“Pop sofisticato”: mai come nel caso di Kindness non c’è abuso nel termine, nella classificazione. questo perché in Kindness convivono arte, musica, pensiero contemporaneo cultura e politica. Dopo un periodo lontano dalle scene ed al termine di un percorso interiore ed esteriore fortissimo, è tempo per lui di ritorni, di un nuovo disco e di nuovi suoni. Ci abbiamo parlato in una calda serata d’estate, qualche giorno dopo la tragica dipartita di Philippe Zdar di cui era amico e con cui collaborava, e in memoria di cui ci ha regalato un bellissimo ricordo
Partiamo da un po’ di tempo fa… Ti ho visto in concerto qui a Milano nel 2015 e ho il ricordo di un artista nel pieno della forma ma pochissimo tempo dopo hai lasciato le scene per tre, quattro anni. Posso chiederti cosa è successo?
Fare musica è molto impegnativo, richiede tempo.,l’artista deve dedicarci anima e corpo. Alla fine del secondo album le cose forse non andavano come desideravo e mi sono preso del tempo per ricalibrarmi, un paio d’anni in realtà.
Ricordo di aver letto il tuo post su Facebook in cui annunciavi il tuo ritorno e ricordo di essere corso subito dopo a leggere il testo di “Cry Everything”, il primo singolo che accompagnava quel post: l’ho inteso come una sorta di rinascita….
Non so se tratti di una rinascita o più di ripensare alla musica come il mezzo attraverso il quale comunico ciò che ho da dire. Ho ripensato a me stesso, a quello che faccio, alle mie idee per reinterpretare le mie esperienze.
E’ un periodo di dolcezza e felicità, per te ora?
Negli ultimi giorni è complicato: sto ancora elaborando la perdita di Philippe Zdar, un amico, una persona molto importante per me e che ha avuto un ruolo importante in questo progetto. Quindi non posso certo parlare di felicità Forse però è vero, questo in realtà è anche un momento di dolcezza.
Che ricordo hai hai di lui? Mi racconti come è stato il vostro incontro…
Ci hai mai parlato con lui? Te lo chiedo perché lui parlava piuttosto bene l’italiano, era di origini italiane – spesso in studio faceva lunghe chiacchierate in italiano al telefono. Io l’ho sempre visto come un francese italiano, aveva questa grande “joie de vivre”, questo mix tra lo snobismo tipico francese sempre attento al vino giusto, al formaggio perfetto ma aveva anche questa passionalità italiana e questo amore per il cibo e per le chiacchiere. So che sono tutti cliché, ma sono tutti molto veri. Ci siamo incontrati nel 2010 negli studi Polydor: ad un certo punto mi hanno chiesto di essere ambizioso e di dire con chi avrei voluto collaborare, così mi è venuto in mente il primo album dei Phoenix che per me suonava incredibilmente bene e sapevo che ci aveva lavorato Philippe. In più conoscevo il suo lavoro con i Cassius. In quel periodo aveva appena finito di lavorare a “Wolfgang Amadeus Phoenix”. Insomma, alla fine ho risposto che sarebbe stato molto bello lavorare con lui e loro mi hanno detto: “Ok proviamo ad organizzare un incontro a Parigi”. E’ andata così, ci siamo incontrati, abbiamo parlato e abbiamo scoperto di avere molto in comune dal punto di vista musicale e quasi niente in comune per il resto. Lui era così macho e faceva queste battutacce di continuo (ride NdI), era davvero divertente, alla fine abbiamo lavorato tanto insieme e siamo diventati grandi amici.
Ti aspettavi tutte queste reazioni positive ed entusiaste dopo l’annuncio del tuo ritorno?
E’ sempre molto incoraggiante e rincuorante vedere che c’è gente che ha atteso con fiducia il mio ritorno. E’ interessante come le persone sappiano aspettare per poi mostrare entusiasmo. Non avevo nessuna aspettativa: speravo solo che tutto ciò che avevo ripreso a fare potesse piacere alle persone. Per me è importante che venga apprezzato qualcosa che è molto personale, intimo. E la musica che faccio lo è.
Credo che questa pausa ti abbia dato fiducia, e che ti possa anche far sentire più forte…
Sicuramente ora sono più sicuro di me, e credo di avere anche più fiducia in me stesso, questa maggiore sicurezza immagino si possa sentire nella mia musica. Ovviamente sono sempre la stessa persona: forse ho solo un vocabolario più ampio con cui esprimermi.
La paura di accettare se stessi credo sia un po’ uno il problema madre di questa generazione, penso a quanto questo possa avere influito in genere nella musica sopratutto in questo ultimo periodo penso a Mac Miller o Avicii
Sono sincero, non so esattamente cosa risponderti. Posso dirti che forse questo di cui parli è un problema importante e reale, ha anche mosso una campagna sulla salute mentale dei musicisti. Sai, il circo musicale crea situazioni in cui devi andare sempre e comunque con il massimo dell’entusiasmo e dell’energia anche quando non te la sentiresti. Dipende dalla personalità di ognuno di noi, dalla personalità e dal carattere di ognuno di noi.
Tu sei sempre riuscito ad essere te stesso?
Non per tutti questo tipo di pressione, quella ad essere altro da sé, ha la stessa portata.
