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[tab title=”Italiano”]Strahil Velchev lo incontriamo una domenica mattina via Skype; qualche problema di connessione sul ponte Sofia-Italia ma per il resto una chiacchierata tremendamente spontanea, ma soprattutto illuminante. Avete mai pensato a come sarebbe stato nascere nella parte Est del Blocco e non avere l’accesso immediato a qualunque cosa voi voleste? KiNK è uno dei rappresentanti, nella musica elettronica, di tutta una serie di uomini e donne che hanno sudato per conquistare un ascolto libero, un diretto coinvolgimento nella musica ed un attitudine al lavoro sempre attenta alla qualità. I suoi successi attuali vengono da lontano e lo hanno portato ad essere headliner tra vari festival come per il Valhalla del dicembre prossimo e per l’Hideout nella prossima estate; per scoprirne origini e motivazioni, basta scorrere queste righe.
KiNK come produttore nasce nel 2005 con la sua prima release (Back To The Source – Stretching Spaces), ma ci interessa conoscere come e quando KiNK ha iniziato a seguire la musica elettronica.
Bhè…è una storia lunga (ride). Sono sempre stato un amante della musica: sin da quando ero un ragazzo mi è sempre piaciuta la disco music, ma essendo gli ultimi anni ’80, ed a quel tempo la Bulgaria faceva ancora parte del Blocco Orientale, non molta musica riusciva ad oltrepassare la Cortina di Ferro e quindi la mia scelta era estremamente limitata. Quello che ricordo degli inizi come ascoltatore è che mi piaceva la musica da ballare; dopo che le cose cambiarono nel 1989, intorno al 1991 è stato il momento in cui ho cominciato ad ascoltare roba come The KLF ed altra roba elettronica più commerciale ed ho pensato: “Wow, questa è sempre musica da ballare ma sembra provenire da un altro pianeta, sembra roba da alieni” e per me era qualcosa di assolutamente oscuro, inconsueto da ascoltare poiché non avevamo mai avuto accesso a roba del genere. Perciò da lì, ho cominciato ad interessarmi maggiormente ad alcuni artisti europei che portavano i suoni di Detroit come Dave Angel. Per me però risulta fondamentale dire che sono cresciuto in un paese dove non vi era alcuna informazione riguardo questo tipo di cultura ed infatti il mio accesso alla musica proveniva da due unici canali: la radio (anche se per una volta a settimana a tarda notte con musica nemmeno troppo interessante) ed alcune compilation. In queste compilation potevi trovare di tutto: techno, house, break beat, acid, jungle e ambient e questo ha avuto un risvolto negativo ed uno positivo. Fruire della musica in questa maniera mi ha portato ad avere un bagaglio musicale molto ampio, fatto di pezzi di musica diversa che però alle mie orecchie sembrava tutta techno. Non ho potuto specializzarmi in alcun genere, o sotto-genere come gli ascoltatori attuali riescono a fare e questo ha sicuramente influito sul mio modo di fare il dj, di produrre e di fare i miei live.
Hai toccato proprio tu un aspetto, quanto mai delicato, che può aiutarci a comprendere meglio la tua personalità e i tuoi primi passi sulla scena. Vivere a Sofia negli anni ’80 non doveva essere facile ed anche limitante per le tue aspettative da musicista. Come è stato crescere e cercare di venir fuori?
Vivere a Sofia non è certamente farlo a Londra o Berlino. Non è possibile incontrare i tuoi produttori preferiti in un club, non puoi passargli le tue demo per farle ascoltare e magari rilasciarle e quindi questo mi ha preso molto tempo per uscire fuori. Ma questo per me rappresenta qualcosa di positivo, perché quando ho iniziato a pubblicare la mia roba, avevo un gusto musicale ben stabilito e quando mi guardo indietro non ho alcuna vergogna del mio background artistico.
