Una storia e un suono travolgenti, vissuti tutti in prima persona, sulla pelle di ciascuno di noi.
Era una di quelle macchine in cui è meglio non salire, in uno di quei lunedì o martedì notte in cui dovresti essere già letto da qualche ora, al massimo davanti alla tv con la rassegna stampa dei giornali di domani; forse con un residuo di televideo, la pagina 201: chi compra il Milan, come è messa l’Inter, chi gioca domenica.
Si viaggiava a ritmo lento tra via Padova e le trasversali che da lì portano in Viale Monza, la custodia di un cd sporca, i sensi alterati, tre sigarette, il tedesco che biascicava per altre birre.
Ho incontrato per la prima volta i suoni di Kompakt Records nel 2005, in una di quelle situazioni post giovanili a cui dieci anni dopo guardi con un misto di vergogna e malinconia. Davvero ci facevamo così tanto? Davvero passavamo i martedì sera in giro così?
Il mio amico tedesco aveva nella radio questo cd siglato Kompakt Nachts ed era un’altra musica, un altro stile. Il 2005 era un anno che ora potrei definire “di transizione musicale”: la Punta Dell’Est aveva chiuso i battenti – credo; eravamo troppo grandi per Sodoma e P-gold, troppo salutisti per affrontare i tornanti che portavano all’Alter Ego di Verona. Milano poi stava cambiando, non c’era più quella voglia – almeno da parte mia e di chi frequentavo – di paillettes firmate e di Mazoom. Stavamo con colpevole, colpevolissimo ritardo scoprendo il club oltre la disco, la voglia di ballare in scarpe da ginnastica e maglietta sudata: si affacciavano i primi Privat, più tardi cominciarono i party CCKZ e si era ormai in piena onda minimal techno. Erano gli anni del Mom in Viale Montenero il mercoledì sera e dell’East End la domenica sera, molto prima dei cancelli di De Corato, venuti poi a chiudere tutto.
Barattai quel cd con tre Lucky e me ne andai a casa, a letto. Facevo la “Cotoletta” tra le lenzuola e dalle cuffie usciva “My baby is on fire, so I get her in the water”. Cantava Superpitcher ed ero appena entrato in un altro mondo.
La storia di Kompakt nasce prima: la base è Colonia e i protagonisti sono un pugno di hipster in fissa con Scritti Politti, indie rock, squat e musica techno. La Germania dei ’90 viveva un decennio di forte fermento artistico, trascinato da quello ben più importante degli anni ’80, che aveva bucato tutto (e tutti), lasciando ai sopravvissuti un tepore fatto di sostanza marrone al sapor di succo di pesca. C’era voglia di aggregazione e di rifugio, birrette e una cesta di vinili.
Inizialmente non fu Kompakt, ma Delirium: era una catena di negozi di musica sparsa più o meno per tutta la Germania, formalmente di stanza a Francoforte. Fu un normale processo di affiliazione messo in piedi da tre ragazzi annoiati, quello che generò un nuovo modo di intendere la musica elettronica in Germania.
L’anno era il ’93 e Wolfang Voigt, Jörg Burger, Ingmar Koch aprivano a Colonia una filiale del Delirium, che con i suoi pochi dischi in realtà non aveva nulla a che vedere con il negozio di Francoforte. Ai tre non interessava tanto un records shop quanto un punto di aggregazione, dove trascorrere pomeriggi tra qualche birra e buoni ascolti, un “circolo filatelico” nel pieno della Germania anni ’90.
Michael Mayer, Jurgen Paape e Reinhard Voigt si aggiunsero dopo, sfruttando il punto di incontro che si era creato: c’era chi portava l’esperienza come producer, chi come dj, chi come cercatore di vinili.
Fu nel ’98 che – con qualche prima produzione alle spalle e una buona esperienza come dj nelle squat tedesche – si scelse di riunire il tutto sotto un’ unica forma: negozio, label, distribuzione, studio. Tutto a conduzione familiare, una struttura quasi hip hop nella sua idea genetica. Era il suono di Colonia, era Colonia unita che rap-presentava al mondo.
