Intro
Alla fine del 2013 iniziai a lavorare ad un reportage dedicato alle ristampe di vecchie rarità. Lo intitolai “L’invasione dei memorabilia”, venne pubblicato da una rivista a marzo del 2014, e gravitava su decine di titoli e citazioni, panoramiche di etichette come Bombay Connection, Vinyl On Demand e Minimal Wave e svariate testimonianze esclusive di chi stava alimentando il motore di quel particolare fenomeno, da Janis Nowacki della Private Records a Troy Wadsworth della Medical Records, da Josh Cheon della Dark Entries ad Antonio Barreiros della Golden Pavilion. Due gli italiani coinvolti, Massimo Gasperini della Black Widow ed Alessandro Adriani della Mannequin Records. Dalla mia indagine sono trascorsi esattamente quattro anni e quella che per alcuni era solo una tendenza passeggera destinata ad esaurirsi nell’arco di un biennio al massimo si è confermata invece come realtà ben consolidata e in costante espansione. Le etichette nate espressamente col fine di ridare voce a musica del passato sono aumentate in modo sensibile lasciando intendere che sia ulteriormente cresciuta anche la percentuale degli ascoltatori che impazziscono per tutto ciò che è retrò e/o commemorativo. Un’autentica “vintage fever” che continua a salire anche grazie a gruppi che si ricongiungono, album tributo, cofanetti, reunion tour e, per l’appunto, ristampe di ogni tipo supportate pure dalle major, allettate da un mercato che sembra promettere più che bene.
Il “ri-decennio”
È opinione comune che la dance elettronica, dopo essere stata culla di grandi novità regolarmente assorbite dal pop, abbia smesso quasi del tutto di generare cose nuove. Come scrive Simon Reynolds in “Retromania”, «invece di spalancare le porte del futuro, i primi dieci anni del XXI secolo hanno finito per qualificarsi come il “RI-decennio”: REvival, RIstampe, REmake, RIcostruzioni. Per non parlare poi del perenne sguardo REtrospettico. I Duemila sono stati il decennio del RIciclaggio rampante, generi d’antan RIvitalizzati e RInnovati, materiale sonoro d’annata RIprocessato e RIcombinato». Insomma, l’impressione è che l’avanguardia di un tempo sia stata irrimediabilmente sostituita dalla retroguardia. Un passato forse più attrattivo del presente misto ad uno spirito di tutela del patrimonio ha creato i presupposti per la genesi di un segmento di mercato un tempo dalle dimensioni assai ridotte ma oggi in costante sviluppo ed espansione. L’industria contemporanea delle RIstampe sta imprimendo a fondo la propria presenza contribuendo a mutare il concetto di rarità, ma non manca chi sfrutta il momento solo per un tornaconto economico. Per questo il settore dei reissue risulta perennemente in bilico tra lodevole missione culturale e deplorevole speculazione. Se nei tardi anni Novanta/primi Duemila c’era chi, occasionalmente, recuperava cose più o meno meritevoli del passato prossimo o remoto, dal 2005 in poi vanno affermandosi sempre di più quelle realtà interamente dedite alla RIabilitazione sonora. Una nuova forza dominante genera le cosiddette REissue label, trampolino di lancio di nuovi generi e tesori bizzarri. A tal proposito è opportuno tornare a sfogliare “Retromania” in cui Reynolds spiega che la cultura del collezionismo discografico desidera aprire nuove frontiere e lo fa reinventando il passato, valorizzando artisti e musiche ignorate ai tempi della pubblicazione originaria o addirittura scartate dai manager discografici. Il giornalista britannico affronta anche il discorso di natura economica, scrivendo che «collezionisti-esploratori condividono l’interesse a promuovere generi inventati per far lievitare il prezzo degli articoli originali. Tra gli ultimi ritrovati abbiamo la italo disco e il minimal synth. Quest’ultimo indica un filone apparentemente inesauribile di elettronica do it yourself dei primi anni Ottanta, low budget e di norma pubblicato in proprio, spesso su cassetta, e composto da gruppi che sarebbero diventati i Depeche Mode o i Soft Cell se fossero stati capaci di scrivere una canzone, oppure cloni dei Suicide, DAF e Fad Gadget. Eric Lumbleau di Mutant Sounds, che ricorda di aver visto il termine per la prima volta su eBay attorno al 2003, è convinto che fosse “nato dalla furbizia dei venditori di dischi che volevano ricontestualizzare alcuni album synthpop-new wave di ieri, stampati in proprio e relegati ai bidoni delle offerte, come tesori rarissimi di domani».
Chi c’è dietro la reissueland?
A popolare ed animare il mondo delle ristampe prese in considerazione in questa inchiesta sono in primis appassionati curatori, desiderosi di ridare (o dare per la prima volta) supporto e linfa vitale a musiche confinate al semi o totale anonimato. Per svolgere un lavoro di questo tipo è innanzitutto necessario un poderoso background musicale che travalichi abbondantemente la conoscenza sommaria di musica. Non è sufficiente, come qualcuno potrebbe ritenere, “pescare” dal cilindro delle hit parade di venti, trenta o quarant’anni fa, le reissue label con intenti “archeologici” necessitano di esperti conoscitori della materia, magari animati pure da uno spirito nazionalistico/patriottico che non fa certamente male. A loro però, come annunciato poche righe fa, si aggiungono anche biechi profittatori che traggono benefici economici nascondendosi dietro intenti culturali. È il caso di chi ristampa materiale senza avere alcun permesso dai detentori dei diritti, in alcuni casi ricorrendo a fonti risibili come file audio estrapolati da YouTube. Pochi mesi fa Discogs ha inasprito fortemente la battaglia contro bootleg e pubblicazioni non ufficiali ricorrendo al ban dal proprio marketplace di migliaia di prodotti, recenti e non. L’operazione ha prevedibilmente sollevato un polverone e in migliaia hanno riempito il forum di messaggi, protestando e sostenendo che anche dietro i bootleg ci sia una presunta forma di cultura. Dal punto di vista legale, comunque, si tratta di prodotti “fuorilegge” e la loro liceità non viene legittimata dal fatto che siano venduti regolarmente nei negozi. Esistono anche pubblicazioni apparentemente legali ma che sono diventate oggetto di veri e propri contenziosi spesso irrisolti o arenati nelle maglie di lunghe ed estenuanti procedure burocratiche. Le label che agiscono nella legalità però meritano rispetto. Il giornalista Kevin Pearce le ha definite “etichette di salvataggio” visto che tutelano il passato salvando dall’oblio cose più o meno rilevanti, da album di pregio passati inosservati a pezzi che la stampa e giornalisti influenti ora fanno sembrare più importanti e necessari di quanto non lo siano in realtà. Infine ci sono le ristampe dei grandi classici pop e rock che finiscono tra gli scaffali della grande distribuzione, un settore portato avanti dalle multinazionali che, per sfruttare il trend del ritorno del vinile, non si esimono dal mandare in stampa quasi qualsiasi cosa presa dai propri repertori. La gallery che segue però racconta il dietro le quinte delle realtà nostrane indipendenti, anche mediante la voce di chi le ha ideate. L’indagine non ha la presunzione di essere completa perché potrebbe essere estesa ad altri generi musicali, ma quantomeno vuole avvicinarsi all’essere esaustiva per rappresentare nella migliore delle maniere lo spaccato dei reissue indie made in Italy sviluppatosi in questi ultimi anni.
Affordable Inner Space – Lost In It
Come si legge nelle brevi righe introduttive su Soundcloud, Affordable Inner Space focalizza l’attenzione sul rapporto tra strumenti acustici ed elettronici, senza porsi limiti o barriere. Pur non essendo una reissue label in senso stretto, ha imboccato questo sentiero nel 2017 ripubblicando “Elicoide”, l’album di Franco Nanni edito esattamente trent’anni prima sulla Moon Record. Non si tratta però di un reissue anastatico giacché il package include un secondo disco su cui trovano spazio cinque brani inediti, registrati allora e mai pubblicati. La copertina preserva i crediti ed anche un breve messaggio che suona davvero profetico: “Questo lavoro è idealmente dedicato a coloro che si adoperano per una cultura della pace, dell’integrazione, della salvaguardia dell’ambiente”. Lost In It invece inizia il suo percorso col reissue di “Muta”, il secondo album di Leo Anibaldi uscito sulla capitolina ACV nel 1993. Curatore di entrambe le etichette è Ivo D’Antoni, che spiega: «Affordable Inner Space nasce in maniera del tutto casuale. Una sera andiamo ad ascoltare il primo live romano di Gigi Masin in quel posto magnifico che è la Centrale Montemartini a Roma ed arrivati sul posto ad aprire la serata c’è un altro live non annunciato. Ci sediamo in terra e cominciamo ad ascoltare, dopo neanche venti minuti io e Massimiliano Loretucci dei Commodity Place ci guardiamo stupiti e l’esclamazione è stata più o meno “ma chi cazzo è questo qui?”. Era Massimo Amato. A fine live andiamo a presentarci, entriamo subito in sintonia al punto che ci invita a casa sua ad ascoltare le sue produzioni. Da lì a chiedergli di pubblicare un album il passo è stato breve, ma all’epoca in attività avevamo solo la nostra prima label, la Electronique.it, peraltro incentrata su sonorità molto differenti dalle sue. Decidemmo così di fondarne una nuova per raccogliere musica meno elettronica e con riferimenti più ampi rispetto all’altra. Lost In It invece nasce dall’esigenza di colmare il personale vuoto lasciato dalla chiusura del webzine electronique.it, omonimo dell’etichetta discografica prima citata, che ho fondato nel 2003. Inizialmente era pensata come un blog personale con un concept più intimo che poi, per vari motivi, ho accantonato. Riprendendo in seguito l’idea con gli altri amici di electronique.it, abbiamo pensato di farla diventare una label. Avevamo già alcuni dischi pronti che volevamo pubblicare ma c’era la necessità di qualcosa di nuovo che ci spronasse e Lost In It è servita proprio a questo. Il nome è un omaggio ad un brano che amiamo tutti, l’omonimo struggente pezzo ambient di James Bernard. L’idea è quella di riprendere il concetto portato avanti con electronique.it, pubblicando musica che sentiamo completamente nostra, senza fretta, senza rincorse folli a mercati, senza ritmi asfissianti e sciocchezze varie. Alla base di Affordable Inner Space e Lost In It, quindi, non c’è espressamente la voglia di preservare certa musica dall’oblio e se devo dirla tutta, non è neanche voglia di andare a riesplorare il passato. Il disco di Franco Nanni è un disco che mi ha segnato personalmente, al quale sono legatissimo e che sapevo per certo fosse poco conosciuto, per cui gli ho scritto e lui, gentilissimo, ha accettato di ristamparlo per la nostra label. È stata un’operazione bella, pulita, sincera da entrambe le parti, culminata poi con un live di Franco a Roma dopo trent’anni esatti dalla sua unica esibizione live che ebbe luogo a Bologna nel 1987, qualcosa di emozionante che ha completato un percorso e chiuso uno dei più bei capitoli musicali ai quali ho ed abbiamo avuto l’onore di lavorare. Il discorso è più o meno lo stesso per “Muta”. Se dovessi indicare in maniera secca e decisa qual è per me il più importante album elettronico italiano direi senza esitazione proprio quello di Anibaldi. Con Leo c’è un rapporto di rispetto reciproco che va avanti da tempo, lui aveva ricevuto molteplici richieste per la ristampa di questo album ma mai una dall’Italia. È stato contentissimo quando finalmente glielo ho chiesto, e per noi è semplicemente il modo migliore per presentare la nostra nuova label e per dare nuova luce ad un capolavoro mai del tutto osannato. Non mi è mai importato di rivolgermi ad un target preciso, per me non ha alcuna importanza. So benissimo chi compra i dischi e chi fa finta, lo so io e lo sanno tutti, e nonostante si ostenti questa rinascita del vinile i dischi li comprano in maniera costante ormai pochi dinosauri. A noi non interessa nulla di tutto ciò. Parliamo di tirature ridicole, quando stampi un disco in trecento pezzi sai esattamente qual è il target a cui fai riferimento. Il digitale poi è qualcosa per cui non nutriamo alcun interesse, basti pensare che dopo ogni uscita in genere posto un downloading link sulle nostre pagine Facebook con l’insano obiettivo di far ascoltare musica anche a chi non è disposto a pagarla. Come dicevo prima, non abbiamo mai fretta di pubblicare quindi i tempi per completare ogni disco derivano da un incrocio di fattori tra i quali spicca ovviamente l’attesa col pressing plant. Ho imparato di non fare mai dischi a ridosso del Natale, è follia pura. I negozi sono impegnati nelle vendite dirette, i distributori chiudono, stampa ed altri mezzi hanno il cervello altrove, far diventare una cosa già dura un suicidio annunciato è abbastanza masochistico. Stampiamo in media trecento copie per ogni release, con punte di cinquecento per dischi che hanno un tiro maggiore. Di base vendiamo moltissimo in Italia, Regno Unito e Giappone, poi ogni disco in realtà ha la sua fetta di mercato che può variare in base alle sonorità proposte. Non ci siamo mai aiutati in questo, di tutte le release messe fuori dalle nostre label non ce ne sono mai state due simili. Annualmente cerchiamo di pubblicare intorno ai tre dischi, al massimo quattro. Il titolo per cui ho speso più energie non è un reissue ma “200” di Donato Dozzy, su electronique.it, un disco intorno al quale era sviluppato un concept molto più ampio che riguardava i festeggiamenti per i dieci anni del sito, cinque podcast importanti e mesi di lavoro intensi, faticosi ma enormemente gratificanti. Quello più costoso, banalmente, la ristampa di “Muta”, per ovvie ragioni di packaging, costi di licenza e spese varie. Nel nostro caso, parlare di bestseller mi sembra alquanto inappropriato visto che quasi tutti i titoli sono soldout ma, ripeto, parliamo di tirature bassissime. I più veloci ad essere venduti invece sono stati “Multifrequency Behaviour Of High Energy Cosmic Sources” dei Commodity Place, “103” di Gianluca Petrella e il già menzionato “Elicoide” di Franco Nanni. Sul fronte bootleg, ritengo che chi utilizza la musica in maniera subdola e/o illegale per avere un mero tornaconto sia una persona infima. È un discorso ampio di cui si parla sempre troppo poco ed abbraccia tutti gli aspetti che gravitano intorno all’universo musicale, dall’organizzazione di eventi alla produzione discografica alla veicolazione della stampa. Per fortuna, guadagnandomi da vivere in altra maniera, non vivo quotidianamente questo marciume ma lo osservo, è lì ben visibile ed influenza in maniera negativa il modo di fare business. Non sono un purista a tutti i costi, sono ben conscio del fatto che il business è qualcosa di necessario a tutta la catena. Proprio oggi (27 ottobre) leggevo alcuni illuminanti passaggi di una recente intervista rilasciata da Thomas Brinkmann a Vice Italia: ecco, c’è qualcosa di malsano che danneggia i musicisti e favorisce altre maglie della catena che se ne stanno approfittando alla stragrande. Vanno ristabiliti gli equilibri, va restituita dignità ai musicisti e alla musica stessa. Attualmente il mercato è sovraffollato di repress label, alcune nate dopo aver fiutato il guadagno facile. Comincio a vedere operazioni che tendono a sovraesporre anche release che onestamente possono rimanere sotto la polvere senza che nessuno ne senta la mancanza. A mio avviso c’è bisogno del nuovo molto più che del recupero, lo dico da appassionato. “Antisystem” di Lory D è l’unico disco per il quale sarei disposto a grandi sacrifici, ricordo ancora quando uscì, rammento quel sano attaccamento quasi calcistico che si respirava a Roma in quel periodo e soprattutto quanto quella musica suonasse lontana dal poter essere immaginata».
