[tabgroup layout=”horizontal”]
[tab title=”Italiano”]La techno in Giappone ha sempre avuto un gran seguito, e anche se si tratta di una nazione spesso molto lontana dal nostro gusto musicale, alcuni artisti hanno saputo portare anche in Occidente il loro stile particolarissimo, fatto di suggestioni fantascientifiche e di una tensione al futuro che ricorda molto quella proprio delle origini della techno ma che la rivisita attraverso il senso minimale per l’eleganza caratteristico dell’Oriente. Tra i tanti artisti techno giapponesi, uno in particolare è stato in grado, in più di vent’anni di carriera, di fare da trait d’union tra Oriente e Occidente collaborando con alcuni degli artisti più importanti di questa parte del mondo: Ken Ishii. Luke Slater, Marc Romboy, Steve Rachmad, Skudge e Dave Clarke sono solo alcuni dei nomi che hanno prodotto con lui o remixato le sue tracce, caratterizzate da un’enorme varietà che spazia da groove in grado di smuovere qualunque dancefloor a melodie raffinate come quelle a cui la scuola techno giapponese ci ha abituati, a partire dagli Yellow Magic Orchestra fino ai giorni nostri.
Non è così comune che un artista giapponese come te sia così prolifico su etichette occidentali: com’è stato che hai iniziato ad entrare in contatto con artisti e label manager di questa parte del mondo, come ad esempio i ragazzi di R&S?
Piuttosto semplicemente, ho mandato i miei demo a R&S. In quel periodo, attorno al 1990 circa, avevamo una piccola ma molto entusiasta scena techno a Tokyo che stava iniziando ad emergere. Ero uno dei pochi a sapere cosa stesse succedendo in Europa e in America. Ero un apprendista dj e seguivo la musica delle etichette importanti che arrivava da là. R&S era la mia etichetta preferita e pensavo “se mai dovessi avere la possibilità di rilasciare la mia musica vorrei essere un artista di questa etichetta!”, così ho mandato loro la mia musica e mi hanno risposto. E da lì è iniziato tutto.
E spostandoci verso un passato più recente, raccontaci qualcosa dell’album che hai stampato l’anno scorso con Marc Romboy: come vi siete conosciuti, e com’è nata l’idea di un album insieme?
Conosciamo l’uno la musica dell’altro da molto tempo. Un giorno ci siamo seguiti reciprocamente su Twitter e abbiamo iniziato a parlare. Poi Marc mi ha chiesto un mix per il suo podcast Systematic Sessions e io l’ho fatto. Ci siamo trovati e abbiamo avuto l’idea di fare una traccia insieme, il cui concept era qualcosa tipo “l’Occidente incontra l’Oriente”. Il processo di collaborazione tra di noi è venuto fuori molto semplice e quando la prima traccia, che poi abbiamo intitolato “Taiyo”, è stata finita entrambi avevamo la sensazione di dover fare qualcos’altro. Questo poi ci ha portati a un album un anno dopo.
Il tuo stile di techno, pur essendo composto principalmente da suoni meccanici, mi sembra mantenere comunque una componente molto melodica e in un certo senso funky: come ti approcci alla produzione di una traccia? E’ da una melodia che hai in mente che parti, o è qualcosa di completamente diverso?
Tutto ciò che mi passa per la mente è un buon punto di partenza, quindi un kick drum, una linea di basso, un riff o degli effetti possono essere quelli giusti per partire. Se so che farò una traccia dritta per la pista potrei partire coi beats, forse, ma quando faccio un album, per esempio come Flare, sono completamente libero da ogni regola di produzione della musica elettronica/dance.
Negli anni hai dimostrato anche un’abilità nel produrre musica per contesti diversi, come le tracce che hai composto per le colonne sonore di “Rez” e “Lumines II”, o in particolar modo come il tuo album “Music For Daydreams”, che hai prodotto specificamente per le ore del giorno in contrasto con l’esperienza tipicamente notturna della techno: c’è un contesto particolare per cui ti piace produrre musica? E hai sempre in mente un posto, un momento o un mood in cui si trovi l’ascoltatore quando produci?