Fu distintamente chiara da subito la ricerca di un suono ben definito, unico e riconoscibile sin dall’inizio: “We always understood Kompakt as somehow a pop label under the circumstances of techno. 51% has to be four-to-the-floor bass drum, the rest don’t have to fit. We were really techno from the bottom of our heart, but the pop attitude was a different attitude and this was important for us”, dichiara Wolfgang Voigt su Resident Advisor in un bell’articolo uscito in occasione del ventennale. A questo va aggiunto un altro ingrediente: una sfrenata passione per la musica ambient del tempo. La formula matematica che ne conseguì fu anche abbastanza facile: andare ad aggiungere ai suoni da viaggio del periodo una solida cassa in quattro.
Le uscite vennero divise in due segmenti. Da una parte il pop-ambient, di cosa si occupasse lo lascia intuire il nome stesso, dall’altra parte Kompakt Extra e i suoi Speicher, votata al ballo e al club. Nel mezzo, le semplici uscite Kompakt: un incrocio perfetto tra i due filoni ma non solo, anche casa di autentiche mine vaganti come Rex the Dog.
Se prendiamo le uscite del tempo di altre label e le confrontiamo con quelle di Kompakt, sono soprattutto due le cose che saltano all’occhio. La prima: Kompakt aveva un approccio meno fragoroso, più trascinato e ripetitivo rispetto ai trend del periodo. Sette battute uguali e all’ottava si cambia e si scende – o si sale – di tono, con l’entrata di un suono che si aggiunge al resto. Le tracce sono quasi “marcette” ossessive, alcune di fatte di fasi statiche, altre dai toni più saltellanti. La seconda differenza stava nella ricerca al di fuori degli ingredienti base descritti prima da Voigt: libertà assoluta. L’unico dettame era uscire dalle regole dogmatiche previste dalla techno e dall’house, andando a cercare la confusione totale e totalizzante. È questo lo spirito e – forse – il motivo per cui annualmente le uscite della casa vengono riunite in una compilation che si chiama semplicemente “Total”. Vale tutto, ci entra di tutto e “Lick The Pipe” di Superpitcher ( Speicher 44, 2006) arriva quando il suono era bello che formato ma rappresenta bene la follia, la confusione, la totale destabilizzazione a cui si accennava prima.
Chi passa su Kompakt e finisce in uno Speicher si adatta a questa maniera di fare musica, come il già nominato Superpitcher, che su Kompakt appare nello Speicher numero 4 (“Irre”, 2002), stessa cosa per The Orb (“Masterblaster”, Speicher 14, anno 2004), ci va vicino DJ Koze che vi appare per la prima volta nel 2003 con “Der Sager Vont St George”, presentandosi con un pezzo lontanissimo dai suoi canoni tipici; lo interpreta al meglio nel 2004 Steve Bug con “That Kid”, che passa per un’ ospitata suonando qualcosa di diversissimo dalle tracce che abitualmente uscivano su Poker Flat.
Pop Ambient, invece, pubblica una compilation all’anno divulgando eleganza e diventando anche per il settore massima espressione del genere. Sull’etichetta base Rex the Dog con “Prototype” (prima) e “Frequency” (poi) porta in Germania un suono seppur sempre ripetitivo ma di stampo acid/moroderiano che entra nelle chart del tempo.
Uscite a cadenza regolare, il suono di Kompakt si sta evolvendo ed è incredibile come, partendo da un’ idea primordiale di confusione e libertà, ne stia uscendo un suono definito unico e riconoscibile ad occhi chiusi. In questo il suo manifesto è lo Speicher 26.