Archeo Recordings
Dal 2014 ad oggi Archeo Recordings ha (ri)messo in circolazione intriganti gemme del passato conquistando a pieno merito un posto di rilievo nella lista internazionale delle “etichette di salvataggio”. Inizia con “Radio Rap” di Radio Band, progetto one shot portato in scena nel 1984 da un gruppo di DJ dell’emittente fiorentina Radio Fantasy tra cui Carlo Conti, e poi va avanti con Tony Esposito, Mario Baldoni alias Miro, Tullio De Piscopo e il Maestro Roberto De Simone col “II° Coro Delle Lavandaie”, la cui pubblicazione viene impreziosita da un remix di Fabrice e Leo Mas. Tra le uscite più recenti invece, “Shadows From Nowhere” di Blue Gas, una sorta di slow ballad scritta da Celso Valli nel 1983 che paga l’ispirazione ai Bee Gees, “Aqua Sansa” di Markus Stockhausen e Jasper Van’t Hof, targato 1980, “Brise D’Automne” di Paolo Modugno, “Ruckus In Lo-Fi Revisited” di Blindboy e “Ragapadani” di Roberto Aglieri. L’elemento trainante dell’etichetta con base a Firenze e curata dal DJ/collezionista Manu•Archeo è la predilezione per un bacino di influenze che varia dall’afro all’ambient, dal cosmic al fusion, dalla disco al jazz, passando per funk, balearic e derive sperimentali. Per approfondire ulteriormente si rimanda all’intervista da me realizzata qualche mese fa.
Best Record Italy
Nata da una costola della Best Record, la Best Record Italy attira l’attenzione con un pregevole catalogo in cui si spazia dal funk e dalla disco di Pino Presti, Sandwich, Shitân, Jagg, Adolf Stern e Phillip Wright al synth pop e all’italo disco di Amin-Peck, Middle Ages, Future State, Cellophane, Kasso e Pussycat. Ad occuparsene, insieme a Claudio Casalini, è Marco Salvatori, label manager e mastering engineer, che illustra: «La Best Record Italy è stata fondata nel 2014 come sottoetichetta della storica Best Record, nata a Roma nel 1982 da un’idea del DJ Claudio Casalini. L’obiettivo è rimettere in piedi la produzione dei dischi contando su un archivio di artisti in prevalenza italiani che si possono considerare pionieri della scena disco nostrana, come Pino Presti, Celso Valli, Claudio Simonetti, Easy Going, Giampiero Scalamogna in arte Gepy & Gepy, Pierluigi Giombini, Rodolfo Grieco e Stefano Galante. Dopo aver interrotto la produzione e distribuzione di dischi, dagli anni Novanta la Best Record si limitava a gestire le licenze relative al proprio catalogo per il mercato delle compilation prevalentemente su CD. C’era dunque la voglia di ripartire dalle radici della Best Record riportando alla luce anche materiale inedito, come avvenuto con “Tittle Tattle” dei Baricentro o “Going Crazy” di Lily Ann che includono versioni Dub ed Instrumental non pubblicate all’epoca, o come la “Special Disco Version” realizzata da Tee Scott per “You Know The Way” di Pino Presti che è una nostra esclusiva. Alla luce di ciò è riduttivo pensare a Best Record Italy solo come una reissue label. Non ci rivolgiamo ad un preciso target, anzi a seguirci è un pubblico eterogeneo che spazia dal cultore della italo disco, del funk o di quello oggi definito balearic sound, al DJ che ascolta per caso il disco per la prima volta e decide di inserirlo nel proprio archivio o nelle proprie selezioni. Ciò accade anche perché la scelta dei titoli e degli artisti proposti non è legata ad un solo filone musicale, anche se nutriamo predilezione per le produzioni italiane. Riceviamo un discreto interesse anche da parte delle nuove generazioni e in particolar modo per le produzioni più “oscure”. Ciò, a nostro avviso, conferma l’opinione comune che chi oggi acquista un disco “vero” non segue più il trend del mercato discografico gestito dalle major, dominato in primis dallo streaming, iTunes ed altre piattaforme digitali. Il nostro è un lavoro che porta via molto tempo, diciamo dai tre ai sei mesi per titolo. Il primo passo è il recupero del master a cui segue un mastering accurato dei brani in modo tale da rispettare il sound del periodo e del genere musicale di appartenenza. Poi effettuiamo un accurato check dei test pressing prima di dare il via alla stampa. Successivamente prepariamo l’artwork integrandolo con un lavoro di ricerca di fotografie ed informazioni da parte del produttore o degli artisti coinvolti. Per quel che riguarda i tempi di stampa, nel 2017 si sono dilatati a causa dell’incremento della produzione mondiale del vinile, e quindi possono occorrere, in alcuni periodi dell’anno, sino ad undici settimane per ottenere il prodotto finito. Mediamente stampiamo circa cinquecento copie per titolo e trecento per le limited edition vendendo maggiormente nel Regno Unito, Olanda e Germania. Seguono Giappone e Stati Uniti. Nel 2017 abbiamo pubblicato dodici uscite a cui se ne aggiungerà un’altra a fine anno, “Just Like A Doorknob” dei Touché, che sul lato B includerà un’inedita versione Dub. Per via della tiratura limitata, l’impegno economico produttivo è lineare per ogni uscita ad eccezione degli album che hanno costi di produzione più elevati per via del maggior numero di brani contenuti, come ad esempio l’edizione rimasterizzata di “Jayeche” del compianto Vytas Brenner, leader degli Ofrenda, pubblicato nel 2016. Appartiene ad una serie di titoli davvero “cosmici” che abbiamo recuperato attingendo dal catalogo di un’etichetta venezuelana di Caracas, la Discomoda. Il nostro artista di punta è Pino Presti per cui abbiamo stampato, grazie al suo archivio, ben quattro 12″. Purtroppo il fenomeno delle ristampe e compilation non ufficiali colpisce direttamente le piccole etichette come la nostra, quindi giudichiamo positivamente l’iniziativa di Discogs che può rappresentare un deterrente per l’acquisto dei “tarocchi” soprattutto da parte di quei negozi che operano esclusivamente online. Oggi le ristampe costituiscono una piccola parte del mercato discografico ma negli ultimi anni c’è stata una costante diffusione di etichette specializzate in questo settore, dal rock alla techno passando per ogni stile degli anni Sessanta e Settanta. Adesso ad esempio vanno forte le ristampe di classici house e techno anni Novanta, di label come R&S, Trax Records, Dance Mania, KMS, Strictly Rhythm e Nervous per intenderci, ma non credo che in futuro assisteremo a grandi ascese bensì a continui aggiornamenti dal passato come insegnano due fra le storiche etichette disco di New York, la West End Records e la Salsoul che ciclicamente, dagli anni Novanta ad oggi, ristampano tutto il catalogo includendo unreleased, re-edit e rivisitazioni varie. Al momento stiamo recuperando un po’ di materiale inedito di Adolf Stern: spero di poter produrre presto un degno follow-up di “More… I Like It” uscito su 12″ la scorsa estate». Salvatori anima anche la rinascita di un’altra etichetta romana, la Male Records, partita nel 1991 da un’idea di Chicco Furlotti e rimasta operativa per appena tre pubblicazioni. «Male Records, di cui parlammo già ad inizio 2016 in questa intervista, nacque nel ’90 per promuovere il sound legato ai grandi rave party organizzati dalla Male Productions. La ho riattivata con la pubblicazione di un paio di album di The True Underground Sound Of Rome ed un mini LP di The Order a cui seguirà presto un quarto titolo. A queste due realtà si è recentemente affiancata l’etichetta fondata a Londra da Leo Young a metà degli anni Novanta, la Pronto Recordings, che tornerà sul mercato a dicembre con la prima release su LY Recordings (sublabel della Pronto Recordings) contenente una bella sorpresa “cosmica”: “I Gotta Little Love” di Angela Werner che sul lato b includerà l’edit di Leo Young intitolato “Cosmic Love”».