Amo la musica dance e la techno e allo stesso tempo sono un fan di ogni tipo di musica elettronica fin da quando ero un bambino. Come dj rimango sulla techno, ma come produttore mi piace fare qualunque tipo di elettronica che trovo interessante. In più, la musica per i dancefloor deve sempre seguire una certa formula, ad esempio deve avere una certa struttura perchè i dj la possano mixare, ma quando si tratta di cose da ascolto non devo preoccuparmene. Riesco meglio a realizzare le mie ispirazioni in musica. E’ una sorta di ciclo positivo per me fare roba da dj e roba più freestyle a turno. Per esempio, nella prima metà di quest’anno ho prodotto degli EP per Harthouse e MB Electronics e dei remix, mentre ora sono in studio a produrre il mio prossimo album come Flare che non sarà materiale tipicamente da dj.
Pur essendo in grado di produrre molti tipi diversi di musica, penso di poter dire che il tuo stile è rimasto sempre immediatamente riconoscibile lungo tutti gli anni della tua carriera: a che punto del tuo percorso pensi di essere in questo momento, sia musicalmente che dal punto di vista della tua carriera?
E’ una domanda piuttosto difficile. E’ bellissimo sentirti dire questo della mia musica, ma in realtà io continuo a fare quello che mi va di fare. Quando suono come dj mi concentro sul far ballare la gente e farla divertire con la mia musica preferita, mentre in studio non mi interesso degli ascoltatori, dei miei fans o di nient’altro. Seguo soltanto le mie ispirazioni. Penso sempre di essere una persona fortunata perché ho dei fans e delle persone che mi supportano, anche se non scendo a compromessi con la mia musica. Mi piacerebbe continuare così in futuro.
Essendo un artista ormai di una certa esperienza, senti qualche tipo di responsabilità verso gli artisti più giovani ed emergenti, che guardano a te come una fonte di ispirazione e un’influenza?
Non ho mai sentito chiaramente questo tipo di responsabilità, perché come ti dicevo ho sempre fatto solo quello che mi andava di fare. Ciononostante, vedo un sacco di artisti giovani e anche di artisti affermati che mi dicono che sono stati influenzati dalla mia musica. Sono molto felice di sapere che la mia musica è stata ascoltata in giro per il mondo, in diversi momenti e con attenzione. Quindi, quando ragazzi più giovani mi chiedono qualcosa sull’attrezzatura, sulle abilità o sull’atteggiamento da tenere come artista, eccetera, cerco sempre di dare loro risposte sincere.
Torniamo sul discorso delle melodie nella techno: ultimamente sembra che la techno, su scala globale, stia andando verso atmosfere più scure, di stampo industrial: qual’è la tua opinione su questa parte della scena techno?
Hai probabilmente ragione. In un certo senso, potrebbe essere un mood globale che guida la musica verso quel tipo di stile. Tuttavia, ci sono un’infinità di party, dj e persone che supportano la techno in tutto il mondo, per cui non devi per forza essere come gli altri. Se vuoi mettere più melodie e armonie nel tuo set o nella tua musica, fallo! Ci sarà sicuramente qualcuno che lo apprezzerà.
Parliamo della scena giapponese: nella cultura giapponese in generale, mi sembra che la tecnologia abbia un ruolo molto importante. Vedi un collegamento tra questo e la popolarità che la techno sembra avere in Giappone? (Penso non solo a te, ma anche ad altri artisti techno giapponesi importanti come Takkyu Ishino)
Penso che tu abbia ragione. I giapponesi sono da sempre persone ben disposte verso la tecnologia e le macchine. Dopo la guerra, il paese è tornato sulla mappa del mondo con la produzione industriale ed elettronica. Nello stesso periodo abbiamo iniziato ad avere i prodotti elettronici più recenti in giro per casa. Abbiamo avuto un’esplosione di Space Invaders e di altri videogiochi alla fine degli anni ’70, e contemporaneamente c’era un movimento techno pop molto forte nella nostra scena musicale, con artisti come la Yellow Magic Orchestra. In fondo, siamo sempre stati abituati ai suoni e alla musica elettronici.