Parliamo della tua performance live. Abbiamo avuto l’occasione di ascoltarti diverse volte in contesti differenti come una serata in un club ed invece all’opposto durante un festival estivo ed abbiamo notato una diversificazione. Nel club eri molto vicino al lato techno delle cose, mentre durante il festival la tua performance virava decisamente verso i suoni della tua release “Psyche Funk” (Undertones), funky ed housey. Una straordinaria capacità di plasmarsi alla folla.
Sono contento che tu lo dica perché anche io credo sia una buona qualità, ma risulta difficile farlo sempre perché alle volte la gente vuole solo una musica di sottofondo per le loro conversazioni mentre a me piace essere sempre dinamico quando suono e quando produco. Mi piace esibirmi in maniera diversa e non sentire che la mia esibizione è paragonabile alla stessa traccia per 5h, e il più delle volte funziona, altre invece è più complicato.
Quello che ci attrae è la tua conoscenza teorica e pratica di alcune macchine. Nel video “The Making of Under Destruction” abbiamo potuto avere un assaggio delle tue abilità con cavi, connessioni, strumenti…da dove arriva questa tua ossessione?
È una passione. Adoro fare musica ed utilizzare gli strumenti lo rende più divertente. Nella mia vita ho sempre desiderato avere gli strumenti e poterci giocare, ma come detto, nei primi anni ’90 era economicamente impossibile per me comprarli ed anche questo ha dettato il mio avvicinamento alla produzione in maniera non convenzionale. Ho iniziato a comprendere come fare musica su di un software, ho imparato a fare il dj con un computer, quindi completamente agli antipodi rispetto ad una maniera convenzionale. Nei primi anni 2000 ho iniziato a fare il dj utilizzando i CD, da lì ho iniziato a lavorare e viaggiare di più e questo mi ha dato l’opportunità di comprare più release ed i primi strumenti. Perciò sono un neofita dell’hardware ed è per questo che ho pienamente goduto del momento in cui ho potuto comprare gli strumenti, giocarci, testarli. Ho costruito questa opportunità e ne sto davvero godendo. Molti produttori oggi ritornano alle macchine, sono tornati indietro, sono trendy, anche io in questo momento sono molto interessato all’analogico, ma con tutta una serie di sviluppi.
Parliamo di quello che può o non può essere considerato “live”. Alcuni produttori dichiarano che in una performance live dovrebbe essere evitato l’utilizzo di Ableton o comunque non debba essere una roba da computer. Nei tuoi live sappiamo della coesistenza di strumenti analogici e supporti digitali, sia in relazione alla tua idea di live che all’impossibilità del trasportare uno studio con te. La tua opinione al riguardo.
Io sto ancora imparando come farlo al meglio. Molti non sanno che ho sicuramente più esperienza come dj che come performer, perché il mio primo live è stato nel 2009 per l’elevata domanda di questo tipo di show. All’inizio non ero molto convinto dell’idea ma ho visto l’opportunità di poter viaggiare molto di più e scoprire più cose possibili e questo quindi è stato il mio compromesso. Non so sinceramente cosa pensare a riguardo, solo che quando un live viene etichettato come “Live PA – Live Personal Appearance” può significare tante cose. Non c’è una formula definita, potresti andare su di un palco con i tuoi CD mixati, bere il tuo caffè e dire “Questa è la mia personal appaerance”. È un problema di definizione, nel mio caso il live è molto improvvisato, faccio molta musica partendo dal nulla e questo è sempre live, non ci sono regole. Quello che mi sento di dire è che bisogna trovare la formula con cui trasmettere se stessi al pubblico ed io lo faccio con l’improvvisazione e il coinvolgimento della pista. Non mi piace molto la discussione analogico vs digitale perché ho provato di tutto ed in questo momento preferisco la roba analogica, ma come detto, non è possibile viaggiare con tutte le macchine anche perché molta della mia roba è fatta tramite software. Perciò ho cercato la migliore soluzione. Mi incazzo quando, parlando di roba analogica, la gente dice che portarla sul palco definisce un vero e proprio live. Puoi fare un grande live anche con un laptop, l’importante è quello che trasferisci. Io porto con me un sacco di roba perché è la mia maniera di far musica e non perché il mio deve essere considerato più live di altri.