Cinedelic Records – Mondo Groove – Soave
Devota alle colonne sonore, al jazz e alla library music, la Cinedelic Records vanta nel proprio catalogo artisti del calibro di Riz Ortolani, Alessandro Alessandroni, Gianfranco Reverberi, Armando Trovajoli, Piero Umiliani, Ennio Morricone, Stelvio Cipriani ed Egisto Macchi. Sulle sublabel Mondo Groove e Soave finiscono Daniele Baldelli, Marcello Giombini, Giusto Pio, Riccardo Sinigaglia e Giovanni Venosta. A fondarla è Marco D’Ubaldo alias Duba, che racconta: «Cinedelic Records nasce nel 2000 in Emilia Romagna, all’epoca l’epicentro della riscoperta delle colonne sonore e del cinema di genere. L’obiettivo era, per l’appunto, riscoprire e rispolverare gemme indiscusse prodotte in Italia che il mondo intero ci invidia tuttora. Siamo dunque partiti scegliendo di esplorare il passato perché ritenevamo (e riteniamo ancora oggi) che il periodo d’oro del cinema italiano, quello degli anni Sessanta e Settanta, fosse uno dei più produttivi e fervidi a livello artistico per ciò che riguarda le composizioni da film, nonché per le soluzioni sonore e per l’altissimo livello professionale della registrazione e delle interpretazioni dei musicisti. Parallelamente, in seguito, abbiamo iniziato a coltivare altre due realtà discografiche: Mondo Groove e Soave. Con la prima produciamo un genere più legato al dancefloor ma non commerciale, che spazia dal funky all’elettronica analogica. Ristampiamo ma produciamo anche nuove tracce di artisti storici come Daniele Baldelli e giovani come Club Paradiso. Soave invece è la “creatura” più recente, nata circa un anno fa ma già con otto uscite all’attivo. Si occupa della corrente minimalista ed avanguardistica italiana del periodo a cavallo fra l’inizio degli anni Ottanta ad oggi; al suo interno c’è la collana Grandangolo° con cui produciamo, con la consulenza di Donato Epiro, artisti attuali che si occupano di tale genere: Heroin In Tahiti, Golden Cup e Squadra Omega, per ora. Ci farebbe piacere che la nostra clientela avesse un target più giovane possibile ma, in tutta onestà, sappiamo che non lo è. Quando si parla di questi generi, della storia che li racchiude e della loro influenza su stili più moderni, ai giovani si illuminano gli occhi e se ne appassionano, ma purtroppo non esistono radio o programmi televisivi (quindi media per la massa) che permettano agli stessi giovani di venirne a conoscenza e tutto si complica. L’iter per la produzione è la seguente: partiamo con la richiesta di licenza e relativa trattativa, una fase abbastanza veloce se si conosce il proprietario delle registrazioni che si intende ristampare, poi passiamo al master audio che, a seconda della fonte/qualità, ha tempistiche diverse. Solitamente riproduciamo la grafica come l’originale, ottimizzandola con un lavoro di restauro ed aggiungendo eventuali foto inedite dell’artista o, nel caso si tratti di colonne sonore, immagini di scena del film. In caso di registrazioni inedite invece possiamo esprimere maggiormente la nostra creatività. Infine ci si accorda col distributore per le date di presentazione ed uscita. Stampiamo quasi sempre cinquecento copie a titolo, solo a volte ci spingiamo sino alle mille. Il mercato cambia gradualmente. Se in principio, nei primi anni Duemila, il riferimento era il Giappone, ora sono gli Stati Uniti, col punto fermo e costante di Gran Bretagna e Germania. L’Italia, purtroppo, non rappresenta più del 15% delle vendite. Calcolando i tre marchi, annualmente mettiamo sul mercato una ventina di dischi circa. Ognuno ha un motivo per cui viene prodotto, crediamo che tutti abbiano delle loro peculiarità seppur poi possano suscitare più o meno interesse. Bisogna prestare attenzione alle richieste e alle tendenze del pubblico in quel determinato momento e, nel limite del possibile, intuire le future. Ad influire sulla vendita quindi non è solo il prodotto in sé ma anche il periodo. In tempi recenti, a darci particolari soddisfazioni è stata la ristampa di “Motore Immobile” di Giusto Pio, il bestseller del 2017. Riguardo agli inghippi possibili durante la produzione, quello assolutamente più problematico e che nessun operatore legale del settore si augura, è vedere pubblicato da parte di famigerate etichette senza referente un disco bootleg di cui hai la licenza in mano già pagata e su cui stai ancora lavorando. In questo senso la mossa di Discogs che ha intensificato l’attività volta ad escludere dal proprio marketplace i prodotti stampati illegalmente è assolutamente corretta, soprattutto nei confronti di artisti e produttori. In futuro spero ovviamente in un’ulteriore crescita del settore discografico del vinile ma ne dubito, penso che, a livello di numeri di vendita, si stia stabilizzando. Il problema è rappresentato dalle numerose label che spuntano di anno in anno come funghi pensando che si possano fare affari d’oro e che saturano il mercato disinvogliando il cliente che si ritrova troppi dischi da acquistare. In questo lavoro non si va da nessuna parte senza passione, anche perché le otto ore canoniche non bastano. Personalmente dedico almeno dieci ore quotidiane e spesso anche sabato e domenica, ma è un piacere. Poi è incredibile come nonostante sia un collezionista da venticinque anni con oltre 30.000 pezzi in collezione, ancora capiti che esca fuori una chicca incredibile di cui se ne ignorava l’esistenza e lì parte la “battaglia” per accaparrarsela per la ristampa. Il repertorio musicale a disposizione è vastissimo».
Dagored
La fiorentina Dagored è specializzata in ristampe di colonne sonore cinematografiche. Inizia il suo percorso in tempi non sospetti, nel 1998, spalleggiata dal distributore Abraxas. Ad inaugurare il catalogo è “Black Emanuelle’s Groove” di Nico Fidenco, con estratti da pellicole uscite tra ’75 e ’77. Poi prosegue con artisti di alta caratura tra cui Ennio Morricone, Riz Ortolani, John Barry, Bobby Womack, Armando Sciascia, Teo Usuelli, Gershon Kingsley, Piero Piccioni, Franco Micalizzi e Curtis Mayfield e concede ampio spazio a composizioni in ambito thriller/horror a firma John Carpenter, Fabio Frizzi, Bruno Nicolai, Stelvio Cipriani, Claudio Gizzi, Tusco alias Piero Umiliani e i Goblin di Claudio Simonetti. Tra i più recenti, “Satanik” di Roberto Pregadio e Romano Mussolini, “Kriminal” ancora di Pregadio, “Gli Arcangeli” di Sandro Brugnolini, “Day Of Anger” di Riz Ortolani e “Barocco & Romantico” di Alessandro Alessandroni. Contattati come tutti gli altri presenti in questa inchiesta, hanno preferito non rispondere.
Disco Segreta
Disco Segreta nasce nel 2015 da un’idea di Carlo Simula, DJ, produttore e soprattutto “archeologo musicale” specializzato in disco italiana. Il catalogo si apre con Andromeda e il brano omonimo risalente al 1981, una specie di ibrido tra i suoni di Dee D. Jackson, Capricorn, Kraftwerk e quello che pare essere proprio un sample (sebbene ai tempi il campionatore fosse uno strumento dal costo decisamente proibitivo) di “Stayin’ Alive” dei Bee Gees. Seguono altri “reperti” come “Stranamore” di Brina, “Magico” di Gino Pavan ed “Espacial” dell’iberica Susana Estrada. «Disco Segreta è nata come progetto su più media che sto curando già da oltre cinque anni, volto ad esplorare, preservare e tutelare l’eredità culturale della “musica di puro intrattenimento” in Italia nell’arco temporale 1968-1981. Questo coincide anche col periodo storico della mia ricerca come archeologo musicale e DJ: in tale periodo si rintracciano le radici della musica il cui scopo principale è intrattenere, ma ancora in epoca pre-internet, agli albori delle comunicazioni di massa» spiega Simula. «Possiamo quindi parlare di un’unicità della disco europea? A questo punto certamente sì. Esiste anche una peculiarità specifica della disco italiana, col suo intrecciarsi con la scena del rock progressivo nostrano, da cui il suono proto-disco è originato intorno alla fine degli anni Sessanta, il cinema di genere italiano degli anni Settanta di cui la disco ha molto spesso finito per essere colonna sonora, e le trasmissioni televisive dell’era di grande sperimentazione creativa nata a seguito della riforma Bernabei e dell’introduzione del colore nel 1977, le cui sigle e musiche erano completamente disco. Tutto ciò inserito nel contesto della tragica storia della lotta armata nel nostro Paese in quanto gli anni del culmine della disco (’77-’78) hanno coinciso con gli Anni di Piombo e del successivo “riflusso nel privato”. Tutta questa ricerca include chiaramente disco ed italo disco, quindi anni Settanta ed Ottanta del Novecento. Personalmente preferisco fare un distinguo tra i due generi. L’italo disco, come sappiamo, è un termine non italiano coniato nei primi anni Ottanta da Bernhard Mikulski per definire le compilation di “spaghetti disco” provenienti dall’Italia e pubblicate sulla sua ZYX, ma viene ancora usato come termine “ombrello” per includere sia l’italian disco che la italo disco. Negli anni Ottanta il genere veniva definito sommariamente “dance”, o “dance elettronica” mentre “italo disco” è un termine diventato di uso comune solo nelle ultime due decadi. Sulla mia label ho pubblicato sia italian disco che italo disco, proprio perché per me sono due mondi ben chiari e definiti. Disco Segreta è frutto della mia insaziabile fame di musica. Già dalla fine degli anni Novanta ho iniziato a raccogliere tutti questi vinili di disco europea che ridefinivano completamente la storia della musica disco, legata agli stereotipi secondo cui finora ci era stata raccontata, ossia un genere solo ed esclusivamente di provenienza americana, legato a “Saturday Night Fever” e i cui maggiori esponenti erano Gloria Gaynor e i Village People. Oggi è ben chiaro, almeno agli addetti ai lavori, che la disco europea ha rappresentato il versante più sperimentale ed originale del genere. Non potendo contare su studi lussuosi, decine di elementi di orchestra in studio e voci pazzesche come accadeva negli Stati Uniti, gli autori potevano fare affidamento su due soli strumenti, il sintetizzatore e la fantasia. A livello musicale, nella contemporaneità, non incontravo niente che mi entusiasmasse quanto ciò che invece proveniva dal passato. Negli ultimi cinque anni forse avrò comprato tre o quattro produzioni contemporanee che reputo davvero originali. Insomma, per me il passato è molto più interessante del presente. Come ben sanno gli amici del blog Overfitting Disco, sono affetto da retromania e non trovo cosa più bella che scoprire un “nuovo disco vecchio” in una sessione di diggin’. Per uno come me, e a quanto pare per un numero sempre più grande di persone, la disco e l’italo disco non sono mai del tutto scomparse. Per un italiano nato alla metà degli anni Settanta credo faccia persino parte del DNA. La disco, genere mutante per eccellenza, è l’origine “contemporanea” di tutti i generi dance, avendo di fatto codificato il 4/4 come tempo per il ballo, e in seguito l’italo disco ha influenzato senza dubbio house e techno. Come DJ suono tutti questi brani nelle mie gig. Optare per una selezione di tale genere è anche una precisa proposta di un’esperienza alternativa di clubbing, condivisa con molti colleghi, che ormai considera la disco uno stile abbastanza borderline. In definitiva cerco di fare la mia parte e salvaguardare questi repertori, tutelando anche gli autori. Il target di Disco Segreta è principalmente quello che parte dai 25 anni. Come DJ testo sempre in pista i brani che intendo ristampare e la risposta, specie quella del pubblico giovane, è entusiastica, quello stesso pubblico ormai stufo del minimalismo che ha ridotto la musica da ballo al solo timbro azzerando il resto, e che ora cerca “anima” attraverso melodia, archi, fiati, voci, orchestrazioni e synth. Poi ci sono anche DJ, collezionisti e semplici appassionati di musica che scoprono nuovi brani di epoche a cui sono affezionati da sempre e che non possono non gioire nel poter accedere a brani rari ad un prezzo accessibile. Ho un pubblico molto fedele che cerco di accontentare prestando particolare attenzione ai dettagli. Per ogni uscita occorrono circa tre/quattro mesi a seconda di vari fattori. Ritrovato il nastro analogico lo affido alle cure di Cesare Marchesini che tratta e ripulisce i suoni trasferendoli digitalmente su file con strumentazioni analogico/digitali di altissimo livello. Successivamente mi chiudo nel Narada Studio di Siena insieme a Senio Corbini per riportare in vita i brani, elaborare eventuali remix o re-edit e successivamente procedere ai due mastering (digitale/vinile). Una volta che i brani sono pronti vengono affidati ad un altro grande artigiano del settore, Roberto Barbolini, per la realizzazione dei master lacquer dai quali si fa la galvanica e si procede finalmente alla stampa. Cerco di fare sempre tutto in Italia perché credo nel vero “made in Italy” oltre che nella maestria dei nostri artigiani, e voglio supportare queste professionalità monumentali che purtroppo stanno scomparendo. Sono molto fedele al mio team di lavoro che garantisce l’estrema qualità delle pubblicazioni. Mediamente stampo dalle trecento alle cinquecento copie per uscita, ma talvolta anche di più. Faccio sempre un’edizione numerata limitata perché richiesta dai fan. Principalmente vendo in Europa ma alcuni titoli sono andati molto bene pure in Giappone, Australia, Canada e Stati Uniti. Nei primi due anni di attività ho pubblicato quattro dischi e da poco ho inaugurato una nuova label, la Adesso, dedicata esclusivamente a produzioni contemporanee. A tagliare il nastro inaugurale è il primo LP che Gino Pavan ha inciso in quarant’anni di carriera, “Absolute”, uno straordinario album di ambient elettronico in cui credo molto. Chiuderò il 2017 con un’altra uscita su Disco Segreta, “Allein / Hormone” dei Fireplais, una produzione italiana del 1981 cantata in tedesco. In cantiere ho molto altro e dal 2018 il ritmo delle pubblicazioni sarà senza dubbio più sostenuto. Ad oggi il titolo che mi ha portato via maggiori energie e denaro è il primo, Andromeda. Fra ricerca del master e dell’avente diritto ho impiegato oltre due anni ma è stato molto emozionante ritrovare personalmente il nastro a 24 piste originale. Sinora tutte le uscite sono andate molto bene, del catalogo Disco Segreta sono ancora disponibili solo due titoli su quattro. Questioni legali? Uno dei motivi che mi hanno spinto ad aprire la label è stato vedere i tantissimi bootleg di LP di disco italiana usciti in questi ultimi anni. Discogs sta diventando una realtà molto importante e credo voglia tutelarsi dalle possibili cause delle major, è questo secondo me il motivo alla base della recente stretta sulle pubblicazioni unofficial. Però è necessario discernere. Se è vero che storicamente i dischi white label non ufficiali servivano ai DJ come “tool”, oggi il mercato fra re-edit e re-edit label è completamente diverso, diciamo molto complesso, anche in termini di diritti. Io faccio tutto ufficiale e licenziato, chiunque conosca un minimo dei costi di produzione e vede le mie tirature capisce subito che si tratta di un lavoro portato avanti per pura passione. Il concetto che mi guida è “questa musica mi ha dato moltissimo e voglio poter restituire direttamente agli autori”. Per quanto riguarda i bootleg, non capisco il motivo per cui si impedisca la vendita di quelli che hanno anche un valore storico importante, almeno per alcuni artisti. Per un collezionista dei Pink Floyd, ad esempio, i primi bootleg fine Sessanta/primi Settanta su The Amazing Kornyfone Record Label (TAKRL) o Trade Mark Of Quality (TMoQ) sono importanti quanto i dischi ufficiali. Ovviamente prendo le distanze dalla valanga di contraffazioni e di dischi totalmente pirata che hanno inondato il mercato in tutte le epoche. Tornando a parlare di reissue ufficiali, credo che nel prossimo quinquennio si eserciterà una selezione naturale perché anche in questo campo ci sono professionisti che fanno un lavoro serio, insieme a zone grigie che tutti conosciamo. In generale credo che, a questi ritmi, tutto ciò che è discograficamente uscito su un qualsiasi mercato, entro i prossimi vent’anni al massimo sarà catalogato su Discogs. Questo avrà certamente delle implicazioni, sia sulla fruizione della musica che sul mercato delle ristampe, e credo ci si interrogherà su quanti danni abbia fatto la globalizzazione del mercato musicale a partire dagli anni Duemila. Ritengo anche che la nicchia italo disco sia stata già “scavata” quasi del tutto grazie al lavoro di diggin’ e rivalutazione svolto principalmente da italo maniaci non italiani. Continuano a riservare incredibili sorprese invece gli anni Settanta, specialmente in termini di brani “oscuri”».