A proposito: anche se ormai viviamo in un mondo globalizzato in cui tutti hanno accesso alla musica di ogni paese, sembra che la musica giapponese che arriva in Europa sia ancora molto poca: c’è qualcosa che arrivi dal Giappone – degli artisti, delle etichette, o qualcos’altro – che pensi potremmo esserci persi?
Giusto. Ci sono molti artisti validi ma sembrerebbe che non siano così bravi nel promuoversi. Io stesso scopro nuovi talenti miei connazionali quando escono sulle etichette europee, non su quelle giapponesi. Se devo dirti dei nomi che seguo, ti dico Sodeyama, A.Mochi, Hideo Kobayashi e Satoshi Fumi. Per quanto riguarda le etichette, la Bass Works, gestita da Sugiurumn, stampa un sacco di cose di artisti giapponesi e sta iniziando ad avere successo. Ho anche fatto qualche remix per loro.
Tornando al tuo passato e al tema delle tue collaborazioni con altri artisti, una delle mie tracce preferite tra le tue è il vocal mix di “Iceblink”, in cui canta Ann Saunderson, che è l’unica traccia tua che io conosca con una parte vocale: dato che la scena giapponese conta molte voci validissime, hai mai pensato di fare qualcos’altro con un cantato? E com’è iniziata la collaborazione con Ann Saunderson, a proposito?
Non è Ann Saunderson. E’ Paris Grey, una dei componenti originari degli Inner City. Come è successo è stato che nel 2000 avevo già prodotto la versione originale strumentale come tema portante per un film giapponese intitolato “Whiteout”. Poi volevo una vocal version per MTV, le radio, eccetera e ho chiesto a Kevin Saunderson di realizzare la produzione vocale della traccia con Paris. Ero un ammiratore del loro lavoro, per cui è stata una scelta naturale per me. Un aneddoto tecnico su quella collaborazione è che è stata la mia primissima collaborazione realizzata scambiando dati di ProTools. Era qualcosa di nuovo allora ed ero estremamente eccitato all’idea di poterlo fare, ricordo. A proposito, ho anche un’altra traccia vocale contenuta nell’album “Music For Daydreams” prodotto con il mio alias Metropolitan Harmonic Formulas. La traccia “Equinox” è cantata da una cantante jazz nippo-americana di nome Emi Meyer.
Parliamo del tuo ultimo album, “Dots”, stampato come Flare, uno pseudonimo che avevi lasciato in pausa per molti anni: come descriveresti la musica che produci come Flare rispetto a quella che fai con il tuo nome proprio? E come si inserisce FLR in tutto questo?
Flare è per la musica libera dalle formule e dalle regole. Mi diverto a produrre come Flare come un bambino con un gioco nuovo. Direi che è musica più freestyle e che può essere più sperimentale e personale di quella di Ken Ishii. Non faccio niente come FLR da anni ormai. Lo usavo per il materiale più duro e più direttamente dance. Potrei riattivarlo in futuro se quel genere di roba mi sembrasse più richiesta sui dancefloor.
Domanda finale: cos’hai in mente per il futuro, dopo “Dots”? Pensi ci sia modo di vederti in Italia presto?