Durante le tue performance live c’è sempre un grande sorriso e un coinvolgimento completo da parte tua. Da dove arriva? Ed inoltre, cosa preferisci: le performance durante un festival, sappiamo che sarai al Valhalla Festival a dicembre e all’Hideout del 2015, o quelle in un club, oppure le dimensioni legate allo show non hanno alcuna importanza?
Sono assolutamente coinvolto. Adoro fare musica e quando sono sul palco, specialmente durante le serate più piccole in cui le persone sono vicine a me, riesco a sentirmi come nel mio studio con alcuni amici e loro possono guardare quello che faccio. Quando guardo l’audience io vedo degli amici; parlando con altri dj e stimati artisti riconosco di essere un po’ solo nel pensarla così, molti sono intimiditi dalla folla e questo li porta a dividere l’audience in buona e cattiva. Per me è sempre buona, li vedo come amici che hanno delle aspettative in te e nella serata, è gente che vuole divertirsi e quando il risultato della mia performance è buono, sono contento e non mi preoccupo di darlo a vedere. Quando cerco di essere più avventuroso nelle performance prendo alcuni rischi, come negli sport estremi, è vero commetto anche errori ma se il risultato è buono vuol dire che sto trasmettendo qualcosa e sorrido. Riguardo le dimensioni di una serata. Si, le dimensioni cambiano le cose. Come detto prima, le piccole serate mi danno l’opportunità di mostrare quello che faccio con le macchine e la gente può comprendere in pieno il mio coinvolgimento mentre le manovro, durante un festival la gente non ha l’opportunità di farlo e quindi che sia un live o un set preregistrato per l’audience non fa differenza. Ma al contempo suonare ed influenzare migliaia di persone allo stesso momento con la tua musica è eccezionale. Non posso scegliere. Le piccole situazioni creano una connessione particolare, mentre le situazioni più grandi danno il senso di quanto la tua musica faccia presa o meno e da queste ultime esperienze ho compreso una lezione importante. L’ultimo anno ho tentato di improvvisare molto durante i festival sperimentando alcuni problemi tecnici, in un piccolo club le persone possono comprendere cosa sta succedendo perché mi vedrebbero armeggiare, mentre durante un festival sarebbe solo un momento di noia per l’audience. Perciò ho imparato ad avere due approcci differenti.
Nell’ultima “Top 20 Live Act” di Resident Advisor eri in terza posizione, questo ha incrementato il numero delle tue esibizioni ed inoltre, cosa ne pensi del contributo dei media?
Non ho avvertito cambiamenti incredibili nell’ultimo anno poiché sono in classifica da diversi anni, 5° nel 2012 e 19° l’anno precedente. Perciò ho continuato stabilmente ad esibirmi, pubblicare musica e perciò il piccolo incremento non è dovuto solo alla classifica. Per quanto riguarda i media rappresentano qualcosa di molto importante per me, poiché faccio musica che difficilmente passa su tutte le radio e non tutti sono addentrati in questo mondo musicale. Durante un’esibizione, forse il 20% delle persone sono lì per l’artista, gli altri semplicemente sono lì per uscir di casa, trovare una ragazza, bere dei drink e non sanno nulla del business musicale o di sintetizzatori analogici. Ma credo che i media siano un canale importante anche per i promoter, che dovendo pagare me, i miei viaggi, la mia accomodation ed inoltre devono riempire il club, hanno bisogno di qualcosa su cui lavorare.
Alcuni mesi fa, durante una trasmissione della BBC, Matthew Herbert ha parlato dell’”arte del loop” sostenendo che il loop è una forma naturalmente accettata da parte del cervello umano. Qual è il tuo approccio durante le sessioni di produzione?
Ho un approccio completamente basato sul loop. Non ho avuto un’educazione musicale vera e propria, ho studiato piano per quasi tre anni ma è successo circa venticinque anni fa, quindi tutto molto lontano ed ero troppo giovane. Quando ho iniziato a produrre, sono stato ispirato dalla musica basata sui loop; dagli inizi ad oggi quando faccio una traccia, creo un loop con tutti gli elementi che vorrei nel pezzo, lo copio, lo estendo ed inizio ad eliminare elementi fino a quando non raggiungo la composizione giusta. Questo è quello che faccio con i software e molto, molto di più sulle macchine.