Dub-Ito – Ottagono Design Of Music
Dub-Ito viene varata nel 2015 e copre un mosaico stilistico eterogeneo che prende vita dal dub, trip hop, EBM, industrial e dalla techno più sperimentale e destrutturata. A fondarla sono in due, i partenopei Francesco Mazzocco e Claudio Mate. È quest’ultimo a spiegare: «Il curioso nome dell’etichetta proviene da un mix di lingue e culture che hanno influenzato la mia vita e quella di Francesco. Sin dalle prime pubblicazioni abbiamo mostrato interesse nello stampare su vinile materiale degli anni Ottanta e Novanta o quello realizzato solo su formato cassetta o CD. In “Here We Are”, ad esempio, abbiamo pubblicato una traccia inedita di David Hausdorf composta nel 1998 oltre a “Come And See” del duo argentino Vólkova, licenziato dalla Tacuara Records di Buenos Aires ed edito solo su cassetta. A questi due ne aggiungerei un terzo, “Voices From The Hell” di Violet Poison che nel 2013 l’americana Hospital Productions di Dominick Fernow ha pubblicato su cassetta. Nel 2017, attraverso il nuovo progetto Nihon No Toshi, ci siamo impegnati per promuovere il movimento delle subculture giapponesi con band e live sconosciuti per il mercato europeo. Una sorta di visione underground della musica nell’epoca dominata dai social media, in cui l’underground è praticamente sparito. Poche settimane fa abbiamo pubblicato l’album di debutto dei Soloist & Second Apartment, preso in licenza dalla piccola etichetta fondata dal duo stesso, la Instant Tunes Records, che lo aveva commercializzato attraverso un’edizione limitata su CD (ancora oggi il Giappone è il Paese in cui si vendono più compact disc al mondo), venduto esclusivamente durante i live. Durante i primi mesi del 2018 invece esordirà su Dub-Ito Wolfgang Reffert, meglio conosciuto come Dark Star: dopo circa trent’anni di produzioni incise su cassetta e CD, stamperemo su vinile il suo album in cui raccoglieremo le migliori tracce prodotte tra 1986 e 1990. Il 2018 inoltre vedrà concretizzarsi un progetto ancora più ambizioso, la nascita della mia nuova etichetta, la Ottagono Design Of Music, creata in collaborazione col vintage shop di mia sorella Valentina, Ottagono Retrò. Ottagono Design Of Music, che conto di lanciare durante la prossima estate, come lascia intuire il nome stesso si basa sui concetti di musica vintage e timeless, una sorta di raccolta di memorie e visioni musicali che abbracciano il periodo che va dalla fine degli anni Settanta ai primi Novanta. Oltre a fare il DJ ed occuparmi di discografia, sono un collezionista di vecchia data di musica giapponese ed è stata proprio questa mia passione a spingermi alla produzione di artisti nipponici, oltre a DJ set interamente composti con rarità su vinile provenienti dal Sol Levante. Amo profondamente il Giappone in cui identifico la base del mio suono. Con Ottagono Design Of Music quindi conto di ristampare o, a seconda dei casi, stampare per la prima volta su vinile, album di difficilissima reperibilità, alcuni dei quali ancora inesistenti per l’amata community di Discogs. Gran parte di questo materiale è disponibile solo su cassetta, flexy-disc (che negli anni Ottanta, in Giappone, rappresentava uno dei maggiori mezzi di promozione per le band rock, punk, new wave ed industrial) o su CD. La missione sarà quella di mostrare il volto di un mercato ancora sconosciuto agli addetti ai lavori, ai diggers, ai DJ e agli amanti della buona musica».
Flash Forward
Parte nel 2016 con “Stolen Moments” di Onirico, tra i più ambiti del repertorio UMM, e prosegue con altre preziosità come “Venere” degli Omniverse (Claudio “Moz-Art” Rispoli e Ricky Montanari), “Vol. 1” del collettivo Riviera Traxx e “Tubes” di The Experience (Andrea Benedetti ed Eugenio Vatta): la Flash Forward è in definitiva un approdo per house e techno prevalentemente prodotte in Italia negli anni Novanta. Nel corso del 2017 reimmette in circolo altri piccoli classici underground a firma University Of Love, Dreamatic, Key Tronics Ensemble, Don Carlos, Soft House Company e Leo Anibaldi. A dirigere la parte artistica è Giuseppe Manda, vecchia conoscenza del mondo discografico italiano, che spiega: «Flash Forward si attiva nei primi mesi del 2016 da un’idea mia e di Carlo Ilic di Electronix Network. Pensavamo fosse il caso di riproporre alle nuove generazioni, ma anche ai nostalgici, una serie di dischi che hanno fatto la storia della house / techno nei primi anni Novanta. Ai tempi lavoravo per la Flying Records e UMM ed ho accumulato i giusti contatti che oggi ci permettono di portare avanti questo progetto. Il primo che abbiamo pubblicato è stato il 12″ di Emanuele Luzzi alias Onirico che è diventato il nostro primo supporter. La ricerca del passato per noi equivale a dire futuro, perché tutto ritorna. A dire il vero, tante produzioni di quegli anni sono nettamente superiori rispetto alla miriade di file usa e getta dei giorni nostri. Ovviamente teniamo d’occhio le nuove uscite ma optiamo quasi sempre per sonorità ed atmosfere che suonano familiari, si veda la serie Unreleased che propone inediti. Ogni nostra uscita conta una tiratura limitata alle cento copie colorate destinate ad amatori e collezionisti, le restanti trecento o quattrocento sono su classico vinile nero. Il lavoro è abbastanza lungo e richiede particolare cura in ogni sua fase, dalla richiesta di licenza e firma del contratto alla rimasterizzazione (essendo produzioni datate è necessaria attenzione affinché il prodotto finale suoni al meglio) alla grafica per cercare di ricreare le copertine originali. Infine la stampa con tempistiche che possono oscillare a causa della grande mole di lavoro delle stamperie. In media le tirature sono di cinquecento copie ad uscita che finiscono prettamente all’estero, in quasi tutta l’Europa. Alcune raggiungono Stati Uniti e Giappone e solo una piccola parte resta nel nostro Paese le cui vendite non possono ancora essere paragonate a quelle d’oltralpe. Non abbiamo un numero prefissato di uscite annue ma ad oggi stiamo lavorando su circa una decina di licenze. Per adesso il bestseller indiscusso resta il primo, il citato Onirico, che poi è quello a cui siamo maggiormente affezionati. Abbiamo speso tante energie per le due produzioni di Mateo & Matos, “Raw Basics” e “Back 2 Bay Six” di Raw Elements, chiudere un accordo di licenza oltreoceano non è un’operazione semplice. Viviamo un periodo in cui il bootleg è sempre dietro l’angolo e non nascondo che a volte abbiamo persino paura nel pubblicizzare le nostre uscite perché temiamo che qualcuno possa ristampare lo stesso disco ma in maniera illegale. Chi svolge questo lavoro lo fa prettamente con passione ma se non ci sono rientri economici non c’è passione che tenga. Il fatto che Discogs abbia estromesso le incisioni illegali ci tutela da eventuali piraterie che non potranno mai essere, qualitativamente parlando, come l’uscita ufficiale. La discografia è simile alla moda, torna ciclicamente sulle cose del passato. Le ristampe andranno avanti per un bel po’ di tempo, si pensi all’italo disco che ha avuto un vero boom qualche anno fa e che continua ad avere seguaci. Tra i progetti a cui stiamo lavorando c’è “Aquatic” di Open House Featuring Placid Angles, pubblicato dalla Retroactive di Detroit e prodotto da John Beltran. Risale al 1991 ma continua ad emozionarci. Rimane un sogno, per ora, vedere su Flash Forward anche “Jaguar” di DJ Rolando aka The Aztec Mystic. Mai dire mai però!»
