima come funzionano i ritmi della festa e poi assecondarli. Capito questo il gioco è fatto. Il vero problema per noi italiani purtroppo è il viaggio, che fidatevi è davvero estenuante. Senza parlare del costo, non proprio per tutte le tasche. Però è anche vero che si vive una volta sola, e almeno una visita questa fantastica oasi nel deserto la merita tutta. Tornerete stanchi, scottati e suderete alcool per una settimana, maledirete la vostra stessa anima quando sarete in fila in un aeroporto ucraino senza aria condizionata e nessuno capirà ciò che dite, ma cazzo se ne sarà valsa la pena!