Scorrendo la tua discografia, troviamo collaborazioni importanti (Adam Port, Catz‘N Dogz, Neville Watson, Marc Romboy) e sembra che tu abbia un tocco magico. Qual è il tuo rapporto con gli altri produttori e cosa pensi delle collaborazioni?
La scena musicale è qualcosa di unico, a tutti piacciono le stesse cose, ognuno ama uno specifico suono e tutti siamo gente dalla mente aperta. Riguardo quelli che hai citato: Marc Romboy è un buon amico, con Neville Watson siamo una famiglia e il primo disco fatto con lui (“Inside Out”) è quello che mi ha regalato il primo successo, Catz’N Dogz mi hanno sostenuto fin da quando la mia musica non era conosciuta, etc… è molto interessante collaborare perché ti ritrovi con gente che la pensa come te, che ti permette di imparare cose nuove e non importa chi ha maggiore esperienza, ho ricevuto alcuni dei consigli migliori da gente con molta meno esperienza di me. È una scuola e a me piace frequentarla. Per quanto riguarda il tocco magico, non so se è vero ma so soltanto che ogni progetto per me è estremamente importante perché quando rilasci qualcosa, è lì, non puoi rimuoverlo, non puoi avere ripensamenti e devo essere sicuro di averci lavorato su al 100%. È una rappresentazione delle tue qualità e devo esserne assolutamente fiero.
Tocchiamo un argomento che tocca te direttamente ed altri dj e non solo: il Tinnito/Acufene. Sappiamo che è un problema di cui non soffri solo tu. Credi che l’educazione all’ascolto sia qualcosa di poco considerato in questo mondo e rappresenti solo l’argomento su cui basare film come “It’s All Gone: Pete Tong?”? Come va adesso?
NDA: il film in questione tratta la vita di un dj inglese acclamatissimo sulla Isla che dopo 13 anni di successi, si ritrova a dover fare i conti con il problema dell’acufene e tutto quello che ne può conseguire per un dj.
Si, l’ho visto (ride). È stato un incubo e la cosa più incredibile è che l’ho visto prima che il problema si presentasse e guardandolo ho avvertito una sensazione orribile. Poi è arrivato. Leggo molti giornali che si occupano di musica, FACT, RA, XLR8R, ci sono tante cose interessanti, ma questo topic non lo trovo mai. Credo che molte più persone debbano essere avvertite o comunque avvisate. Ho questo problema dal 2009 e non sta migliorando, ma la cosa buona è che non sta peggiorando. Non è un problema enorme, senti questo suono solamente quando sei in stanze molto silenziose ed è come lasciare un orologio in una stanza vuota: il ticchettio dopo un certo momento viene accettato dal cervello e quindi non lo avverti più, ma c’è. Il problema è l’esposizione durante la settimana, a volte anche due volte, a suoni molto forti che aggravano la situazione e perciò ho iniziato a mettere delle protezioni che però, sfortunatamente, non utilizzo sempre poiché attutiscono molto i suoni. Le persone dovrebbero conoscere ed informarsi del problema perché non riguarda solo i dj ma tutti coloro i quali frequentano i club. Quando il problema si è presentato, ho iniziato ad informarmi ed ho scoperto che durante una serata normale al pub con la musica può iniziare a provocare fastidio dopo 40 minuti, in un club solo dopo 4 minuti. E’ un problema che la nostra e la prossima generazione dovrà affrontare seriamente perché mai come adesso la club culture coinvolge tante persone.
Dopo la pubblicazione del tuo album “Under Destruction”, quali sono i progetti per il futuro?