Four Flies Records
Analogamente alla Cinedelic Records e alla Dagored, la Four Flies Records mostra predilezione per la musica italiana degli anni Sessanta e Settanta, in prevalenza quella composta per film. Partita nel 2015 a Roma, si attiva nel rimettere in circolazione opere di Gianni Ferrio, Franco Micalizzi, Sandro Brugnolini, Giuliano Sorgini, Armando Trovajoli, Silvano D’Auria, Riz Ortolani, Alessandro Alessandroni, Roberto Nicolosi, Guido e Maurizio De Angelis, Stelvio Cipriani e Piero Umiliani, realizzate per pellicole cult come “Sortilegio” di Nardo Bonomi, “Laure” di Louis-Jacques Rollet-Andriane e Roberto D’Ettorre Piazzoli, “L’Occhio Nel Labirinto” di Mario Caiano e “Zoo Folle”, programma televisivo di Riccardo Fellini. A descriverla meglio è il fondatore e label manager, Pierpaolo De Sanctis: «L’idea di creare un’etichetta specializzata in colonne sonore italiane degli anni Sessanta e Settanta è nata da una serie di chiacchierate con l’amico Andrea Fabrizii nell’estate del 2014. In quei mesi avevamo cominciato a lavorare su un documentario chiamato “Colpo Maestro” dedicato proprio ai compositori italiani di musica per le immagini dell’epoca d’oro. Iniziammo a girare ma poi ci siamo fermati per cercare una produzione più solida e dopo mille disavventure ci stiamo riprovando proprio ora. Durante le prime riprese abbiamo incontrato certi superstiti di quella stagione e con alcuni di loro siamo diventati amici, in modo piuttosto naturale. È stato allora che abbiamo pensato di “metterci la faccia” avviando un progetto discografico che ci potesse permettere di riscattare dall’oblio musiche che avevamo molto a cuore. Il momento era propizio, stavano cominciando ad uscire le prime ristampe su label già importanti ed affermate come Schema, in Italia, o Death Waltz negli Stati Uniti. Perché non farlo anche noi visto che questa roba è il nostro pane quotidiano da almeno quindici anni a questa parte? Stava rinascendo una vera e propria “soundtrack-mania”, simile a quella che avevamo vissuto (io a Roma, Andrea a Bologna) alla fine degli anni Novanta, quando esplose il fenomeno lounge (termine che abbiamo sempre molto detestato) e gran parte di quella musica venne allora disseppellita per la prima volta dopo decenni e finalmente ristampata su vinile e CD. Ci siamo formati e siamo cresciuti con quell’ondata lì, intorno ai vent’anni non eravamo né grunge, né metal e né hip hop ma “cinematici”. Non saprei spiegare da dove giunga tutta questa fascinazione ma di sicuro è legata al mio immaginario. Le colonne sonore italiane fanno parte della mia vita praticamente da sempre, sin da quando, da ragazzino, guardavo e cercavo ogni tipo di film, in televisione e in VHS. All’inizio ascoltavo le soundtrack inconsapevolmente, poi mi sono iscritto al DAMS e vedere film è diventata la mia professione, prima come studente, poi come critico, organizzatore culturale ed autore di documentari. La cinefilia alla fine ha rappresentato un background preziosissimo che mi sono ritrovato nel mio lavoro di discografico. Rispetto ad alcuni colleghi, so già in partenza dove andare a cercare e come orientarmi all’interno degli archivi senza necessariamente ascoltare ogni bobina. La scintilla di tutto ebbe inizio con le prime raccolte della Easy Tempo, la più bella e più attenta tra le label specializzate che lavorarono in questo ambito alla fine degli anni Novanta. Comprai l’ottavo volume intitolato “Cinematica!!” con una splendida donnina di Crepax in copertina, e fu una vera folgorazione! Non finirò mai di ringraziare Rocco Pandiani, il boss della label, per il lavoro che ha fatto con quei volumi. Mi ha aperto dei mondi dando finalmente nomi e contenuti alle musiche dei film che stavo cercando in un’epoca in cui internet non era ancora diffuso e le notizie te le dovevi andare a trovare fisicamente, muovendoti ed uscendo da casa. Da quel momento è scattato qualcosa in più e ho cominciato a cercare anche i dischi originali su cui quelle musiche erano incise anche se mi accorsi da subito, con un po’ di delusione, che la percentuale di colonne sonore pubblicate era davvero minima rispetto alla vastità di film prodotti in quegli anni. C’era da lavorare ma ancora non lo sapevo. Tra la metà degli anni Cinquanta e i primi Ottanta l’Italia ha vissuto il suo periodo di massimo splendore e fervore artistico e culturale: cinema, musica, letteratura, teatro e qualsiasi cosa fatta in quegli anni è mediamente superiore e migliore rispetto alle produzioni successive. Non è nostalgia di un passato che non c’è più ma desiderio di comprensione di un mondo che non abbiamo saputo capire e tramandare. Anche il peggiore b-movie degli anni Settanta aveva pur sempre una fotografia in pellicola e una musica suonata, un quid che rendeva tutto più “arty”. Quel livello di professionalità era garantito da una soglia tecnologica minima sotto cui era impossibile scadere. Oggi invece col digitale siamo tutti fotografi, tutti DJ, tutti montatori, tutti direttori della fotografia e tutti tecnici del suono ma all’epoca c’era un mestiere e un artigianato, se vuoi anche impiegatizio, ma nobile ed illuminato se paragonato ad ora. Poi le colonne sonore hanno un fascino ancora più speciale perché non si tratta solo di musica ma anche di un’estetica ben precisa che ruota attorno ad essa e che riguarda aspetti visivi e discorsi culturali più ampi, dai film al design, dalla moda alla grafica, tutto un linguaggio e un’idea di mondo che la musica, in qualche modo, contiene in sé. Infine il giacimento di tesori nascosti in ambito soundtrack e library è teoricamente infinito, quasi impossibile da mappare per intero vista la natura ausiliaria di queste musiche e la loro conseguente scarsissima diffusione discografica. Essendo registrate per accompagnare delle immagini, spesso venivano dimenticate o persino distrutte, di certo non ci si curava troppo della loro conservazione, tutti presi nella catena di montaggio del lavoro che si stava facendo. Era un’arte al servizio di un’industria e come tale veniva percepita dagli stessi addetti ai lavori che non si rendevano minimamente conto della “storia” che stavano scrivendo. Solo a distanza di anni, guardando il fenomeno dall’esterno, possiamo capire i capolavori nascosti che questo mercato ha inconsapevolmente prodotto. Pertanto la voglia di esplorare il passato non nasce solo dal desiderio di tutelare e preservare un patrimonio nazionale sommerso ma anche per una ricerca che difficilmente può essere rivolta altrove, con altrettanta soddisfazione, da parte di chi scoperchia certe cose negli archivi che spesso suonano ancora molto contemporanee, per le idee che vi sono a monte e per l’altissima qualità con cui venivano realizzate. Non mi pongo troppo l’idea del target a cui si rivolge la Four Flies Records e forse questo la dice lunga sulla mia capacità imprenditoriale. La musica che “tiriamo fuori”, ripulita, restaurata e che spesso pubblichiamo per la prima volta, non mira ad un pubblico preciso come ad esempio una sottocultura giovanile (mod, punk, hip hop etc) e neanche ad un pubblico esclusivo come possono essere gli amanti del jazz. Insomma, non esiste un ascoltatore modello ma un mix eterogeneo e per certi versi inclassificabile. Dal ventenne che scopre per la prima volta certi strani fenomeni del passato e si accosta con entusiasmo e curiosità al cinquantenne o sessantenne che si riavvicina a sonorità che magari ha visto nascere in diretta (è la musica che sentiva in tv quando era bambino). Ci sono anche gli appassionati di jazz e di elettronica, magari i b-boy in cerca di breaks – la vera mania degli ultimi anni che ha avvicinato tonnellate di pubblico nuovo al settore in questione -, qualche cinefilo che compra il vinile della colonna sonora come feticcio, o quei collezionisti completisti che non possono fare a meno dell’ultimo inedito di Piero Umiliani che siamo stati in grado di tirare fuori dal cilindro. Per completare il lavoro di una nostra pubblicazione occorre molto tempo, mesi ma in certi casi anche anni. Si parte sempre dalla ricerca, da quintali di ascolti sedimentati e studi precisi su certi film o cataloghi. Se si tratta di una ristampa, la prima cosa da fare è individuare i proprietari del master. A volte è semplice ma molto spesso può risultare sfiancante perché parliamo di musiche di quaranta/cinquanta anni fa, e risalire ai vari passaggi di mano tra le società che si sono succedute in tutto questo tempo può essere complicato, soprattutto nell’area delle sonorizzazioni. Nessuno avrebbe potuto immaginare l’interesse per queste musiche a distanza di decenni e in ben pochi, all’epoca, hanno saputo amministrare i propri cataloghi conservando con cura documenti ed archivi. Negli anni molta roba è andata persa, tra master, contratti e depositi. Comunque, una volta raggiunti gli aventi diritto, chiediamo la licenza per stampare su supporto fonografico le musiche di loro proprietà. La nostra ricerca è così maniacale che riusciamo a ripartire quasi sempre dal nastro originale che riversiamo in studio e rimasterizziamo ottimizzandolo per il vinile. Nel frattempo pensiamo all’artwork, passaggio a cui dedichiamo moltissimo tempo tra ricerca di immagini e confronti continui con illustratori e grafici a cui affidiamo il lavoro. Infine il cut e la stampa che porta via almeno due mesi e mezzo, invio ed accettazione dei test pressing compreso. Le nostre sono edizioni limitate destinate ad un pubblico esigente in fatto di gusti musicali e qualità del prodotto, per questo non superiamo quasi mai le cinquecento copie di tiratura. C’è stato solo un caso in cui abbiamo raggiunto il migliaio ma per certe produzioni ci siamo fermati anche a quattrocento. In futuro probabilmente faremo tirature da trecento o poco più. Il mercato ormai è saturo di vinili e alcune cose che ci piacerebbe pubblicare purtroppo risultano un po’ difficili da assorbire, come le bellissime colonne sonore jazz di Maestri come Piero Piccioni o Armando Trovajoli, per me due mostri sacri, ma che nel mercato contemporaneo è arduo vendere rispetto a quindici/venti anni fa. La maggior parte dei nostri stock finisce in America, nel Regno Unito, in Germania e in Benelux. Ultimamente l’Italia sta aumentando un po’ la richiesta, forse è l’effetto di ritorno della riscoperta internazionale della nostra musica che dall’estero contagia la madrepatria. Sinora abbiamo pubblicato annualmente circa dodici/quindici titoli, considerando anche i 12″ e i 7″. Forse rallenteremo un po’ nel 2018 perché, come dicevo, il mercato non ha più gli spazi di prima. Nell’ultimo triennio sono uscite talmente tante cose che anche il prodotto di qualità, spesso, rischia di confondersi tra molte release poco utili e puramente compilative. Mi dispiace constatare come per alcune label il mercato delle colonne sonore in vinile appaia una scelta di comodo, una moda da cavalcare e spremere fino all’ultima goccia finché è possibile, pubblicando alla rinfusa un po’ di tutto ma senza un’idea di base, un percorso originale e un’identità di brand. Molte edizioni sono poco curate, in alcuni casi sono stati compiuti veri e propri scempi imperdonabili per chi, come noi, ama il genere. Per alcuni sembra che l’unico scopo sia vendere velocemente titoli destinati a scomparire ed essere presto rimpiazzati dal prodotto successivo, un lavoro più da grossisti di supermercati che da amanti della musica insomma. Per fortuna ci sono anche competitor che lavorano nella direzione opposta, mossi da passione, competenza e ricerca musicale come la Cinedelic Records ed Intervallo di cui apprezzo diverse uscite. Ad oggi il disco che ci ha portato via più energie è stato sicuramente “Zoo Folle” di Giuliano Sorgini, tra i titoli seminali del panorama soundtrack. La ricerca dei diritti è durata anni e si è svolta in un labirinto burocratico tra email, telefonate e richieste continue. Poi finalmente la situazione si è sbloccata anche grazie all’intervento personale del Maestro Sorgini col quale abbiamo lavorato, sin da subito, fianco a fianco sia nella documentazione originale, sia nella ricerca del master e poi nella stesura delle note di copertina dove abbiamo descritto il “making of” del disco, con dovizia di foto della session originale. C’è voluto più tempo del previsto anche in fase di stampa perché i primi test pressing non erano all’altezza delle aspettative, non rispecchiavano il lavoro fatto a partire dal master originale. Così abbiamo buttato tutto e siamo ripartiti da capo ma alla fine il risultato si sente. In certi lavori non importa il tempo che impieghi bensì la qualità. Tra i titoli più dispendiosi invece “L’Occhio Nel Labirinto”, una colonna sonora psych-jazz per un thriller pazzesco di Mario Caiano con Adolfo Celi, attore che io ed Andrea amiamo moltissimo. Per realizzare una copertina mozzafiato ci siamo avvalsi della collaborazione di Luca Barcellona, calligrafo di fama internazionale ed anche lui un vero sountrack addicted, partendo dai