Album in chiaroscuro quest’ultimo del duo tedesco (originario di Amburgo) Kruse & Neurnberg. Partenza molto positiva con la movimentatissima e assai raffinata “Let’s Call It A Day”, pezzo che, fra le altre cose, assegna il titolo all’album e pezzo che, a mio parere, meglio rappresenta l’ottica sonora di questi ragazzi. Influenze rock/blues, assoli di piano, voci di ragazzini e di belle signore e quel ritmo intervallato che fa molto “sweet house”. Bel pezzo, ottimo inizio – credo di averlo già detto. L’album poi prosegue con “For My Life”, una collaborazione (la voce è di un certo Stee Jones) davvera ben riuscita. La traccia si presenta come un inno positivo e brillante, quattro minuti e mezzo carichi di speranza e schitarrate elettroniche, controtempi e grande respiro, ed ecco che in un attimo sei al lago, su una montagna o in mezzo ad una maledetta isola che ovviamente non c’è.
Le cose peggiori i ragazzi probabilmente le mostrano quando si addentrano nei 4/4. Sembra tutto leggermente forzato: house monotona e prevedibile quella di “Last Chance”, e strasentita. Decisamente troppo da spiaggia ibizenca quella di “Music Does The Talking”. Voi mi potreste chiedere cosa ho contro Ibiza. Beh, niente di personale… ma a volte la musica sì, ce l’ha proprio con quelle spiagge. “Music Does It Talking”, in particolare, sembra un pezzo ispirato dalla copertina arancione di un cd del 2003, di quelli con la biondina con tanto di occhiali da sole a specchio, drink e bikini nero che, con l’occhio sinistro rivolto al tramonto photoshoppato, giura: se compri il disco te la do. Che in fondo il pezzo non è totalmente da buttare, il finale è un bel crescendo di sovrapposizioni alte (anche se personalmente avrei spento la cassa un po’ prima). Ma il punto è: come fai a resistere i quattro minuti precedenti senza cambiare?
“People Like Us”, invece, è uno squarcio di luce cristallina in mezzo a un album già molto solare, e proprio per questo ancora più inaspettata. Sono tedeschi, la botta dark prima o poi te la aspetti. E invece no, niente botta. Archi selvaggi e cassa minimale di quella sgonfia, sgasata, finchè fuori dalla finestra non ti accorgi di quello stormo di uccelli che vola via veloce sopra casa tua, verso il deserto, la savana e la foresta. Amburgo. Berlino. Ma non finisce qui. Si chiude con “White Smoke”, una botta sperimentale senza l’ombra dei bassi e senza troppa grazia. Giusta quanto basta per farti sentire a casa, ovunque tu sia.