Durante quest’anno ho speso molto tempo per promuovere l’album e durante l’estate ho avuto alcuni problemi con le mie attrezzature e questo mi ha portato via un po’ di tempo. Dopo l’estate quindi non ho lavorato troppo, ho terminato la mia release su Running Back che sarà fuori ad inizio anno nuovo, in questo momento sto terminando il remix di un classico OVUM come “Pop Culture” di DJ Dozia e in un mese uscirà la mia release su Pets Recordings con un pezzo originale ed un remix di Truncate, che è eccezionale, ed una raccolta dei loop preparati per l’album che voglio condividere. Ognuno potrà prenderli ed utilizzarli come vuole.
La tua “Top 5” dei pezzi che ti hanno avvicinato a questo mondo e che li senti legati a te:
Discothèque – Disco Special
Phuture – Acid Trax
Aphex Twin – Windowlicker
Orbital – Chime
DJ Sneak – Keep On Groovin’ (Ian’s Fierce Mix)[/tab]
[tab title=”English”]We met Strahil Velchev via Skype in a bright Sunday morning via Skype. Some connection problem between Sofia and Italy but otherwise a tremendously spontaneous chat, but especially enlightening. Have you ever thought to be born in the Eastern Block and not have the instant access to anything you would like? KiNK is one of representatives, in the electronic music, of a whole series of men and women having sweat to conquer a free listening, a direct involvement in the music and a work attitude based on quality outputs. Its current success comes by far, now is one of the most talented headliner among festival like Valhalla and Hideout Festival and to discover his origins and motivations, just scroll down these lines.
KiNK as producer was born in 2005 with your first release, but we would like to know how is born Kink as electronic music fan. The inception.
Well…that’s a long story (he laughs). I’ve always been a music fan, since I was young kid and I get in to the disco music, but my choice was really limited because we are talking about the late 80s and at that time Bulgaria was a part of the Eastern Bloc, so no much music passed the Iron Curtin. What I remember of the beginning was that I liked the danceable music; afterwards the things changed in 1989, maybe in 1991 was the moment when I heard some stuff like The KLF and other electronic commercial stuff and I thought: “Wow, this is also danceable music but it seems to come from another planet, from aliens” and it was quite obscure for me as listener because I didn’t get access to that. So I get interested by some European artist who made Detroit techno like Dave Angel. It’s very important saying that I grow up musically in a country where there wasn’t information about this kind of culture and my access to the music was the radio (even if once for a week in the late night and also not so much interesting music) and some compilations. This hasn’t specialized me in one genre or sub-genre like nowadays listeners do, at that time in those compilation you could find techno, house, acid, break beat, jungle and ambient and this was a good and bad aspect. All was techno for me and that definitely affected my way of djing, producing and now performing live so I was exposed to different things and this affected my artistic approach to the music.
We cannot avoid dealing with an aspect (delicate) that can help us to understand a little more about your personality and your first steps in this world. Living in Sofia in the 80s was not so easy and certainly very limiting for your dreams as musician. How did you live this situation?
Living in Sofia is not like being in London or Berlin. You can’t meet your favourite producer in the local bar, you cannot give them your demo to be released so it took me little longer to break through. But for me it’s kind of good, because when I started releasing my music I already had established music taste and now that I look back, I don’t feel ashamed by my back catalogue.
Let’s talk about your live performance. We got the chance to listen you in two different situations: a club night and then a festival venue. We experienced a difference between these two shows: one projected to the techno matter, the other that sounded like your Psyche Funk release, funky and house-y. For us a great way to adapt to the different audience.
I’m happy that you think that way because I also think that is a good quality, but sometimes it has been difficult for me because I like to be dynamic releasing and playing music. I like to perform in different ways and not feeling like I’m playing the same track for 5 hours, I like to change and sometimes the people won’t change. Sometimes they want the same background music to join a conversation, but my approach is more personal and I’m dynamic. Normally it works, but sometimes is challenging.
What attracts us is your theoretical and practical knowledge for many hardware. In the video “The Making Of Under Destruction” we had a taste of your skills about machines, plug-in, wires, cables…From where comes this obsession?