bozzetti originali del grande pittore cinematografico Sandro Simeoni. Il risultato è stato un vinile in 180 grammi racchiuso in gatefold, con innersleeve tratta dall’artwork originale e poster col manifesto del film incluso nella confezione. Una follia! Un altro “massacro” è stata la compilation “Studio Umiliani”, uscita pochi mesi fa. L’idea era quella di rovistare nell’archivio della famiglia Umiliani, con la generosa ed attiva collaborazione delle figlie di Piero, Alessandra ed Elisabetta. Abbiamo ascoltato decine di bobine non catalogate o dalla catalogazione incerta, un nastro dopo l’altro, frequentando la casa del compositore circa una volta a settimana per oltre un anno. Alla fine abbiamo tirato fuori una compilation di musiche del Maestro rare o mai pubblicate prima, con otto tracce inedite su venti totali. La stampa è stata una delle più dispendiose di sempre, perché oltre al doppio vinile 180 grammi abbiamo creato una copertina apribile ed incluso un bonus CD all’interno della stessa confezione. Forse non ci arricchiremo mai con le nostre produzioni ma siamo felici di realizzarle in questa maniera. La filosofia è sempre quella di far uscire dei dischi che noi stessi, da appassionati del genere, vorremmo comprare. Il più venduto del catalogo resta il citato “Zoo Folle”, una ristampa molto attesa che ha coinvolto un pubblico veramente eterogeneo che veniva dall’hip hop o da tutt’altro, travalicando ampiamente i confini dei sountrack lovers. È andato strabene anche “Afro Discoteca”, un 12″ con musiche inedite di Alessandro Alessandroni, il cui nome parla chiaro: elettronica analogica, synth esoterici, ritmiche afrobeat e un tiro da club internazionale. Anche questo è stato un titolo che ha avvicinato a Four Flies Records un pubblico che non aveva mai avuto occasione di incontrarci prima e che veniva principalmente dalla club culture. Il disco è stato suonato in moltissimi set, in Europa, Stati Uniti ed Australia, e supportato da radio e realtà britanniche di primo piano nel clubbing oltre che da DJ storici come DJ Food (side project dei Coldcut) e il nostro Leo Mas che è letteralmente impazzito per questo sound afro-balearic. Anche noi ci battiamo contro i bootleg, il male assoluto. Se le label ufficiali si impegnano per anni cercando di ottenere regolari licenze per stampare un disco, le etichette bootleg non si pongono minimamente il problema e stampano ciò che vogliono in tempi brevissimi, compromettendo di fatto non solo il nostro lavoro di ricerca ma anche il portafoglio degli autori e degli editori che si vedono defraudati dei loro diritti. Spesso il pubblico non sa la differenza e compra il bootleg, cascandoci, ma poi confrontando i prodotti è facile accorgersi di come il loro lavoro sia pessimo, sia a livello di suono che di confezione. Spesso le ristampe bootleg si autoeliminano col passaparola e nessuno, col tempo, le vuole più. Oggi, come dicevo prima, il mercato è saturo, in giro c’è troppa roba e per giunta uscita tutta insieme. La qualità di molti prodotti è troppo bassa e piuttosto scarsa la vendibilità di molti titoli che vengono proposti alla cieca. Devo ammettere che quelli della Four Flies Records si continuano a vendere sempre e piuttosto bene, forse perché la passione che ci mettiamo alla fine si nota e paga. Non so però per quanto potremo andare avanti sullo stesso genere. La forza e l’unicità della Four Flies Records sta nel fatto che non si occupa unicamente di reissue, anzi, ci stiamo orientando sempre più alla caccia all’inedito, alla colonna sonora mai stampata o ai brani di un compositore che non sono mai usciti prima ma che risultano profetici e stranamente attuali. La bellezza di questa musica è che è davvero immortale e senza tempo, spesso fuori dal suo stesso tempo. Un sound unico che resiste alle mode e scavalca i decenni, riuscendo ad imporsi all’attenzione di un pubblico internazionale forse meglio oggi di prima. Talvolta lavorare su materiali inediti non viene immediatamente percepita come attrattiva perché spesso si compra il disco per il nome del compositore e non tanto per il film di cui quelle musiche erano la colonna sonora, però è un nostro plus, non vedo altri che fanno questo lavoro in Italia né tantomeno all’estero, almeno come lo facciamo noi sul repertorio di musiche italiane, ma anche questo probabilmente non basterà ad andare avanti nel prossimo quinquennio. Per sopravvivere ci si deve rinnovare ed aprire ad altro e non è una coincidenza se una delle nostre release più vendute non sia stata accolta come soundtrack ma come un singolo balearic di musica elettronica (“Afro Discoteca”). Una label che ha capito bene cosa significa rinnovarsi ed essere aperta al gusto contemporaneo, pur scavando nel nostro stesso repertorio di library e colonne sonore europeo degli anni Sessanta, Settanta ed Ottanta, è la londinese Finders Keepers che riesce a tirar fuori dal passato cose sempre molto stimolanti che suonano incredibilmente moderne. Questo è un po’ quello che cerchiamo di fare anche noi, nel nostro piccolo, e che forse rappresenta l’unico modo per stare al passo coi tempi. In futuro, quindi, ci piacerebbe stampare colonne sonore italiane date ormai per disperse o per sempre perdute. Quelle inseguite da anni, non solo da noi, ma da chiunque opera in questo settore da decenni. Il feticcio più grande in questo senso è “Diabolik” di Ennio Morricone, LA colonna sonora perduta per eccellenza, di cui si tramanda la leggenda che i nastri siano andati bruciati in un incendio durante l’occupazione degli studi di De Laurentiis nei primi anni Settanta. O, per restare a Morricone, un gioiello come “Thrilling”, dove c’è un brano (“Thrilling (La Regola Del Gioco)”) cantato da Rita Monico che mi toglie il fiato ogni volta che lo sento (è l’unico stampato all’epoca su 7″, il resto non è mai uscito). Poi “La Mala Ordina” di Trovajoli, “Sette Orchidee Macchiate Di Rosso” di Ortolani, “Baba Yaga” di Umiliani, “I Padroni Della Città” di Bacalov ed alcune cose dei fratelli De Angelis. Tutti film le cui colonne sonore, per un motivo o l’altro, non sono mai uscite e sembrano andate in fumo per sempre. Ma mai dire mai: in passato mi è già capitato di imbattermi in nastri che nessuno sembrava potesse più recuperare. A volte il lavoro che facciamo è più da archeologi cinemusicali che da produttori discografici, e ci lascia sempre la possibilità di continuare a sognare, inseguendo i nostri desideri più impossibili».
Galaxy
Nonostante sia in attività da poco, la Galaxy si fa notare per un tipo di ricerca molto appassionata e viscerale. Tre i titoli presenti al momento in catalogo, “Mirage” di Francesco Cabiati, “Storia E Preistoria” di Rovi (alias Piero Umiliani), entrambi su vinile, ed una selezione di pezzi tratti dal catalogo Cramps Records risalenti al periodo 1973-1980, pubblicata su cassetta in un’edizione di appena venti copie. A questi sta per aggiungersi “Asinara Lager – Quindici Minuti Di Musica Creativa” dei Cemento Jazz Group. A fondare l’etichetta è Tyler aka Fountain Of Chaos, che racconta: «Galaxy nasce nel 2015 e si occupa unicamente di musica italiana prodotta negli anni Settanta. A dispetto della disfatta, quel decennio è stato gravido di possibili rinnovamenti. Gli esperimenti culturali di quel periodo suonano tuttora eccitanti, e come ha scritto Miles Whittaker dei Demdike Stare, “la quantità di musica creativa era tale che è impossibile starle dietro. I compositori italiani si prendevano molti più rischi dei loro omologhi stranieri”. Qualche settimana fa ero a casa di un amico che mi ha mostrato i dischi di Galaxy, erano accanto a “Lo Zarathustra” di Nietzsche, il che lo rende l’ideale destinatario della musica della mia etichetta. Per preparare una pubblicazione impiego almeno sei mesi. Contatto il compositore, valuto l’uomo e capisco se è all’altezza della musica che mi è piaciuta. Se c’è intesa si procede e decido con lui modi e tempi della ristampa. Recupero i formati su cui ha inciso e passo al restauro delle tracce. La stamperia con cui lavoro è la R.A.N.D. Muzik di Lipsia. Per ora i Paesi in cui Galaxy ha venduto di più sono Giappone e Germania. In termini di energie e denaro, ogni disco ha tolto più di quello che ha dato, ma chiaramente non è quello il tipo di moneta che desidero. In merito alle incisioni non ufficiali, incoraggio l’illegalità solo quando risponde ad un principio superiore alla legge a cui trasgredisce. Come diceva Thoreau, “è giusto disobbedire alle leggi stupide” e il mercato è pieno di leggi stupide. Per quanto riguarda la discografia, i bootleg sono roba da pataccari e chi li pratica deve essere sbattuto fuori. Considero inutile la maggior parte del mercato dei reissue. Le major assecondano la nostalgia di un numero consistente di persone ristampando dischi che tutti ormai conoscono. L’ennesima ristampa dei Rolling Stones è un’operazione pigra ed interessata, non c’è ricerca o un fine euristico. Viene semplicemente ribadita musica già ampiamente digerita ed accessibile. A me interessa altro, appartengo a quella minoranza di cercatori che svolgono un lavoro paziente e solitario, scavando tra mucchi di detriti dei decenni passati per recuperare musica meravigliosa che altrimenti rimarrebbe sepolta. In futuro mi piacerebbe stampare “Canzoniere Del Lazio” così i DJ la smetterebbero di suonare solo il “II° Coro Delle Lavandaie” e scoprirebbero quante alternative analoghe offre l’immaginario mediterraneo».
Groovin Recordings
Partita con “Mad” di Detto Mariano, reinterpretazione di “We Are Family” delle Sister Sledge e tratto dalla colonna sonora del film “Qua La Mano” del 1980, la Groovin Recordings scava nel repertorio funk/disco riportando alla luce vecchie opere di T.S. Monk, Winners e First Choice ma si interessa anche a quella house/deep house forgiata negli anni Novanta sia in Italia da Don Carlos, Night Communication (Andrea Gemolotto e Leo Mas), Shafty (ancora Gemolotto e Ralf), sia all’estero da Cassio Ware, Kerri Chandler ed Arnold Jarvis, Glenn Underground e 95 North. Dietro le quinte agiscono Paolo Rey ed Alex De Ponti, gli stessi che si occupano di Vinylbrokers, negozio di dischi di seconda mano. «Embrionalmente Groovin Recordings nasce nel 2011 come primo approccio di Vinylbrokers al mondo delle ristampe in vinile» spiega De Ponti. «Lavorando quotidianamente col vinile usato abbiamo accumulato una discreta conoscenza di dischi che ormai si fatica a comprare per cifre sostenibili e dunque vale la pena valutare di ristampare. Mi riferisco soprattutto al mondo più underground della house music, quella con sonorità deep e garage. Principalmente la nostra attività punta ai giovani che non possono permettersi di spendere cento euro per la copia originale di un disco house anni Novanta. Nella migliore delle ipotesi per completare una delle nostre pubblicazioni occorrono tre mesi ma talvolta può passare anche un anno per la realizzazione di una ristampa. Bisogna innanzitutto trovare i titolari dei diritti del brano in questione e solo una volta stipulato un contratto di licenza per ristamparlo si passa alla realizzazione del layout grafico e alla stampa fisica del vinile. Uno degli aspetti che rallenta molto questo iter è la ricerca dei master audio originali, che spesso sono andati smarriti nel corso degli anni. Mediamente stampiamo cinquecento copie a titolo, e il mercato più ricettivo è quello britannico. Nel 2016 abbiamo pubblicato sei uscite ma nel 2017 c’è stato un incremento e stiamo riuscendo a mettere in circolazione praticamente un disco al mese. I titoli più impegnativi sono stati quelli di Peven Everett ma ci tenevamo davvero a ristampare brani cult di un artista del suo calibro che seguiamo con grande passione da diversi anni. Il bestseller indiscusso resta comunque “Alone” di Don Carlos, che ci ha fornito l’energia per buttarci in maniera definitiva in questa avventura. Sul fronte bootleg, l’aspetto da condannare in assoluto è quello di stampare un disco senza chiedere l’autorizzazione e quindi pagarne la relativa licenza. Oltre che illegale è concorrenza sleale nei confronti di chi, come noi, investe del denaro per portare avanti questa attività. La recente policy di Discogs avrà infastidito molti acquirenti ma tutela tutti gli operatori del settore che si muovono rispettando le regole. Al momento è difficile fare previsioni sul mercato come quello del vinile che, negli ultimi cinque anni ad esempio, è già cambiato varie volte seguendo direzioni e filoni diversi che spesso si sono sgonfiati velocemente. Noi comunque continueremo fino a quando sarà possibile, ristampando pezzi di storia della house music, come “Bourgié Bourgié” (Joe Claussell Remix) di Ashford & Simpson e “Don’t Walk Out On Love” (Frankie Knuckles Remix) di Gallifré Featuring Mondeé Oliver, prossimi all’uscita. Farli rivivere è per noi una piccola soddisfazione, soprattutto perché riusciamo a farli conoscere da chi non li ha vissuti quando sono stati pubblicati originariamente».