Aprile 2005, Mathew Johnson rilascia una traccia da dieci minuti che racchiude in tutto e per tutto il pensiero Kompakt: ossessivo l’organo da chiesa e il vocal che sembra preso da un disco degli Enigma, il ritmo è una marcia ripetitiva, il basso è pulsante. Non è techno né minimal, magari ci va a braccetto, ma vi si scosta poco prima di contagiarsi. Viene definita microhouse, ma rende meglio l’idea se chiamata il “suono di Colonia”. Siamo nel 2005 e con un b-side altrettanto riassuntivo di Axel Bartsch la casa tedesca ha raggiunto uno status talmente importante da far dire a Simon Reynolds che la label ha contribuito più di ogni altra cosa al dominio tedesco nella musica elettronica.
Caaaannavaroooo! Via il contropiede con Totti, dentro il pallone per Gilardino…Gilardino la può tenere anche vicino alla bandierina…cerca l’uno contro uno…Gilardino dentro, Del Piero, Del Pierooooo! Goooooo! Aleeeeeeeeeex Del Piero! Chiudete le valige, andiamo a Berlino! Andiamo a Berlino! Andiamo a prenderci la coppa! Andiamo a Berlino!
Arena civica di Milano, l’Italia sta per mettere le mani sulla Coppa del Mondo. Quattordici anni dopo Pablito, Milano è in festa, io ascolto “Domino” di Oxia dalle cuffie mentre rincaso associando per sempre il pezzo di una delle mie label preferite ad un momento di gioia che rimarrà indelebile. È passato più di un anno dalla prima volta in cui ho ascoltato qualcosa di Kompakt: il 2006 con l’uscita “Total 7” marchia a fuoco il momento più alto della label. L’uscita di quell’anno ha dentro il meglio del meglio, su Extra sono arrivati Gui Boratto e il sopracitato Oxia. Alla traccia ventidue del doppio cd c’è “Over The Ice” di The Field, il pezzo esce nel maggio del 2006 fuori dalle uscite classiche degli Speicher e finisce per essere insieme a “Domino” uno dei pezzi in assoluto più suonati di quel periodo da tutti i dj del momento. Persino a ibiza, persino da Carl Cox, che lo mette in una delle sue notti allo Space (di quella serata si trovava un mp3 scaricatissimo).
Da questo momento in poi si comincia a scendere, la curva del successo cala inesorabilmente, le uscite si susseguono in fotocopia, seppur con gemme assolute come l’album d’esordio di Boratto e Scsi9 o “Up” di Perc and Fractal (Speicher52) – sette minuti e mezzo di un synth carico come un reattore che sale inesorabile fino all’esplosione e che per tutto il 2007 verrà copiato ed abusato più o meno da tutti.
Luglio 2012, sono passati cinque anni. Con un comunicato tra il serio e il faceto – o adolescenziale, come da loro stessi definito – Kompakt annuncia che la annuale uscita Total, il Volume 13, è cancellata, abortita, rien ne va plus.
Le motivazioni lasciano di stucco ma solo se non siete superstiziosi: molti hotel non hanno il tredicesimo piano, negli ospedali non esiste una camera tra la dodici e la quattordici, negli aerei manca la fila tredici e via discorrendo. Mayer e Voigt hanno una fottuta paura del numero tredici, forse ignorano il totocalcio italiano, ma va bene così. Di stucco dicevamo, ma la gente mormora altro. Da un po’ la ruota gira con qualche ingranaggio fuori posto.
L’album di Rex The Dog, che doveva conquistare importanti fette di mercato è uscito troppo tardi – e non su Kompakt – rispetto alle hit vecchie ormai di due anni. Si parla di liti, discussioni, mancanze di apertura mentale da parte dei due CEO.
Le stesse persone che tredici anni prima avevano parlato di confusione totale, di libertà e sperimentazione, oggi sono vittime dei loro stessi vizi. Il lato intellettualoide di Kompakt, la tendenza ad esagerare e a voler sorprendere sempre e comunque non sorprende più, si affacciano nubi che sanno di noia e stantio.