It’s a passion, I love making music and using tools makes the “making of” funnier. In all my life I desired to have tools and playing too, but as I said, in the early 90s I was not able financially to buy stuff and my approach to making music is a funny story. I learned how making music on software, I learned djing on computer, so I got an opposite approach from software to hardware. Then in early 2000s I have been djing with CDs, I started to work and travel more and this gave me the opportunity to buy records and then the first tools. So I’m relative new in the hardware approach and I fully enjoyed the moment in which I was able to buy and test and play with different gadgets, I got this chance and I really enjoy this option. Nowadays a lot of producers rediscover all the classic machines, they’re back, and they’re very trendy. But actually I’m interested about the analogue stuff with new developments.
Talking about what is considered to be “live”, some of your colleagues claim that a live performance should avoid the Ableton use and should be a “no laptop” thing. We saw you in your live join the analogue stuff with digital tools, surely because you cannot bring your studio along with you and maybe because it’s your own idea. What is your opinion?
I’m still learning how to do. Many people doesn’t know that I have much more experience as dj than live performer, because I started performing live in 2009 for the high demand of that kind of show. At the beginning I was not so convinced of the idea, but I’ve seen a good chance to travel more and it was like a compromise. Doing that, I would have been able to travel a lot and see different things and work more with music. Actually I don’t know what to think just that when they tag it “Live PA – Live Personal Appearance” it is a huge box, because there is no formula, you can be on stage with your mixed CDs and have a coffee and say: “this is my personal appearance as well”. In my case what I do at the moment is very improvisational, I make a lot of the music on stage from scratch and that’s also live, so there are no rules. What I could say is that you have to find your personal way to transfer your music to the audience and I do it improvising and play with the crowd. I don’t like so much this discussion analogue vs digital because I tried a lot of stuff and in this moment I prefer the analogue stuff, but it’s not possible to travel with all the gears and also because a lot of my stuff is done with software. So I tried to fit the best solution. I’m pissed off when, talking about analogue facts, someone says that bringing on stage all the gears makes a proper live. You could have a great live also with a laptop, it matters what you would like to transfer. I bring a lot of stuff because it’s my way to do music and not because my performance would be much liv-er than others do.
Let’s talk first about something related to your live performance, scilicet a great involvement with the crowd and your smile. And then, what do you prefer: performing in the festival formula, we know that you will be at Valhalla Festival and Hideout, or the club formula? Or the gig’s dimension doesn’t matter at all?
Absolutely. I love making music and when I’m on stage, especially in the intimate venue when people are close to me, it makes me feel like I’m in studio with some friends and they could watch what I do. When I look to the crowd I see our friends; talking with other djs and estimated artists I found out that not everyone think like me, they think we are afraid by the crowd, dividing it in bad or good. For me Is always a good crowd, I see friends with expectations about your music that wanna have fun and if the result of my show is good, I’m happy and I don’t mind to show that. When I try to be more adventurous with my machines, I take big risks like in the extreme sports, and there are mistakes but when the result is good i have to smile, because I know that something is transferring. And about the gig’s dimension. Yes, the dimensions change the things. As I said before, the small venues give me opportunity to show what I do with my gears and they can fully understand my involvement, during the festivals the people has not the chance to watch what you do, so a proper live or a premixed set sounds like the same. But playing and influencing thousands of people is amazing. I cannot choose. As I love playing small gig for the energy that comes out, in the big events lots of people are influenced by your music and during these kind of events I’ve learned a lesson: last year I tried to improvise a lot during a festival and I experienced some technical problems, in a small venue the people could understand what is happening, during a festival you let experience just a boring time for the crowd. So now I know that I should have two different approaches.
The last “Top 20 Live Act” Chart of Resident Advisor put you in at third position. Has this in some kind of way increased the number of your gigs and furthermore, what do you think about the media contribution?