Intervallo
Intervallo parte nel 2015 con “Simbolismo Psichedelico” di Gerardo Iacoucci ed “Angoscia” di Alessandro Alessandroni e poi via via intensifica l’attività ristampando rarità di Narassa (alias Alessandro Brugnolini), Farlocco (alias Stefano Torossi), del compianto Massimo Catalano e Remigio Ducros. Uno dei curatori è Stefano Ghittoni che racconta: «Intervallo nasce un paio di anni fa. Volevamo semplicemente pubblicare dischi che ci piacevano e che dessero un punto di vista diverso del concetto di library. La prima ondata che ci fu anni fa era focalizzata prevalentemente sulla scena easy listening mentre a noi interessava invece esplorare un’area differente, più sperimentale e seminale per tante cose che sono venute in seguito. Ad occuparcene siamo in tre: io, che sono DJ, produttore discografico (tra i miei principali progetti c’è The Dining Rooms) e radiofonico (Comizi D’Amore su Radio Popolare Milano), Fabio Carboni, proprietario del servizio di mailorder SoundOhm e co-fondatore di Die Schachtel, e Stefano Gilardino, giornalista e scrittore (ha appena pubblicato “La Storia Del Punk” su Hoepli). Il punto d’incontro di queste diverse sensibilità e competenze è Intervallo. Abbiamo scelto di esplorare il passato perché, come avrebbe risposto Massimo Catalano, riteniamo che le cose più interessanti siano da rintracciare in quel periodo. Non puntiamo ad un target specifico anche se chi compra i nostri dischi deve essere inevitabilmente in un posizionamento di gusti abbastanza preciso. Direi quindi che la selezione è naturale. Il tempo per completare il lavoro di ogni pubblicazione dipende da disco a disco. La parte produttiva, ora che il vinile sembra vivere una seconda vita anche in virtù delle major che stampano qualsiasi cosa precettando le stamperie, si è un po’ allungata, diciamo dai tre ai sei mesi. La parte artistica e di scelta invece fa parte di un discorso generale di ricerca ed approfondimento dei vari cataloghi e conseguenti album da scovare. La tiratura di ogni titolo è di trecento copie e vendiamo un po’ ovunque, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa. Coi Paesi orientali invece abbiamo contatti solo saltuari. Da settembre 2015 ad oggi abbiamo pubblicato dieci dischi, dodici annoverando anche i due che sono in arrivo, quindi mediamente mettiamo fuori quattro titoli all’anno. Solitamente ne pubblichiamo due per volta e stanziamo una cifra per l’anticipo relativo alla licenza. Per questa ragione i nostri dischi ci costano tutti allo stesso modo. Per adesso i primi quattro sono esauriti ed “Angoscia” di Alessandroni lo si può trovare su Discogs già ad un prezzo più alto del normale. Se dovessi pensare ad un bestseller probabilmente indicherei proprio lui in quanto continuiamo a ricevere moltissime richieste ma, per ora, abbiamo deciso di non ristampare nulla e di lavorare solo sulle prime tirature. Siamo assolutamente contrari ai dischi illegali, i diritti vanno riconosciuti. Poi, essendo anche un artista e produttore, la cosa mi tocca particolarmente. Riguardo il mercato delle ristampe, credo che la bolla si sia già sgonfiata per due motivi. Il primo, e più importante, è che visto il grande interesse in tanti si sono messi a ristampare library dimenticando però che il mercato, già ridotto, è sempre lo stesso. Ci sono etichette che hanno messo in circolazione tantissimi titoli, uno dietro l’altro, alimentando una over produzione che ha soffocato il micro mercato che si era creato. Il secondo motivo invece è di natura artistica: all’inizio si tendeva a ristampare titoli più oscuri e ciò, essendo una novità, riusciva a creare un pubblico nuovo e più ampio con ascoltatori provenienti dall’elettronica sperimentale (alcune nostre uscite sembrano prese dal catalogo Warp!), dall’ambient, dall’hip hop e dal post rock, insomma ascoltatori più eclettici. Ad un certo punto però si è tornati a pubblicare le cose più cheesy, con molte colonne sonore, repertorio già usato abbondantemente tempo fa, ai tempi della lounge music, e questo cambio di strategia secondo me ha annacquato il senso di appartenenza alla scena e quindi all’acquisto. Noi comunque stiamo continuando col nostro mood originario perché è una cosa che ancora ci piace fare. Dopo “Industria N. 1” di Gerardo Iacoucci e “Guerra E Angoscia” di Narassa sarà la volta di “Percussioni Ed Effetti” di Leonardo Marletta ed “Agonia Della Civiltà” di Antonino Riccardo Luciani, entrambi previsti per i primi mesi del 2018. Per il futuro vedremo dove ci porteranno le nostre ricerche».
La Discoteca – Disordine
Partita nella primavera del 2015 con “Driving” dei Sensitive, “The Rule To Survive (Looking For Love)” dei N.O.I.A., “I.C. Love Affair” dei Gaznevada e “Shoot Me” di Malcom And The Bad Girls, La Discoteca si ritaglia il giusto spazio tra gli appassionati di italo disco, naturalmente quella di ardua reperibilità o passata alla storia per particolari ragioni. Senza sosta stampa altre rarità come “Magic Dance” di Loui$, “Plastic Doll” dei Dharma, “Special Agent Man” dei citati Gaznevada, “New Dream” di Clay Pedrini e “I Wanna Fly Away” di Blue Russell, per poi continuare con Pineapples Featuring Douglas Roop, Clio, Wish Key ed Oxo. Un vero tesoretto che ha reso felici tutti coloro che, sull’onda di I-F (e di molti altri olandesi) e delle sue selezioni destinate prima a CBS (Cybernetic Broadcasting System) e poi ad Intergalactic FM, hanno scoperto di avere un debole per le produzioni italiche degli anni Ottanta. In parallelo lo stesso team lancia una seconda etichetta, la Disordine (un omaggio ai torinesi DsorDNE?), che punta a coprire il frangente minimal synth/new wave attraverso Kirlian Camera, Neon, Simona Buja e Teknospray. A caratterizzare La Discoteca e Disordine è l’uso di plastica colorata per il vinile, dettaglio che alimenta ulteriore interesse tra le frange dei collezionisti più incalliti ed accaniti.
Omaggio – Erezioni
Tenendo fede al suo stesso nome, la Omaggio omaggia quei brani che, ai tempi della loro pubblicazione originaria, non furono particolarmente fortunati. A fondarla è Marco Febbraro, già dietro alla Strictly Groove Recordings e a numerose etichette-satellite, che incontriamo per l’occasione: «La prima (ri)stampa su Omaggio esce ufficialmente tra luglio ed agosto del 2016. Più o meno contemporaneamente nasce Erezioni, anche se ci sono voluti ulteriori dodici mesi per individuare il disco che meritasse di inaugurare l’etichetta dedicata esclusivamente alla dance italiana, in particolar modo quella creata nel quinquennio 1978-1983. Il primo obiettivo è quello di proporre buona musica col forte desiderio di rispolverare alcuni dei miei dischi preferiti. Oggi con internet ci sono infinite risorse affinché si possa scongiurare l’oblio di un’opera, è solo questione di tempo, prima o poi qualcuno ripescherà anche le cose più impensabili. Istintivamente mi rivolgo ai giovani perché, in un certo senso, è più giusto che le tradizioni e certe bellezze vengano tramandate a loro, ma alla fine la musica è di tutti, soprattutto di chi l’apprezza e la rispetta, e con questo approccio il limite dell’età evapora. Se dovessi puntare ad un target, sceglierei chi è alla ricerca di musica da ballare, perché sia con Omaggio che con Erezioni ristampo musica destinata ad essere ballata. Preparare un’uscita comporta, per la mia esperienza, almeno sei mesi, intendendo dal primo contatto alle copie finite. Una buona parte è occupata da tempi tecnici legati alla produzione vera e propria del disco fisico che oggi corrisponde, occhio e croce, a sedici settimane. In questi quattro mesi però si susseguono diverse attività come il preordine ed un minimo di promozione e di organizzazione, che sono provvidenziali. Si comincia però con la definizione dei termini del contratto di licenza, e qui varia a seconda dell’interlocutore. È capitato che fosse sufficiente una telefonata più tre giorni in attesa della lettera col contratto originale firmato, ma (più spesso) avviene di condurre trattative via email per intere settimane. In ogni caso è un aspetto del lavoro che amo gestire personalmente. Poi c’è un processo intermedio che riguarda un altro aspetto tecnico, il restauro dell’audio e l’adattamento grafico. La quantità di copie che stampo dipende da quanto funziona il lavoro della distribuzione e dai feedback ottenuti nelle fasi preliminari del preordine, utili per farsi un’idea della prima tiratura. Mediamente sono mille copie per il 12″ e cinquecento per l’LP. Non saprei indicare con precisione i Paesi in cui vendo di più, ma posso affermare che nel Regno Unito e in Germania ci sia un consistente riscontro, così come tra Olanda, Belgio e Francia, dove viene gestita prevalentemente la distribuzione. Un cospicuo numero di richieste giunge anche da Spagna e Grecia e pure i negozi italiani che ritengo strategici sono puntualmente riforniti con le mie uscite. Vedo ottimamente distribuiti i dischi in Giappone, da dove arrivano altri incoraggianti feedback, e negli Stati Uniti, ma ho la sensazione che la partita più importante si giochi in Europa, almeno per ora. Al momento il mio obiettivo è pubblicare almeno cinque o sei dischi all’anno, nella migliore delle ipotesi non più di dieci. Sarebbe assai difficile per una piccola struttura come Strictly Groove, ma è sostanzialmente anche una scelta. Ho studiato e mi sono imposto, sin da subito, dei parametri che intendo rispettare, almeno sino a quando avrò la certezza di aver costruito qualcosa di solido e/o saprò di potermi permettere un flop. Non è solo una questione economica ma di rispetto nei confronti della musica (non mia) che tratto. Non è scontato che la qualità paghi sempre, però è opportuno impegnarsi affinché insieme alla qualità ci sia un risultato tangibile. Se questo non avviene con una certa regolarità, è evidente che non siamo in grado di costruire un percorso sostenibile, almeno sulla media distanza. Ad oggi il bestseller è “Out’A The Box” di Jiraffe ma devo ammettere che “All The Way You Move” di Klaps sta guadagnando rapidissimamente terreno. Questioni spinose? La pirateria esiste dalla notte dei tempi, solo che una volta dovevi possedere fisicamente il disco altrimenti non sapevi neanche della sua esistenza ed era oggettivamente complicato raggiungere l’autore o i proprietari del master, comunicare ed avere l’opportunità di discutere delle licenze. Non mancava comunque chi stampava in modo illegale ed immorale. Era certamente più semplice che fare qualcosa con la farina del proprio sacco! Spero che quella di Discogs sia una presa di posizione definitiva, e conseguentemente uno stimolo per la coscienza di chi vuole lavorare in questo settore senza voler rispettare le regole della professionalità. Oggi parliamo di una progressiva ripresa del vinile ma se non ci fossero state le major a ristampare i loro migliori successi negli ultimi quindici anni, molte più stamperie avrebbero definitivamente chiuso i battenti. Ci siamo quasi rassegnati al fatto che nella musica non possa più succedere niente di nuovo come invece è avvenuto negli anni Novanta, e quindi non rimane altro che provare a proporre della buona musica, a prescindere da tutto. Sono il primo che auspica un mercato in cui la musica inedita giochi un ruolo preponderante ma ciò deve consentirmi di portare avanti l’azienda. Per il 2018 ho già dei progetti in cantiere: su Erezioni, dopo “I Like Sado Music” di Sandy Samuel, sarà la volta dell’album “Disco Fashion” degli Electric Machine, una band misteriosa formatasi presumibilmente per l’occasione e prodotta (o auto prodotta?) dalla Sparrow Records e pubblicata dalla Edizioni Euterpe. Un capolavoro di disco psichedelica datato 1979 e semi sconosciuto. Seguirà il quinto su Omaggio, un LP prodotto dalla leggendaria Prelude e scritto dai fratelli Aleem ovvero “Prana People” del gruppo omonimo. Uno dei miei dischi preferiti di sempre, senz’altro uno dei migliori album del 1977, anno in cui successero cose magiche, determinanti per lo sviluppo della scena clubbing mondiale. Infine darò alla luce una serie di collaborazioni con Dodias alias Giorgio Lecardi de Gli Idoli, primo gruppo del compianto Lucio Dalla. Dodias è un batterista sopraffino ma anche un eccelso arrangiatore con una discografia tutta da approfondire. Su Erezioni finirà la ristampa di due suoi brani usciti su altrettanti 7″ distinti firmati come The Spins, “The Valley Of Temples” e “Salt Peanuts”, ai quali, per la prima volta, affiancherò un edit a cura di un talentuoso artista».
