Certe volte lavori mesi per mettere insieme idee e spunti per un articolo, certe volte succede invece che magicamente (e casualmente) accadano una dietro l’altra tante piccole cose davanti a te facili da mettere una accanto all’altra, in perfetta consequenzialità logica. E quindi insomma, qualche giorno fa capita che un tuo amico e collega – lavoratore anche lui nel campo dell’industria musicale, nel suo caso come ufficio stampa – decida di lanciare un sasso bello pesante tramite la sua pagina Facebook. La denuncia è chiara, e viene postata con tanto di copia&incolla del carteggio mail intercorso, cancellando tuttavia i nomi: lui, ovvero l’ufficio stampa, prova a proporre a un sito il disco di una band, il sito risponde – riassumiamo un po’ – “Bella lì, ci interessa, fanno 25 euro a recensione, grazie!”. Già: per questo sito, di cui non faremo il nome, se tu vuoi che l’album che proponi (da ufficio stampa, ma immaginiamo anche da artista) venga recensito devi sganciare 25 euro. Avete capito bene. Simpatici, vero? Come la sabbia nelle mutande. E onesti come un rivenditore per posta di occhiali a raggi X che ti permettono di vedere le donnine nude.
Riprendi la cosa sul tuo, di profilo Facebook, per vedere l’effetto che fa. E in pubblico o in privato ti fioccano conferme, con tante storie più o meno simili; tra le conferme pubbliche, quella che ti segnala un tuo stretto socio soundwalliano è molto succulenta. Cliccate qui. Si presenta bene, vero?, con quest’aria da wannabe professionalità… con tanto di “KEYWORDS” in caps… Leggete però bene la loro offerta; soprattutto, leggete il punto 5. Offrono, mettono cioè a disposizione del “cliente”, anche “Review delle ultime uscite discografiche e/o release”. (update importante: pochi minuti dopo la messa on line di questo articolo, a Soundbound hanno cancellato il decalogo, quindi ovviamente anche il famigerato punto 5) A parte la sottigliezza del supporre una distinzione (quale?!) tra “release” ed “uscita discografica”, potresti liquidare questa cosa come l’ennesima figura di merda di un qualcosa di ahimé molto italiano – ovvero quelli che si improvvisano navigati professionisti, scimmiottando gergo e comportamenti di chi professionista lo è davvero, ma si comportano in realtà come i peggio arruffoni dilettanti ramazza-rumenta (perché questo sono). Una figura molto italiana, davvero, e scusateci se ci stiamo esprimendo come Stanis La Rochelle di “Boris”: però è così. I peracottari da noi prosperano. Molto più che altrove. Quindi da un lato te la tiri facendo una pagina professionale per il marketing e l’advertising, con tanto di termini inglesi, dall’altro ti svendi senza ritegno come l’ultimo degli sfigati.
Fortunatamente i peracottari, il più delle volte, alla fine della fiera durano poco e ottengono poco, se per non per brevi periodi in cui possono o incantare menti semplici, o vivacchiare sulla rassegnazione collettiva (molto italiana…) per cui si sa che il merito è una complicazione e chi invece fa le cose a cazzo è in fondo un furbo che se la sa giocare. Nella realtà dei fatti, il tempo è abbastanza galantuomo: è vero, per colpa dei cialtroni anche molta gente corretta e in gamba non riesce a rendere sostenibile il suo business (perché le già non molte risorse disponibili sono drenate dai cialtroni), però vedendola in altro modo chi riesce a resistere per anni nel business – qualsiasi business sia, anche quello musicale nelle sue varie declinazioni – è quasi sempre qualcuno che lavora seriamente, e con correttezza. Ci lamentiamo che in Italia è tutto sclerotizzato, e non viene data fiducia ai giovani: ma questo accade non solo perché i “vecchi” sono stronzi ed attaccati alla poltrona, ma anche perché i “giovani” – spesso – provano ad usare scorciatoie e trucchetti, “perché così fan tutti”, senza però avere l’esperienza per poterlo fare (ammesso e non concesso che sia lecito farlo). Un circolo vizioso che si potrà spezzare solo quando entrambe le parti in causa avranno fatto ammenda ed inizieranno a comportarsi per bene. C’è una realtà molto forte a Milano nel campo degli eventi techno, ora rinsavita e convertitasi alla correttezza, che aveva iniziato facendo eventi al di sopra delle proprie forze economiche ed organizzative e chiamando artisti che poi non era in grado di pagare; la reazione iniziale, invece di un sano mea culpa e zitti tutti, era stata spesso e volentieri una selva di comunicati e dichiarazioni sull’onda del “Le amministrazioni, la società tutta sono contro noi giovani! Cattivi! Nazione di merda!”.