Sono in studio proprio in questi giorni a produrre un nuovo album come Flare, idealmente per rilasciarlo in quest’anno. Ci saranno anche delle altre release nel frattempo: degli ep su DID e Nite List, e dei remix per Dr Motte, Cony eccetera. Mi piacerebbe sempre tornare in Italia, ma purtroppo non mi sembra probabile al momento.[/tab]
[tab title=”English”]Techno has always had a great following in Japan, and even if it is a country far from our musical taste in many ways, there have been some artists who managed to bring to Western countries their signature style, made of sci-fi inspirations and of an urge towards the future that reminds of the very first originators of techno but that reinterprets their work through the minimalistic elegance typical of Eastern taste. Among the huge number of Japanese techno artists, one in particular has been able, through more than twenty years, to be a connection between the East and the West, working with some of the most important artists from this side of the world: Ken Ishii. Luke Slater, Marc Romboy, Steve Rachmad, Skudge and Dave Clarke are just some of the names of those who produced music with him or remixed his tracks, which are extremely diverse and range from grooves that can move any dancefloor to classy melodies like the ones we’ve learned to love from the techno pop Japanese scene, from the Yellow Magic Orchestra on to today.
It’s not that common for a Japanese artist to be so prolific on Western labels: how did you first get in touch with people from this part of the world, such as the guys from R&S?
Quite simply, I sent R&S my demos. At that time around 1990, we had a tiny but enthusiastic techno scene in Tokyo that was in the beginning of emerging. I was one of the few people who knew what was going on in Europe and America. I was a student dj and following the music on important labels there. R&S was my most favorite label and I was thinking like, “if I have a chance to release my music I would like to be an artist on this label!” So I sent my music to them and they replied. Then everything started.
And moving to a more recent past, tell us something about the album you released last year with Marc Romboy: how did you two get in touch, and how did the idea of making an album together come out?
We had known each other’s music for a long time. One day we followed each other’s twitter account and started some conversation. Then Marc asked me to do a mix for his Systematic Sessions podcast and I did it. We kinda clicked and had an idea to make one track together with a concept like the West meets the East. The collaboration process went really smoothly between us and when the first track, titled Taiyo later, was done we both had a feeling to make something more. This led to the whole album a year later.
Your own style of techno, while being made mostly of mechanical sounds, still retains a very melodic and somehow funky feeling in my opinion: how do you approach the production of a new track? Do you start with a melody you have in mind, or is it something completely different from that?
Anything that occurs first to my brain is a starting point, so a kick drum, a baseline, a main riff, or some effects can be the one. If I know I do a straightforward dance track I would start off with beats, maybe, but when I make an album, as Flare for example, I’m completely free from any rules of making electronic/dance music.
You also have demonstrated an ability to make music for different contexts, like what you did with the tracks for Rez and Lumines II, or especially what you did in the “Music For Daydreams” album, that you produced specifically for the daytime as opposed to the usual, night-time techno listening experience: is there a particular context for which you’d like to produce music? And do you always have in mind a specific listening context when producing music?
I love dance music and techno and at the same time I have been a fan of all kinds of electronic music since I was a kid. As a dj I stick to techno, but as a producer I would like to make anything electronic that I find interesting. Plus, music for dance floors always needs to be in a certain formula, like having structure for DJs to mix, but for listening stuff I don’t have to care about it. It’s more like realizing my inspirations in sound. It’s like a good cycle for me to make dj stuff and freestyle stuff by turns. For instance, in the first half of this year I was producing EPs for Harthouse and MB Electronics and some remixes, and am currently in my studio for my next Flare album which won’t be typical dj material.
Although being able to produce many different flavours of music, I’d say your style has remained always immediately recognizable through all the years of your career: at what point of your path do you feel you are at the moment, both musically and from a career point of view?
It’s kinda difficult question. It’s great to hear that you mentioned about my music like that, but actually I just keep doing what I want to do. On DJing I concentrate on making crowd dance and have fun with my favorite music, whereas in studio I don’t care about listeners, my fans or anything else. I just follow my inspirations. I always think I’m a lucky guy to have fans and supporters, even though I don’t compromise on my music. I’d like to keep it this way in the future as well.
And being an experienced artist, do you feel some kind of responsibility towards younger and emerging artists, who see you as an influence and a source of inspiration?