Orbeatize
Fondata appena un anno fa a Nardò, in provincia di Lecce, la Orbeatize ha cavalcato il 2017 in modo sorprendente mostrando una sensibilità che va dalle poliritmie del batterista Armando Bertozzi all’ibrido tra strumenti tradizionali ed elettronici di Martin Kornberger & Volker Kuhn passando per temi di musica sintetica a firma Chris Neal (con un bonus remix di Jolly Mare), Knut Skodvin, Georges Boutz e dell’italiano Enrico Serotti a cui si sono aggiunti recentemente gli album di Chris Hanzsek e TV-Totem. Ad orchestrare il tutto è Cesare Barbetta, il Gianni che da tempo cura il blog Boxes Of Toys che incontriamo: «Orbeatize nasce, come società e come etichetta discografica, nel 2016, con l’obiettivo di dare seguito alle richieste ricevute dai lettori del mio blog di ristampare parte del materiale discografico raro e ricercato che propongo e ad esso collegabile. Senza il blog a monte probabilmente non ci sarebbe mai stata la label. Orbeatize esplora sia il presente (con la serie Beat, dedicata ad artisti nuovi, principalmente in stile elettronico) sia il passato (con la serie Orb) per venire incontro ad una mia necessità personale di conoscere sempre nuovi suoni e dare nutrimento ad un orecchio perennemente affamato di artisti odierni e (soprattutto) del passato. Si tratta quindi di una questione personale legata ad un bisogno psico-fisiologico. C’è stato un periodo della mia vita in cui se non ascoltavo nuovi suoni finivo in una profonda depressione. Con Orbeatize mi rivolgo ad una nicchia di mercato che, forse, sente quello stesso tipo di bisogno psico-fisiologico, presumo senza vincoli legati all’età. I tempi per completare ogni uscita si sono allungati: circa due mesi vanno via dall’invio del materiale finale audio/grafico al ricevimento dei test pressing, più un altro mese per avere le copie finali stampate. A questi tre mesi bisogna poi aggiungere il lavoro di ricerca, ascolto, contatti con l’artista e la firma di licenza esclusiva (di tre, quattro o cinque anni). Questa attività richiede anche cinque/sei mesi, senza considerare l’orecchio musicale per la cui maturazione ho impiegato oltre venti anni ascoltando i generi più disparati. Solitamente stampo seicento copie per titolo, ottenendo maggiori riscontri nell’Europa centrale e settentrionale (Germania e Paesi Bassi). Il Paese in cui vendo meno invece è l’Italia. Sinora ho pubblicato sei album ma l’obiettivo è farne uscire uno ogni due mesi. Purtroppo ci sono dischi per cui non riesco a chiudere accordi di licenza soprattutto per problemi legati a chi detiene i diritti (grosse label subentrate a micro etichette ormai defunte, oppure autoproduzioni di artisti che ignorano i miei ripetuti messaggi ed offerte di denaro). Per ora il bestseller resta “Embrace” che, paradossalmente, è quello costato meno in termini di royalties pagate agli artisti coinvolti. Personalmente non ho mai comprato bootleg e/o incisioni non ufficiali, per me quel tipo di mercato non esiste proprio. Il futuro lo immagino con la presenza fissa di una nicchia di mercato che sente costantemente l’esigenza di scoprire nuovi suoni e dare da mangiare quotidianamente al proprio orecchio, a condizione che, ovviamente, ci sia una correlazione forte tra “qualità” dell’offerta e domanda. Per quanto riguarda nuovi progetti, mi piacerebbe ristampare sonorizzazioni italiane rarissime che ho in collezione ma per le quali è durissima ottenere le licenze. L’Italia ha un patrimonio artistico musicale che gli stranieri si sognano di possedere! Infine vorrei rimettere in circolazione un gruppo sconosciuto europeo che tra gli anni Settanta ed Ottanta faceva proto techno/elettronica e che oggi farebbe gridare al plagio gli eventuali detrattori dei Daft Punk».
Shift LTD
La Shift LTD non è propriamente una reissue label ma un’etichetta house che, a più riprese, concede spazio a ristampe di brani del passato come avvenuto col “Different Perspectives EP” di Enrico Mantini e “Trance Wave 2” di MBG. A gestirla sono i DNArt (i fratelli Francesco Gori e Luca Gori, da Firenze) e Gianluca ‘DJ GLC’ Marcelli, che spiega: «Shift LTD nasce a Roma nel 2012 da una mia idea. Dopo mesi di studi e ricerche, riuscii con determinazione e soddisfazione a pubblicare il primo disco, oggetto di incoraggianti feedback e con cui la label ha iniziato a farsi conoscere. In merito a ciò ringrazio Nicola Penna alias Nasty Boy che mi ha affidato la sua musica per iniziare questo percorso. Dopo una breve pausa torno a Firenze dove incontro gli amici DNArt che, spinti dalla mia stessa passione per musica e vinile, decidono di dare il loro contributo all’etichetta. Inizialmente abbiamo dato spazio ad artisti che rispettavamo, come Fabio Della Torre (con un bel remix di DJ Spider) ed un paio di various con varie tracce tra cui quelle di Jordan Fields, icona di Chicago, e Little Hado, astro nascente rumeno incontrato a Firenze. Poi, nel 2013, la decisione di ristampare alcuni brani di Enrico Mantini ha rappresentato la svolta per la label. La deep house italiana dei primi anni Novanta ci affascina da sempre, ed essendo appassionati del vinile abbiamo scoperto tanta bella musica del passato che poteva essere riproposta oggi. A volte interveniamo editando e riadattando le versioni dell’epoca o lavoriamo su tracce mai uscite aggiungendo il nostro tocco. A spingerci a fare tutto questo è la sola passione, non studiamo strategie a tavolino né tantomeno seguiamo le mode. Abbiamo riproposto questo sound nel 2013 non immaginando che a distanza di qualche anno potesse diventare così ricercato e richiesto. Adesso è tornato alla ribalta grazie a label come la francese My Love Is Underground e DJ come Young Marco e Palms Trax che lo stanno proponendo in eventi importanti come Dekmantel o Boiler Room. È bello poter far conoscere alle nuove generazioni buona musica del passato ed è altrettanto appagante dare l’opportunità a tutti di acquistarla a prezzi accessibili. Per noi la musica è cultura e non solo business. Molti potrebbero pensare che ristampare brani già editi sia più semplice ma in realtà è il contrario. Prima di tutto sono necessarie le approvazioni da parte dei proprietari delle tracce, poi recuperiamo i vecchi supporti e li riversiamo in digitale, “pulendoli” per la rimasterizzazione e la nuova stampa. L’iter completo di tutte queste operazioni porta via mesi di lavoro. Siamo una piccola etichetta underground e pubblichiamo dischi in tirature limitate. Abbiamo avuto buoni riscontri delle nostre uscite in Germania, Olanda, Regno Unito ed Italia ma anche dal Giappone e Stati Uniti. Per adesso pubblichiamo una o due ristampe all’anno ma non nascondo che ci piacerebbe farne molte di più. Il processo di ricerca è interessante ed affascinante anche se alcune volte “riesumare” gli anni Novanta non è affatto facile e si rendono necessarie ardue procedure di restauro ma i risultati ci regalano sempre grandi soddisfazioni. Il bestseller resta “Trance Wave 2” di MBG, contenente due delle quattro tracce incise originariamente su MBG International Records nel 1993. Proprio una di queste, “Jumping Trip”, è stata recentemente inserita da DJ Tennis nella leggendaria compilation “DJ-Kicks”. Le abbiamo rimasterizzate in DMM (Direct Metal Mastering) con buoni risultati apprezzati dal mercato discografico. Concordiamo in pieno sulla decisione di Discogs di escludere dalla vendita i bootleg e le copie non autorizzate. Non credo che il mercato delle ristampe mostrerà una flessione anzi, molti album sono senza tempo e continueranno ad essere rispolverati ed adattati. Basti pensare che nella classifica dei dischi più venduti del 2016 figurano ben tre album dei Pink Floyd. È nostra intenzione dare nuova vita ad altre gemme house del passato, magari mai pubblicate, ma dando precedenza assoluta agli artisti italiani. Colgo l’occasione per annunciare, in via del tutto esclusiva, che nel 2018 sarà la volta del “Peter Pan EP” di MBG, DJ Rame, Alkemy e DJ Uovo, tratto ancora dal catalogo MBG International Records ed uscito originariamente nel 1992. Abbiamo optato per il doppio vinile che ospiterà pure due versioni editate da noi».
Special Groove Records – Archivio Fonografico Moderno
Gli intenti della Special Groove Records somigliano a quelli de La Discoteca, ossia rimettere in circolazione materiale raro di estrazione italo disco, recuperato da nastri originali e ripressato su vinile dopo un accurato perfezionamento audio. Ad accomunarle è anche il font identico dei rispettivi loghi. Il catalogo si apre nel 2011 con “Fall In Love Again” di Glasses e “Forever” di Wol Vo, a cui seguono altri cimeli d’annata (“Like A Rainy Day” di Luciana, “The Cat” di Ken Scott, “Fly To Me” di Aleph) alternati ad inediti che ne ripercorrono le orme (“Dark Eyes” di Steven Perri, “It’s Time” di Alex Valentini, “Your Touch Your Eyes” di Ryvon). Nel 2014 a Special Groove Records si affianca una seconda etichetta, Archivio Fonografico Moderno, ulteriore ramificazione che mira ancora al segmento della dance nostrana prodotta nei primi anni Ottanta, quella seminale per futuri generi come house e techno. Da “On And On (Fears Keep On)” dei Decadance (forse ispirazione per “Riccione” dei Thegiornalisti?) a “The Garden/Robot Is Systematic” dei ‘Lectric Workers, da “Livin’ Up/Stop” di B.W.H. a “Cybernetic Love” di Casco e “Beautiful Life” di Alex Valentini ed altri ancora. Analogamente a La Discoteca e Disordine, pure Special Groove Records ed Archivio Fonografico Moderno optano per il vinile colorato, ulteriore caratterizzazione di pubblicazioni in edizione rigorosamente limitata.
Outro
Le numerose testimonianze raccolte restituiscono un quadro ricco quanto vario che aiuta a comprendere come questo tipo di discografia non miri a vendere un alto numero di copie o a cercare popolarità nel grande pubblico, quindi cibare un business di tipo commerciale. Va riconosciuto a questi “ristampatori” il merito di svolgere il proprio lavoro con una passione ben diversa rispetto a quella di chi lavora per le più classiche case discografiche. Liner notes meticolose e dettagliate, qualità audio sempre più elevata, attenzione alla grafica e al package, inserti speciali ma soprattutto ricerca archivistica di musiche fuori dall’ordinario consumo quotidiano: insomma, si tratta di realtà che agiscono come veri e propri custodi del passato, gettando luce, alla stregua di archeologi, su dettagli sepolti sotto decenni di polvere. Un’etica totalmente differente da chi invece cavalca la moda del ritorno del vinile e ristampa materiale ultraconosciuto privo di fascino per la ricerca e scoperta dell’ignoto, ma al solo fine di ottenere lauti riscontri monetari con uno sforzo minimo, non tanto economico quanto artistico. Ma per quanto si potrà andare avanti? In teoria il segmento dei reissue è prossimo all’essere infinito grazie all’iperproduzione musicale dei decenni passati che rende le “scorte” quasi inesauribili. Esistono interi cataloghi da esplorare in cui potrebbero trovarsi gemme meritevoli di essere riportate a nuova vita. Se poi si tiene conto che il confine tra “ristampa” e “stampa di brani vecchi ma inediti” si stia velocemente assottigliando, è facile prevedere che tale processo di recupero e valorizzazione culturale non sia destinato ad eclissarsi tanto facilmente. Esistono inoltre generi musicali ancora “vergini” dal punto di vista della reintegrazione, come jungle, drum n bass o eurodance ad esempio, paragonabili a “sleeping brand che mantengono un valore”, come scrive Fabrizio Patti in questo articolo. Sarà sufficiente innescare il giusto interesse per aprire parentesi ed abbracciare nuovi tipi di pubblico. La specializzazione, del resto, è indispensabile per questo tipo di attività, si vedano etichette come Awesome Tapes From Africa, I.D. Limited, Fox & His Friends, Le Très Jazz Club, Sinister Torch Records, Melodies International o Isle Of Jura Records, le ennesime nate per ristabilire un contatto con un certo passato e consegnarlo/trasmetterlo alle generazioni più giovani. Dopo un periodo di scarso interesse per tali iniziative (basti pensare a quanta italo disco rara sia stata ceduta ad etichette estere nell’ultimo quinquennio), anche l’Italia ha finito col cedere ad una tendenza tutto sommato positiva perché predilige intenti culturali ed elegge la musica come nume tutelare. Brani dimenticati diventano testimoni del tempo e vengono convogliati su vinile, formato che meglio si addice al continuum temporale che le reissue label si prefiggono di garantire. Altre ancora stanno per nascere, come la citata Ottagono Design Of Music di Claudio Mate, e magari qualcuno, dopo aver letto proprio questo reportage, sta già pensando di attivarsi per risvegliare nuove schegge di passato.