La nostra nazione è, su molte cose, di merda. Ok. La società e le amministrazioni pubbliche sono bastardamente sospettose nei confronti dell’imprenditoria e della cultura giovanile, elargendo troppo poco credito (economico, morale, istituzionale). Ma la colpa non è di una parte sola. E tra l’altro le istituzioni, se stanno dove stanno, è perché le abbiamo votate noi. O se non noi, i nostri amici, i nostri parenti, i nostri genitori.
Insomma: siamo tutti responsabili. E dobbiamo sempre più sentirci tali, in particolar modo in una società complessa, interconnessa e dinamica come quella attuale. Il fatto che otteniamo attenzione o produciamo cose facilmente (promuovere una serata, giocare a fare i giornalisti, far uscire dei cd…), molto più facilmente rispetto a prima, ci deve obbligare anche ad essere doppiamente attenti ed esigenti rispetto a prima. Invece accade il contrario, purtroppo. Tornate un attimo alla paginetta di Soundbound, e alle sue recensioni “in vendita” (cosa gravissima): com’è possibile che nell’elenco “Loro si sono fidati di noi. E tu?” ci siano realtà come Bellaciao, Dancity Festival, Serendipity, Detroit Milano, Take It Easy, Lattex Plus, Red Zone? Come diavolo è possibile? Risposta: magari non ne sapevano nulla di essere finiti in quella pagina lì come fiancheggiatori, una pagina dove nero su bianco si offrono recensioni a pagamento, magari col sito in questione hanno fatto solo delle innocenti – e lecitissime – media partnership. Bene: ora lo sanno, di esser lì. Qualcuno glielo dica. Vediamo quanto tempo ci mettono a schiodarsi da lì. Perché è un disonore, manco troppo piccolo, essere anche lontanamente associati a un sito che conclamatamente vende recensioni; e perché chi comunque fa queste pratiche e addirittura le rivendica merita di essere condannato. Merita di essere costretto a fare tutt’altro, levandosi di qua, dal sistema dei media specializzati, perché inquina l’aria. Tolleranza zero. Smettiamola, amici organizzatori di serate, di supportare articoli di magazine che disprezziamo… che però magari per una volta parlano delle nostre serate e allora all’improvviso vai di condivisione sui social, “In fondo che male c’è…”.
“Siamo tutti responsabili. E dobbiamo sempre più sentirci tali, in particolar modo in una società complessa, interconnessa e dinamica come quella attuale.“
Dobbiamo diventare esigenti. Molto esigenti. E sapete perché questa è diventata un’urgenza? Perché stiamo vivendo in tempi molto pericolosi e sdrucciolevoli per l’informazione. Molto. Perché l’informazione, con internet, siamo abituati ad averla gratis. E allora chi produce informazione, per andare avanti con accuratezza e professionalità, deve imparare ad avere a che fare coi rischi feroci del reperire risorse che non arrivino dai propri lettori, ma dagli inserzionisti. Chiunque essi siano. Conclamati o occulti. Avete capito? Vi è chiaro il concetto?
“Stiamo vivendo in tempi molto pericolosi e sdrucciolevoli per l’informazione. Molto. Perché l’informazione, con internet, siamo abituati ad averla gratis.“
Sì. Perché quando si postano denunce su come certe testate chiedano dei soldi per una recensione o una copertura editoriale, tutti si lamentano, fanno la faccia schifata, provano ribrezzo; e va bene, ci mancherebbe. Ma questo qualche volta (e anzi più di qualche volta) alimenta un riprovevole populismo qualunquista inquisitorio per cui “Il denaro è lo sterco del demonio”, “Sono tutti corrotti”, “Magari non ti chiedono soldi direttamente per una recensione, ma scrivono di te solo se compri pubblicità: schifosi pure loro”. Parte la gara a chi sputa più disprezzo (…per poi magari, cinque minuti dopo, per promuovere la propria serata, dimentica il proprio improvviso ed incorruttibile manicheismo).
I soldi, girano. I soldi servono: non fosse altro che per pagare il dominio e appoggiarsi su un server decente. Anche il sito che state leggendo incamera soldi da alcuni banner: sorpresi? Banner che possono essere acquistati da marchi, etichette, serate, festival. Ma di una cosa potete stare sicuri: staremo sempre attenti a mantenere un equilibrio attentissimo. Perché i nostri giudizi e le nostre opinioni non sono in vendita. Non esiste cifra al mondo che ci possa far dire bene di una cosa di cui pensiamo male, in sede di recensione. Anche perché, a fare così, sul breve potremmo incamerare la cifra X, sul lungo finirebbe completamente sputtanata la nostra credibilità. Ovvero ciò che continua a sembrarci la cosa più preziosa, a livello personale e come testata.
