Certe volte le cose si incastrano bene. Giusto ieri stavamo discutendo, internamente, sul bell’articolo che DLSO ha dedicato a Sufjan Stevens (lo potete leggere qui, lettura consigliata). Uno dei punti su cui riflettevamo era come e quando un artista di area più elettronica (e, perché no?, dance) riuscisse a disegnare, con la sua musica, un ritratto altrettanto complesso, vivido, sfaccettato, emotivamente ricco del mondo, del mondo “vero”. Esempi ce ne sono: se pensiamo ai primi che ci vengono mente, da citare ci sono di sicuro Faithless e Underworld. Perché loro anche nelle cavalcate più epiche ed euforizzanti (“God Is A Dj”, “Born Slippy”, per fare citare le tracce più ovvie) hanno sempre comunque un “twist” profondo, agrodolce, o comunque un’attenzione particolare a tutto ciò che è emozione – con un retrogusto amaro, corrosivo. Senza contare che nel loro repertorio ci sono anche pezzi più meditativi, tranquilli, perfetti per “avvolgere” momenti della propria vita che non siano quelli dentro un club. Perché la vita non è sempre dentro un club.
Ecco. Anche se la musica “nostra” spesso è solo strumentale, è fondamentale che ci siano voci – anche solo con la musica, non servono per forza voci e testi, pensiamo ad esempio a James Holden o Burial – in grado di restituire sensazioni complesse, che ci “leghino” alla nostra quotidianità, che ci spingano a scavare dentro noi stessi facendoci porre anche delle domande. La dance come musica confinata a stati euforizzanti (dal gospel uplifting riadattato nella house alle invocazioni a ballare e a divertirsi generiche) perde parte del suo potenziale. Esattamente come il pop fatto solo per parlare di cuore e amore e testi disimpegnati o l’hip hop fatto solo per parlare di autocelebrazione e status symbol diventano delle entità efficaci a metà.
Appunto: uno come Sufjan Stevens ha dato moltissimo alla causa del pop, con la sua ricchezza di riferimenti, con la sua attitudine prismatica (…e anche con concerti assolutamente clamorosi: la dimensione live, quella dove tocchi con i cinque sensi il “magma” sonoro e narrativo, è fondamentale). Ecco, mentre ci dicevamo tutto questo, mentre discutevamo dell’articolo su Sufjan Stevens di DLSO, che nasceva dal fatto che il cantautore americano era il protagonista della colonna sonora del nuovo film di Luca Guadagnino “Chiamami col tuo nome” (prima volta che Sufjan compone musica originale per un film; ma del resto Guadagnino, vedasi per dire “A Bigger Splash”, è un regista ed autore che ha una sensibilità particolare per la musica e quello che le gira attorno), proprio nelle stesse ore in cui accadeva tutto questo saltava fuori la notizia che “Mystery Of Love”, uno dei brani portanti della colonna sonora, entrava ufficialmente nella shortlist che porta alla nomination all’Oscar, esattamente come “Visions Of Gideon”, altro inedito che Stevens ha donato a Guadagnino.
Viva l’energia, viva l’euforia, viva le mani in aria, viva anche i tool quando servono a “costruire” un set in un dancefloor; ma è fondamentale che anche dalle nostre parti ci siano artisti in grado di “raccontare il mondo” lavorando su immagini, sensazioni, suggestioni sospese tra universale e vita di ogni giorno. Chi vive confinato mentalmente solo in un club beh si perde ricchezze emotive e, soprattutto, dopo un po’ diventa solo macchietta.