I never felt clear responsibility like that because, like I said, I’ve been doing just what I wanted to do. However, I see a lot of young and even established artists who told me they were influenced by my music. I’m very happy to be aware that my music has been internationally, timelessly and seriously listened to. So, in case those young people ask me about gear, skills or attitude to be an artist etc, I try to give them sincere answers.
Still speaking about melodies in techno, lately techno on a global scale seems to be going towards darker, industrial-influenced atmospheres: what’s your opinion on that part of the global techno scene?
That’s probably right. In a way, it might be the global mood to want that kind of style. But still, there are countless parties, DJs and people who support techno all over the world, so you don’t have to be the same as others at all. If you want to put more melodies and harmonies into your set or your own music, just do it! There will have to be some people who enjoy it.
Let’s talk about the Japanese scene: in the Japanese culture, to me, technology seems to have a very prominent role; do you see a connection between this and the fact that techno seems to be very popular in Japan? (I’m thinking not only about you but also about other Japanese techno artists such as Takkyu Ishino)
I think you are correct. Japanese people are originally technology/machine friendly people. After the war, the country got back to the world map by providing industrial and electronic products. We also have been together with such things like the latest home electronics at those times. We had a nationwide booming of Space Invaders and other video games in the late 70’s, as well as techno pop movement including Yellow Magic Orchestra was really huge in our music scene at that time. We have always been used to electronic sounds and music.
By the way, we now live in a globalized world where we can access music from every country, but still not much Japanese music makes it to Europe: is there something coming from Japan – any artists or labels, or something else – you think we may have missed?
Right. There are many good artists but it seems like they are not so good at promoting themselves. Even I get to know new homegrown talents coming out mostly on European labels, not Japanese labels. If I give names I follow, Sodeyama, A.Mochi, Hideo Kobayashi and Satoshi Fumi are the ones. As for a label, Bass Works, run by Sugiurumn, releases lots of stuff by artists from Japan and is getting established. I did a few remixes for the label too.
Going back to your past and your collaborations with western artists, one of my favourites among your tracks is the vocal mix for “Iceblink”, with Ann Saunderson singing, which is your only track featuring a vocal part as far as I know: since the Japanese music scene features many great singers, have you ever thought of doing more music with a vocal part? How did the collaboration with Ann Saunderson come together, by the way?
She is not Ann Saunderson. That’s Paris Grey, one of the original Inner City. How it happened was, in 2000, first I had the original instrumental version as the theme track for a Japanese film called Whiteout. Then I wanted to have a vocal version for MTV and radios etc and asked Kevin Saunderson to do the vocal production with Paris for the track. I originally admired their works and it was such a natural choice for me. One technical episode about this collaboration is that it was the very first ProTools data swapping collaboration for me. It was still new at that time and I was excited about this method, I remember. By the way, I have another vocal track included on the album in 2012 titled ‘Music for Daydreams’ as my different project Metropolitan Harmonic Formulas. The track ‘Equinox’ features an American-Japanese female jazz singer called Emi Meyer.
Let’s talk about your latest album, “Dots”, released as Flare, your pseudonym that had been dormant for many years: how would you describe the music you release as Flare in relation to what you do with your own name? And how does FLR factor in among the other aliases?
Flare is for music which is free from formulas and rules. I do enjoy doing Flare like a kid with a new toy. I would say it’s freestyle electronic music which can be more experimental and more personal than the Ken Ishii project. I haven’t done FLR for years now. It was for harder and straightforward dance material. I might be reactivating it in the future if that kind of stuff seems more wanted on dance floors.
Final question: what do you have in mind for the future, after “Dots”? Any chances to see you around Italy soon?
I’m actually in studio these days for producing a new Flare album, aiming to release it within this year. There will also be some releases in-between; EPs on DID and Nite List, and remixes for Dr Motte and Cony etc. I always would like to come back to Italy, but not likely at the moment, unfortunately.[/tab]
[/tabgroup]