“Investire bene”? Fare affari ben fruttuosi ad esempio, come ci stanno dicendo i nostri amici di Unotre ed Edison con una serie di dritte ben precise qui (dateci una letta!). Beh, se poi vogliamo allargare il ventaglio alle cose “nostre”, e magari siete pure appassionati di calcio: a proposito di investire bene, “plusvalenza” è una parola che sarà la vostra delizia o il vostro incubo (soprattutto la seconda, ormai: visto che il campionato italiano si è specializzato nel cedere/rifilare giocatori, soprattutto in Inghilterra, per generare la famosa plusvalenza), vero? In realtà sarebbe divertente si potesse applicare nella scena elettronica in modo sistematico. Sì, perché la nostra scena è particolarmente “mobile” sotto questo punto di vista: esattamente come i calciatori che aumentano di valore, anche dalle nostre parti i cachet possono salire all’improvviso, arrivando a moltiplicarsi.
Se scopri un calciatore a trecentomila euro di cartellino e lo rivendi a tre milioni due anni dopo, il guadagno è tutto tuo, cara società proprietaria originaria del cartellino. Da noi, nel nostro macrocosmo della club culture, la faccenda è un po’ diversa: se sei un promoter che ha fiuto e chiudi un artista a pochi soldi con lo stesso artista che dopo due anni diventa famosissimo chiedendo il decuplo, beh, ogni tanto la cosa ti viene riconosciuta, ogni tanto no. Ti viene riconosciuta come? Ad esempio, l’artista (e/o il suo management) decide sempre di collaborare con te, quando ricade nella tua zona geografica; quindi avrai una specie di prelazione. O anche: si sparge la voce che sei uno bravo a scovare i veri talenti in anticipo, quindi la gente si fida di te, supporta quello che fai, e pure se proponi una line up con nomi non troppo noti viene comunque, perché di te si fida, perché ha il ragionevole sospetto che sta per scoprire prima del mondo intero artisti notevolissimi (quindi potrà pure giocarsi la carta de “Io XYZ lo conoscevo ben prima di te”).
Ma quanto spesso succede, tutto questo? Perché sappiamo come vanno spesso le cose. Vanno che quando l’artista diventa famoso, molto più famoso rispetto a due anni prima, spesso lui o il suo management alzano le spalle e ti dicono “C’est la vie… à la guerre comme à la guerre, al booking come al booking”, mentre corrono in braccio ad altri promoter più potenti di te, naturalmente dopo averti fatto comunque tanti complimenti e essersi profusi in tanti “grazie” per essere stato il primo a crederci quando non lo faceva nessuno. Oppure succede che il pubblico, il benedetto pubblico, è distratto: non importa il rapporto di fiducia con chi organizza e i suoi meriti passati, no, “va dove ti porta il nome in line up” invece, meglio se grosso il nome, se lo conosci, se fa figo esserci alla sua serata.
Cosa che ha generato un’asta sui “soliti” nomi, tra l’altro. Un’asta ogni tanto impazzita, quasi come quella dei calciatori (…ma in Inghilterra, prima o poi la smetteranno di strapagare decine di milioni di euro semplici manovali del pallone? E le grandi spagnole? E i neo-ricchi alla PSG che pare giochino coi soldi del Monopoli?). Pensateci: ci sono artisti che inizialmente era possibile far suonare per 1000/1500 euro che ora tuttavia chiedono 20/25/30/40.000 euro per una singola data. Se non è plusvalenza questa! Hanno fatto nel frattempo dei dischi che hanno cambiato la storia della musica? Hanno inventato dei nuovi stupendissimi generi musicali ex novo? Sì. Ma qualche volta anche no.
Insomma, mettiamola così: a prima vista, mettere dei soldi sulla scena elettronica e nel mercato dei booking potrebbe sembrare un ottimo investimento. Un mercato mobile, dinamico, effervescente. Dove, se azzecchi il colpo, puoi realizzare dei profitti notevoli. Punti mille, dopo cinque anni ti puoi trovare in mano venticinquemila: il sogno di ogni imprenditore un investimento del genere! Tutto questo sembra molto bello. Ma è semplicistico. In realtà lì fuori è una guerra: pesci grossi che mangiano pesci piccoli, serate commerciali che cannibalizzano i contenuti delle serate più coraggiose (facendoci i soldi sopra senza aver rischiato nulla prima, lasciando nelle peste chi il rischio se l’era preso), poca memoria storia sia degli artisti che del management che del pubblico. Ecco: è così che passa la voglia di fare investimenti.
Musica e la cultura sono qualcosa che va al di là dei numeri: è (anche) un insieme di emozioni, di emotività, di relazioni, di empatia. Nel portare avanti bene il tuo “investimento”, devi tenere conto anche di questo
Male. Gli investimenti sono fondamentali. Gli investimenti significa credere nel futuro, credere nelle proprie scelte. Gli investimenti significano progresso, avanzamento. Dobbiamo cercare di proteggerli. E allora, chiediamo prima di tutto al pubblico di dare un occhio di riguardo a quelle serate che fanno ricerca vera, che provano ad “anticipare” i fenomeni invece che cavalcarli, che hanno dimostrato negli anni di saper fare bene questa cosa, con acume, entusiasmo ed onestà. Chiediamo lo stesso anche agli artisti e ai loro management: sì, lo sappiamo, ad un certo punto quando entri nel meccanismo guardare prima di tutto alla massimizzazione dei profitti è anche una modalità di auto-difesa – tutti ti tirano per la giacchetta, tutti ti vorrebbero (magari a prezzo “da amico”), tu per non fare torto a nessuno vai dove c’è l’offerta migliore. Ma se tu artista o tu management vuoi tutelare il tuo investimento – che è un investimento su arte e talento – non devi affidarlo completamente al mercato. Perché il mercato è crudele. Non ha memoria. Non ha pietà. Ha i numeri. Ma per fortuna la musica e la cultura sono qualcosa che va al di là dei numeri: è (anche) un insieme di emozioni, di emotività, di relazioni, di empatia. Nel portare avanti bene il tuo “investimento”, devi tenere conto anche di questo.
Certe volte, alcune plusvalenze diventano col tempo una condanna, anche se (o soprattutto se) ricchissime. Anche qualche calciatore e qualche procuratore ha scoperto quanto questa cosa possa accadere, possa dire improvvisamente vera. Figuriamoci coi musicisti. Ma al di là di questo, se vuoi vivere in un eco-sistema economico ed imprenditoriale sano deve esserci più fair play possibile. Il fair play che ti fa dire, tra le altre cose, “Ok, investo, perché potrebbe valerne la pena”. Se mai capiterà che questa attitudine scompaia, vorrà dire che ci saranno in pista solo quelli che vogliono buttare soldi dalla finestra perché ne hanno a pacchi di famiglia, o i pesci grossissimi che si pappano regolarmente quelli piccoli, praticamente manco li fanno crescere o sviluppare.
Non vi fa un po’ paura, un mare così? Ecco. Teniamo la barra dritta, cerchiamo sempre una realtà sostenibile. La responsabilità è di tutti.