UPDATE: Questo articolo ovviamente era un Pesce d’Aprile. Ma se volete capirne le ragioni, e magari anche per farvi domande sul suo successo, andate qui
L’avrete notato anche voi: sempre più spesso dischi importanti in Italia finiscono in testa, almeno nella settimana d’uscita, alle classifiche mondiali di Spotify: sì, quelle mondiali. Ultimo caso in ordine cronologico, Fibra che va al terzo posto assoluto (sotto Rosalìa, ma sopra Charli XCX); ma poco prima di lui c’era stato perfino Paky, sparato al secondo posto assoluto, e questo con un disco che peraltro s’è inabissato ben presto non solo nelle classifiche mondiali ma – ahilui – anche in quelle italiane. Però c’è stato lui, nella top 3 globale, ci sono stati pure Salmo (primo!), Sfera, Blanco, ovviamente i Måneskin… Che succede? Siamo in realtà più dei 60 milioni e passa che diciamo di essere? E questi 60 milioni sono tutti sintonizzati, come un sol uomo, su Spotify?
In generale: siamo la nazione al mondo più tecnologizzata nell’ascolto musicale, e più appassionata nella fruizione di essa, con la conseguenza che appena qualcuno è fenomeno da noi è anche, numeri alla mano, fenomeno in tutto il mondo?
Improbabile.
Certo, ci possono essere spiegazioni tecniche, c’è perfino – come ha fatto ad esempio l’editorialista di Rockit Simone Stefanini – chi chiama in campo una testata prestigiosa come Music Business Worldwide che in un articolo assicura che una leggina del Governo italiano (in sintesi: un corposo sconto fiscale, via tax credit, per le major che investono in artisti) ha fatto il miracolo, rendendo la nostra industria discografica una nave sempre più forte. Perché non dare per buona questa ipotesi? Anche se il nostro Governo che fa qualcosa di buono per la musica pop contemporanea, beh, sembra proprio un Pesce d’Aprile.
Una gola profonda dell’industria nostrana però ha dato la vera chiave di lettura di questo fenomeno. “E’ una specie di ‘operazione TOTIP 2.0”, ride il nostro interlocutore. Per i meno giovani: il riferimento è a quando al Festival di Sanremo il voto del pubblico si esercitava tramite le schedine del TOTIP, ovvero quando si scommetteva sui cavalli con lo stesso metodo del Totocalcio (schedine prestampate in cui scegliere un vincitore di varie corse sparse in giro per l’Italia). In pratica se volevi esprimere la preferenza per uno specifico cantante, dovevi andare in tabaccheria, fare la tua giocata, registrare la schedina dove sopra c’erano sia i tuoi pronostici, sia un’altra scheda dove apporre la tua indicazione su chi doveva essere il vincitore della rassegna canora rivierasca. Lo sappiamo, se siete più giovani vi pare una cosa assurda o una boutade da primo aprile, ma controllate pure: Google vi è amico.
Cosa succedeva? Succedeva che le case discografiche per sostenere quello o quell’artista si compravano pacchi da migliaia e migliaia di schede TOTIP, registrandole poi regolarmente, per farli avanzare in classifica in modo farlocco ed artificioso. Ecco: pare che nel 2022 stia succedendo qualcosa di simile. Le principali major italiane per alcuni progetti mirati stanno facendo lo stesso. Voi direte: “Grazie al cazzo, era prevedibile fosse così”. Ma in realtà questa azione diventa particolarmente efficace grazie alla presenza di un “Cavallo Pazzo” (questo il suo soprannome nell’ambiente, pare, e sembra sia sempre un riferimento agli anni gloriosi totipeschi: c’è dell’ironia sapida).
Perché gli stream si comprano e lo sappiamo, esattamente come si comprano le views su YouTube e i follower su Instagram, ma è successo che un giovane hacker italiano (di cui si conosce solo la data di nascita, 28 febbraio 1999, e la città di provenienza, Genova) che nella vita lavora per la cybersicurezza di un grande gruppo bancario italiano un giorno, per svago, si era messo a ravanare nel codice di Spotify scoprendo una falla. Una falla imprevista e piuttosto vistosa. Falla grazie a cui è possibile moltiplicare artificialmente nel sistema le views degli album (non dei singoli, solo degli album: e questo spiegherebbe perché in cima alla classifica vanno più gli album di casa nostra che i brani singoli).
Dietro pagamento di una lautissima ricompensa – e questo spiegherebbe perché “Cavallo Pazzo” viene attivato solo raramente, solo per determinate release: il ROI deve essere adeguato – pare insomma sia possibile fare schizzare in alto gli ascolti di un singolo album. Rendendo così improvvisamente l’Italia un paese dal market share, su scala globale, dominante.
Così finalmente si spiega tutto.
Lo scandalo è ancora circoscritto. Ma adesso che è scivolato al di fuori della ristrettissima cerchia degli addetti ai lavori ai più alti gradi, e infatti ne stiamo scrivendo già noi ed altri arriveranno, siamo sicurissimi che sarà uno scandalo non da poco conto. Molte storie saranno da riscrivere, e molta cieca fede su questa improvvisa “rinascita” della musica italiana a livello mondiale andrà in qualche modo ricontrollata. Come ci ha confidato uno dei producer più di lungo corso ed esperti negli ultimi due decenni in Italia, Big Fish: “Abbiamo dovuto aspettare l’1 aprile 2022 per scoprire quello che, in parte, molti di noi sospettavano. Vabbé. Potevamo arrivarci prima, ma rischiavamo anche di arrivarci dopo. Facciamo finta sia ok così”.
Nella foto, e presente in tutto il testo: Big Fish