18 Febbraio 2017, Magazzini Generali.
In un posto dove abbiamo visto vissuto serate leggendarie animate da artisti altrettanto leggendari (giusto per citarne un paio: Sven Vath nei primi anni 2000 con la neve fuori, Richie Hawtin di domenica sera a uno dei party di lancio dell’edizione italiana di Trax con poco più di un centinaio di persone, un rarissimo e gremitissimo dj set dei Chemical Brothers, ma potremmo andare avanti per ore) e che quindi è stato fondamentale per l’educazione musicale di tantissimi milanesi e non solo, stasera, c’è la Dark Polo Gang e il pubblico è sensibilmente diverso da quello che ci ricordavamo.
L’età media è all’incirca la metà della nostra o giù di lì: azzarderemmo che, escludendo chi scrive, i suoi compari e i genitori venuti per accompagnare i figli, il numero di nati nello scorso millennio tra il pubblico stia tranquillamente nelle dita di una mano.
Cosa ci facciamo lì, allora, e cosa ci fa la DPG su Soundwall? Non è solo quella curiosità un po’ becera che è in fondo la stessa che si prova nei confronti degli incidenti stradali, e ovviamente non si può certo dire che ci piacciano Tony, Wayne, Side e Pyrex, anzi: non è neanche solo per una manifestazione di supponente superiorità, altrimenti nota come “per il LOL”, che siamo qui, ma per un po’ tutte queste cose insieme.
Eppure, dopo quasi una settimana dal concerto più brutto che ci ricordiamo di aver mai visto, ci sentiamo comunque di fare qualche riflessione, se non altro perché un soldout in una delle location più grandi di Milano, in un modo o nell’altro, dà da pensare.
Chiariamo subito una cosa: non abbiamo alcuna intenzione di dare addosso alla DPG perché non chiude le rime, perché non ha neanche una vaga idea del concetto di “flow”, o perché i quattro non sono in grado di andare a tempo neanche cantando sopra le loro stesse voci o perché i loro testi sono evidentemente scritti da qualcuno che forse l’anno prossimo se si comporta un po’ meglio può iniziare la seconda elementare: da che mondo è mondo i “giovani” ascoltano musica che alle orecchie dei “vecchi” è merda fumante e chi scrive deve ancora finire di farsi perdonare dai propri genitori per i viaggi in macchina verso la scuola alle 7 di mattina con gli Stunned Guys, quindi no, non ci interessa e non sta a noi dire se Wayne e soci siano bravi, ci interessa più capire come e perché ottengono il successo che ottengono.
Com’è possibile che quando Side, uno che peserà 10 kg, si toglie la maglia mostrando il suo scultoreo fisico da sollevatore di polemiche il livello ormonale raggiunge quote mai viste e tutto intorno a noi i messaggi “ODDIO NOOOOO TRP BONOOOOO” su Whatsapp si sprecano? Perché nessuno si accorge, o sembra non volerci fare caso, che Wayne ha il microfono spento per la maggior parte dello show? Come mai quando Pyrex dopo il centodecimo “Quando dico tre dite sette, tre! Sette!” si lamenta che il pubblico milanese “non sta a fà casino” nessuno gli fa notare che probabilmente c’è un motivo?
La verità è che nel loro i ragazzi della DPG sono bravi, e neanche poco. Quello che le schiere di hater non capiscono, o non vogliono capire, è che il loro non è la musica, la musica per la DPG è un di cui, è un pretesto per poter mettere in piedi delle performances live e dei video su Youtube, con buona pace del povero Sick Luke (o come lo chiamano loro, Sick Luke Sick Luke) che invece di musica sembra per lo meno interessarsi e a cui auguriamo di non restare invischiato nel ruolo di “quello della DPG” e di mettere a frutto meglio il talento che ha già mostrato a sprazzi.