Non sono andati bene l’album di Supermayer (noioso crossover tra Michael Mayer e Superpitcher), né l’ultima uscita di Gui Boratto. All’alba del ventesimo compleanno della label non c’è nessuna voglia di sfidare né la sorte né la superstizione da un lato, dall’altro c’è la necessità di fermarsi a riflettere per preparare al meglio la strambata per il giro di boa, cercando se possibile di prendere un buon vento.
La luna cambia nel 2013, le stelle riprendono timidamente a brillare, le menti cominciano ad aprirsi o riaprirsi. Kompakt Records festeggia il ventennale in pompa magna: compilation, ricerca e scoperta di nuovi artisti, progetti che non trascendono più nello stralunato, “cortese barocco” (per intenderci “Mariposa” di DJ Koze è un buon esempio), ma che hanno un focus ben preciso. Si affaccia su Kompakt Kölsch, che per Voigt e Mayer vale quanto oggi Donnarumma al Milan.
La pausa di riflessione, il voler consolidare quanto di buono negli ultimi anni è stato prodotto: gli album di Gus Gus e The Field ad esempio servono a salvare il suono di Colonia.
Oltre al già citato Kölsch, che nel 2011 aveva cominciato a portare nuova linfa (“Der Alte”, Speicher 70) si aggiungono Terranova, Coma e il sudamericano Rebolledo e la sua body-music, che riportano in auge le Total. La numero quattordici è finalmente il ritorno di ottima musica, si stabilizza e si consolida: in qualche modo si diventa adulti.
Michael Mayer, che ci aveva regalato uscite memorabili come “Speaker”, “Lovefood”, “Transparenza” e una miriade di mix e remix mai sottotono, pubblica un album di featuring con collaborazioni preziose. Nei prossimi giorni, poi, uscirà il suo DJ-Kicks.
People don’t dance,
Papa don’t dance,
Cause that music got no groove,
Got no balls,
No,
Me hace pumpin’ pumpin’ pumpin’,
Por que yo quiero bailar,
Con un ritmo mas nocturno,
Mas profundo,
Mas sensual,
Basta ya de minimal!
Sono passati dodici anni da quel martedì notte in giro in macchina con il tedesco. Guardandosi allo specchio ci si accorge che è passata una vita, la notte ora è spesso fatta per dormire e in faccia ci son le rughe e i segni di una spericolata gioventù. Per quanto possa sembrare irrazionale rispetto alla storia raccontata all’inizio, fu proprio da quel 2005 che la musica cominciò a cambiare in senso vitale oltre che letterale, e fu proprio quella label ad interrompere eccessi e vizi.
Ascoltare Kompakt in quegli anni voleva dire fare una precisa scelta di campo, che si scostava dai paradisi sintetici che popolavano Milano, Ibiza, e forse l’Europa tutta. Ascoltare la musica dell’aquila ha voluto dire avvicinarsi al lato più intellettuale, sofisticato e – perché no – “radical chic” della musica da dancefloor. Non che non si ascoltassero le uscite Minus, non che non mi affascinasse Berlino o tutto il movimento minimale con cui nella prima decade del nuovo secolo tutti si sono bene o male riempiti le orecchie, ma l’approccio era cambiato. L’ascolto non era più in scala con il salire e scendere della metilenediossimetanfetamina ma era votato alla riscoperta, ad una sperimentazione fatta da chi produceva e da chi ascoltava, un ritmo “mas nocturno, mas profundo mas sensual”.
Non c’è sensazionalismo nell’affermare – almeno da parte mia – che il suono di Colonia è stato un salva vita oltre che uno splendido amore, come quelli un po’ più grandi che ti indirizzano, ti cambiano, ti crescono. È andata così e – a ripensarci un’ultima volta – è stato un cambiar vita.
Dopo averci riempito gli occhi con le bellissime illustrazioni per il Purpose Makers di Motor City Drum Ensemble, Daniele Saccardi, nelle vesti Ultra Pulp, torna ad arricchire le nostre pagine con un bellissimo lavoro.