Per me questo problema non è mai esistito: la pressione che sento io, il “peso” se così vogliamo definirlo, è quello di una persona comune come tutti,. La pressione deriva dal fatto che la mia arte è anche il mio lavoro, e va svolto in maniera professionale, deve rispettare determinate regole: questo a volte rende difficile il fare musica. La tensione si crea nel momento in cui ti rendi conto che fare musica e fare soldi sono direttamente connessi.
Parliamo dell’album, c’è un manifesto dietro questo tuo nuovo lavoro?
Sì c’è un fil rouge, un tema conduttore, l’idea di come esistere in questo momento di tensione: i problemi relativi alla salute mentale di cui parlavamo prima, riguardano la società intera. Ansia e depressione sono molto diffusi e legati a questo periodo che stiamo vivendo. Provo a parlare di come potremmo fare a stare molto meglio tutti insieme, di come si può essere generosi gli uni con gli altri, o di aprirci, accettando le nostre vulnerabilità. Si tratta insomma di essere parte di una comunità.
Questo dal punto di vista della politica, della società, dei rapporti umani e dell’apertura verso gli altri è un momento difficilissimo. Secondo te per un artista quanto può essere importante esporsi e dire la sua?
Penso che avere un pubblico comporti delle responsabilità. In America si dice che i musicisti mettano troppo il naso nella politica. L’America è quel posto in cui insomma si considera inopportuno che un artista pop si permetta di parlare di politica, ma di recente questo ha scatenato una risposta che suona più o meno così: “Abbiamo lasciato che fossero i politici a parlare di politica e guardate dove siamo”. Allora mi fermo e penso che sarebbe molto meglio che a parlare di politica fossero anche i musicisti, gli artisti, gli scrittori, i cuochi, i fiorai. Tutti dovrebbero sentire la responsabilità di parlarne.
Non hai paura che tutto questo alimenti però un certo populismo?
Ciò che conta per me è che quello che viene detto non venga dall’ignoranza. Quindi, finche si è proattivi, si studia e si capisce davvero cosa succede nel mondo, allora avere un’opinione è giusto.
Credo che la vera rivoluzione debba partire dalla cultura: libri, dischi, poesie, parole, immagini…
Io credo fermamente al concetto espresso dallo slogan “Personal Is Political”. Se parlo in maniera onesta della mia esperienza, aprendomi completamente e questo si traduce nei testi delle canzoni, allora sto già parlando del cambiamento di cui mi chiedevi… e questo è l’unico modo che io ho per promuoverlo. Altri artisti ne parlano in maniera molto più esplicita, spesso anche citando i nomi dei politici in alcune invettive. Per me personalmente non potrà mai essere questo il modo di parlare di politica; ma non per questo penso che il mio modo sia meno efficace.
Il nuovo album di Kindness (continua sotto…)
Il titolo dell’album suggerisce qualcosa di arrabbiato, io invece ci ho sentito anche della felicità. Non so se rabbia è la parola giusta per definire il tuo nuovo lavoro. Io credo sia un lavoro molto fisico e liberatorio. Nel caso però ci sia davvero della rabbia, che tipo di rabbia è?
E’ fatto per essere fisico e liberatorio, decisamente sì, perché questo è proprio quello che volevo comunicare. Se vogliamo parlare del titolo, questo allude contemporaneamente a due cose: la prima riguarda il momento di tensione di cui abbiamo parlato prima e in cui le persone hanno la sensazione di trovarsi in un brutto contesto; la seconda è che la soluzione può essere provare comunque ad essere positivi e propositivi. Questo disco è fatto di domande a cui provo a dare una risposta.
C’è un sacco di groove nel nuovo album. Sono affezionatissimo al tuo lavoro precedente “Otherness” che considero il disco perfetto per la domenica mattina. Questo nuovo album invece mi accorgo di ascoltarlo spesso nel tragitto casa lavoro. Chiedo però a te qual’è il “perfect timing “ per questo disco?
A dire la verità io ho avuto la tua stessa esperienza. Ho dovuto ascoltarlo e riascoltarlo per capire se tutto andava bene, e mi sono ritrovato a sentirlo in cuffia mentre viaggiavo: quello trovo sia il miglior momento. Penso sia la giusta colonna sonora per il movimento, sai, quando guardi fuori dal finestrino e il mondo ti scorre davanti… Per me funziona molto bene in questi momenti qui.
Sono un grande fan di Prince: non mi prendere per pazzo, so che parliamo di due generi diversi, ma quando ti ho visto live io ho pensato a quel riferimento, per la musicalità anche per un certo modo di stare sul palco e per la stessa interpretazione dei tuoi pezzi pensi di poter accettare questa somiglianza?
Penso sia un grande complimento e ti ringrazio perché sei molto generoso. Secondo me la cosa che abbiamo in comune è che amiamo lavorare con musicisti molto bravi sia live che in studio. Tendo a cercare giovani talenti e a fare la miglior musica possibile con loro
Infatti in questo disco hai un sacco di collaborazioni.
Sì, ci sono dei bravissimi artisti emergenti, è una cosa preziosa trovare questi bravi artisti che sono all’inizio della loro carriera e disponibili, perché sai che quando raggiungeranno l’apice della loro carriera non sempre lo saranno.