Sono bravi perché hanno creato quello che una volta si chiamava “lifestyle”, che comprende il modo di vestire, di parlare, di comportarsi e in definitiva di sentirsi gang che, in fondo, è esattamente quello che cercano gli adolescenti in un momento in cui sentono il bisogno di costruire la propria identità: non è importante condividere al cento per cento i valori, o la loro assenza, che la DPG rappresenta, perché il fulcro dell’esperienza è il momento in cui all’ennesima richiesta di fare i cuoricini con le mani Tony Effe grida “voi siete la Dark Polo Gang” e si alza l’ovazione più grossa della serata, è guardarsi attorno e vedere più felpe della Roma che del Milan o dell’Inter, a Milano.
Sono bravi perché hanno una presenza online e un modo di gestire le performances dal vivo che cerca in maniera sfacciatissima, ai nostri occhi un po’ più esperti, la reazione virale, il meme, la condivisione sui social media ma al tempo stesso sono riusciti a costruirsi un personaggio abbastanza ben curato da lasciarti sempre in dubbio se ci siano o ci facciano, se si prendano sul serio o no, se ci credano veramente oppure no, il che è un meccanismo di aggancio potentissimo perché ti “costringe” a seguire le loro gesta nella speranza di capire se davvero siano stupidi come sembrano oppure siano estremamente furbi (spoiler: secondo noi due di loro sono furbi e gli altri due no) e al tempo stesso dà loro la possibilità di dire tutto quello che gli passa per la testa, tranquillamente protetti dalla barriera del LOL e dal fatto che nonostante quello che si pensi gli adolescenti che li seguono sono molto più svegli di quello che si pensi, se è vero che abbiamo raccolto un commento di un ragazzo del 2001 secondo cui “sì ok fanno cagare non sono capaci ma fanno ridere”, a testimonianza che nessuno li prende totalmente sul serio.
Quello che ci sembra estremamente interessante, oltretutto, è che proprio la stessa sera, nella stessa città, un buon numero di persone che della DPG ignora l’esistenza o che comunque reagirebbe con un “che cazzo è questa merda?” era in un altro locale a sentire uno che venticinque anni fa aveva la stessa quantità di hater di Wayne e soci anche senza Internet e li ha tuttora, uno che sostituisce “bacini cuoricini” con “I’ll fly with you”, “777” con “Lento Violento” e “Bufu” con “A a bem warem a bem bem”, a dimostrazione che anche se la fruizione musicale è cambiata drasticamente ed è, ovviamente, anche cambiato il suono, le dinamiche sono sempre le stesse.
Per far presa sugli adolescenti, ora come allora, “basta” essere radicalmente diversi da quello che c’era prima, non solo con la musica ma con l’intero immaginario che ci sta attorno: non è un caso se la DPG nelle interviste evita sempre in maniera piuttosto plateale il dissing degli altri rapper ma anzi dispensa bacini e cuoricini per tutti, rifiutando apertamente uno dei meccanismi alla base della storia dell’hip hop: è lo stesso atteggiamento per cui, altrettanto platealmente, tutti loro dichiarano spesso e volentieri di non fare rap né hip hop né trap: cosa c’è che faccia più presa su un pubblico che sta cercando di capire chi è che dir loro “noi non siamo come chi c’era prima, voi che ci seguite non siete come chi c’era prima”?
È successo, a suo tempo, con la techno, con l’acid house, col rap, col rock’n’roll, col punk e con più o meno qualunque altro fenomeno di successo in quella fascia d’età: non conta la qualità musicale (anche se in molti casi c’è e in questo non siamo in grado di dire se ci sia), conta la capacità di aggregare nella diversità, e noi onestamente in questo non riusciamo a vederci niente di male, anzi: ci sembra molto più triste restare aggrappati alla stessa diversità a venticinque anni di distanza, quando ormai è stata sdoganata e resa inoffensiva.
In altre parole, ci sembra molto più da vecchi barbogi andare a sentire Gigi D’Agostino nel 2017 che schifare la Dark Polo Gang ma cercare comunque di capirla.