I didn’t feel crazy changes in the last year just ‘cause I was charted also in the past years, at 5th in 2012 and 19th the year before. So I was constantly gigging, releasing music, so the gain was related to different things not just the chart. Talking about media channel, I have to say that it has a great importance for me because the music I do it’s not on the radio and not everyone knows the details about this world. During a gig, maybe just 20% of the hall knows you, the others wanna just go out, meet a new girl, have couple drinks and they don’t know about music business or analogue synthesisers. But I think that for a promoter is useful to give info about the performer, they have to pay my fees, my hotel, my flights and they have also to fill the place, and the media info could be something to work on it.
Some months ago Matthew Herbert did a BBC show in which he talked about the “the art of the loop”, he argues that the loop is naturally accepted by our brain. What is the approach you use during your production session?
I totally have an approach based on the loop. I haven’t got a proper musical education, I studied piano for about three years but it happened almost 25 years ago. I was too young and I don’t remember so much now. When I started producing, I was inspired by music based on the loop. From the beginning till now, when I make a track is all related to make a loop with all the elements that I would include in the tracks, copy, extend it and then I start to remove elements till I get the right composition. This is what I do with software and more like this with the hardware.
Browsing your discography, we find a lot of important collaborations (Adam Port, Catz‘N Dogz, Neville Watson, Marc Romboy) and it seems you have a gold touch. What is your opinion about the collaborations and how are the relationships with the other colleagues?
The music scene is something unique, we all like the same things, we love specific kind of music and we are minded people. About the people you mention: Marc Romboy is a good friend, with Neville Watson we are like family and our first record was the first to give me success (“Inside Out”), Catz‘N Dogz supported my music till the moment I was no one, etc… It’s quite good cooperate because you meet people who think like you, it’s a way to learn new things and it is not important which of the two is more experienced, because I got best advices from people who knew less than me. It’s a school and I like to attend it. About the gold touch, I don’t know if it’s true I just know that every project is extremely important and when you release something, you can’t remove it and I have to be sure to have worked on it at 100%. It’s a statement of your quality and I have to be proud of it.
Let’s touch an argument that is really linked to you but also to other dj. Tinnitus. We know that you suffer of this problem and you are not lonely. Do you think that the ear-education is such an understatement in the music scene and is just a movie affaire like in “It’s All Gone: Pete Tong”? How it goes now?
Yes, I’ve seen it (laughs). It was a nightmare and the crazy thing is that I’ve seen the movie before I got the problem and watching it I felt really horrible. Then I got the problem. I read a lot of music web journals, like FACT, RA or XLR8R, there are a lot of interesting things but I can’t find nothing about this topic. I think that more people should be aware about this. I have this problem since 2009, and it’s not getting better but the good thing is that is not getting worse. It’s not a huge problem, you can hear it ringing only in very silent rooms and it’s like a clock in the room: after some time your brain adjust to this sound and you don’t hear it more. But, being exposed to loud noise every week, also couple of times, it’s dangerous so I started to use ear protectors but unfortunately I don’t use it very gig. People have to talk about it because it concerns not just the dj but also who goes to the clubs every weekend. When I got the problem, I started to read a lot of material and I’ve discovered that in places like pub with music, the tinnitus harms your ear after 40 min, if you are in a club, after 4 minutes. It’s a problem that our generation and the next generation will face for first time because now the club culture is bigger than ever and the people should worry about it.
After the release of your album “Under Destruction”, what are the projects for the next year?
During this year I’ve spent a lot of time for album promotion and during summer I travelled a lot joining different festivals and also I got some troubles with my equipment, taking lot of time to fix as well. After summer, I finished my release that will be out for the beginning of 2015 via Running Back, now I’m working on the remix of a classic Ovum record that is “Pop Culture” by DJ Dozia and in a month I’m releasing on Pets Recording a new record with my original track, the Truncate remix (and this is amazing), and also a lot of the loops that I prepared for my album. Everyone could take it and use them.
Your “Top 5” list of what I call “Tracks That Can’t Get Out Of Your Head”… your beloved tracks ever, that get you closer to this electronic world:
Discothèque – Disco Special
Phuture – Acid Trax
Aphex Twin – Windowlicker
Orbital – Chime
DJ Sneak – Keep On Groovin’ (Ian’s Fierce Mix)[/tab]
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