Ecco: fateci sentire non stupidi a comportarci così. Siate esigenti con noi. Molto esigenti. Leggete. Pretendete qualità. Controllate la solidità dei nostri giudizi (giudizi coi quali potete anche non essere d’accordo: non esiste qualcosa o qualcuno che metta d’accordo tutti, ma esiste sempre e comunque l’onestà intellettuale). E, di conseguenza, punite senza ritegno chi è troppo paraculo, chi parla bene di questo o quello solo per ingraziarsi i suoi favori o il suo portafoglio. Punite chi pensa che le recensioni possano essere messa in vendita, punitelo duro. Punite chi copia&incolla materiale altrui firmandolo come proprio (una prassi che, con la scrittura in digitale e coi tasti ctrl+c e ctrl+v, è aumentata vertiginosamente). Punite chi addotta due pesi e due misure: apologetico e lodatorio con chi è amico o chi paga, ostile e sprezzante con chi non lo è o non lo fa.
Con internet sono migliorate moltissime cose: più facilità di accesso alle informazioni, più informazione in generale, un approccio molto più “orizzontale” tra produttori e fruitori, un’interazione molto più fitta, una possibilità di “fact checking” molto più diretta, efficace, immediata. Ne sono tuttavia peggiorate alcune: le informazioni possono diventare un flusso incontrollabile, dove è molto più difficile distinguere tra qualità e dozzinalità, tra originalità o parassitismo furbetto; in più, come dicevamo, col fatto che il “materiale informativo” sia spesso percepito come qualcosa che si può e deve avere gratis, si è “abbandonato” al suo destino chi questo materiale informativo lo produce, chiedendogli di procurarsi risorse per il suo lavoro non direttamente dai fruitori, ma da parti terze ed interessate (gli inserzionisti). E’ utopistico, ingenuo e fuori dal tempo pensare al giornalismo di un tempo, quello in cui il giornalismo e l’informazione sono completamente slegati da ogni forma di contatto, anche minimo e innocuo, col mondo dell’economia e della produzione. I maggiori giornali italiani e mondiali se fanno un servizio di moda è perché – come minimo – hanno ricevuto materiale da questo o quel marchio, se fanno un servizio sul turismo è perché hanno ricevuto viaggi omaggio per i giornalisti da Associazioni Turistiche specifiche. Quando poi si entra nel campo dell’informazione politica ed economica, c’è il fenomeno del lobbying: qualcosa che in Italia spesso si fa ma non si dice perché “fa brutto”, nel resto del mondo occidentale più civilizzato è accettato, riconosciuto, regolamentato. Ecco, questo giusto per fare degli esempi. Anche lo spot: quando guardate le interviste esclusive a questo o quel calciatore, magari estero, sappiate che il viaggio del giornalista e la disponibilità stessa del calciatore all’intervista è stata contrattata, quattro volte sul cinque, col marchio sportivo che lo sponsorizza.
Tutto questo tuttavia non impedisce che ci siano servizi di moda fatti molto bene, articoli di viaggi e turismo incredibilmente interessanti, analisi politiche ed economiche acute e stringenti, interviste a calciatori che sono pezzi di alta letteratura.
Questo equilibrio sta e starà in piedi solo fino a quando sarà il lettore a riconoscere e a premiare la qualità, giorno dopo giorno, instancabilmente: se il lettore inizia a non distinguere più fra qualità e marchetta, fra entusiasmo e leccaculismo, fra critica onesta e critica preventiva, allora rischia veramente di imbarbarirsi ed impoverirsi tutto quanto. Quindi capite, voi che leggete avete una grandissima responsabilità. Grandissima. Avete le cose a gratis o a prezzi molto bassi, ma in cambio – se volete bene a voi stessi – dovete essere sempre dei lettori molto attenti e molto esigenti. Lettori senza fette di prosciutto sugli occhi, e senza concessioni sterili a “E’ tutto una marchetta, è tutto un magna magna”: perché no, non lo è. In un sistema economico come quello occidentale 2.0 la merce e la pubblicità sono ovunque, ma il cittadino ha tutti i mezzi per orientarsi in modo saggio e consapevole in questo mare magnum. E lo fa dando prima di tutto attenzione alla credibilità, all’autorevolezza: ecco perché svenderla per 25 euro (o 250, o 2500) è un pessimo affare…
“Voi che leggete avete una grandissima responsabilità. Grandissima. Avete le cose a gratis o a prezzi molto bassi, ma in cambio – se volete bene a voi stessi – dovete essere sempre dei lettori molto attenti e molto esigenti.“
(questo articolo è lungo e complesso; se fossimo stati pagati per scriverlo e pubblicarlo da qualcuno, sarebbe stato molto più corto e semplice)