Nella nostra cavalcata di avvicinamento a LattexPlus Festival vi abbiamo già raccontato alcune storie: la fortunata parabola di My Love Is Underground e le emozioni che un selector di grande spessore come Hunee ci ha saputo regalare negli ultimi anni. Abbiamo pensato che, per completare idealmente questo percorso, ci fosse ancora spazio per un po’ di parole e musica per provare a dare una visione di insieme di ciò che il “pacchetto” artistico della rassegna fiorentina avrà il privilegio di offrire ai propri astanti dal 14 al 16 luglio al Parco di Villa Solaria.
E quale modo migliore se non far riaffiorare ancora una volta i ricordi di tante notti di fuoco e pomeriggi spensierati davanti ad una consolle insieme ad amici vecchi e nuovi per portare alla luce ciò che certi artisti hanno saputo trasmetterci tramite il loro talento?
La prima volta che lo sentii al Dude Club di Milano mi sembrava di essere sotto l’effetto di qualche strano narcotico: un suono che ti prende a schiaffi da ogni direzione e ti toglie ogni punto di orientamento come quando in una rissa ti mettono la maglietta sulla testa. Spigoloso, arcigno ma allo stesso tempo tremendamento fresco ed affascinante. Un’esperienza non per tutti, ma se compreso al meglio un artista di cui non potrete più fare a meno.
La prima edizione del Time Warp milanese porta tutto sommato con se una discreta dose di bei ricordi. Il primo incontro musicale di quella notte fu proprio con la signora di BPtich Control che, in un hangar che sembrava talmente grande da poter contenere uno stadio di calcio, sradicò la vernice dai muri grazie a questo edit della storica traccia dei Blaze. La pausa col vocal di Josh Milan ed il crescendo fino al drop rimangono indelebili nella mia memoria. Impazzimmo tutti, nessuno escluso.
Visto che, come detto, ci siamo già giocati i ricordi passati, tocca a quelli più recenti. Poche settimane fa, il Parklife di Londra ha messo alla prova il nostro eroe di fronte ad una folla davvero oceanica in uno stage bellissimo (vi invito ad andare a vedere i video) dove, tre i tanti proposti dal tedesco-vietnamita, sono usciti fuori dischi leggendari come quello di Linda Evans. Un’autentica gemma. Un piacere per occhi, orecchie e cuore.
Non ci posso fare niente, amo questi due ragazzi. Ma non solo perchè hanno scritto una discreta parte della storia della techno di Detroit, badate. Sono probabilmente tra le persone migliori che io abbia mai incontrato. Brava gente coi piedi per terra che fa musica pazzesca con lo stesso cuore di quando non era ancora ciò che portava in tavola la pagnotta. I ricordi con loro sarebbero troppi, preferisco postare la traccia che più mi ha colpito del loro nuovo album uscito lo scorso anno.
Anche per il parigino toccherà pescare fra i ricordi più recenti: sicuramente il suo set al Printworks di Londra, partito un po’ freddo e giù di giri ma, come un diesel, migliorato in progressione resterà a lungo nella memoria di chi ha avuto la possibilità di esserci. Questa traccia rappresenta uno dei momenti dove tutta la (lunghissima) pista del warehouse di Canada Water aveva le mani saldamente alzate al cielo e la sensazione di empatia era ai suoi massimi. Semplicemente magico.
Uno degli artisti più sottovalutati della famiglia Berghain, sicuramente fra i dj techno più versatili ed appasionanti che mi sia capitato di vedere dal vivo negli ultimi anni. Fra le occasioni più recenti, un set a metà pomeriggio allo scorso Soenda Festival ad Utrecht dove, dal nulla, fece partire la centrifuga con questa evergreen. Dio lo abbia in gloria.
Un gioiellino divenuto grande in quel piccolo angolo di Paradiso chiamato Dekmantel Festival. L’ho visto prendere coscienza della sua fama e tramutarsi in uno dei nomi del momento talmente in fretta da perderlo quasi di vista. Di tanti dischi stupendi voglio favorire proprio quello prodotto per la stessa Dekmantel (in questo caso sotto forma di etichetta) lo scorso anno. Un synth che ricorda molto Moroder, una bomba spaccapista utile per ogni fase del set.
Un altro dei nomi del momento. Un concept che parla di se già col nome che porta e sicuramente fra gli esperimenti di ricerca musicale più riusciti degli ultimi anni. Il pezzo che ci sentiamo di consigliare potrebbe essere tranquillamente di matrice Chitown o Motor City…e invece è 100% made in Mama Africa e datato 2013. Vi sorprenderete di quanta buona musica di cui non avrete mai sentito nemmeno nominare i fautori il buon Brian Shimkovitz ha saputo scovare e proporre di conseguenza.
Ok, starete pensando: “Sfido a trovare qualcuno che non conosca questa traccia. Potevi essere un po’ più fantasioso, no?” Tutto giusto, ma sarà che con l’avanzare dell’età mi ritrovo ad essere più nostalgico e affezionato alla musica che mi ha davvero lasciato qualcosa. Però ora sono io a sfidare ciascuno di voi a ri-ascoltare il synth che entra a metà e a non associarci almeno un paio (per difetto) di ricordi pazzeschi e di gente capovolta in aria. Prego ragazzi, prego.
Bosconi è sinonimo di Firenze tanto quanto il David di Michelangelo, Giancarlo Antognoni ed il panino con il lampredotto. Una delle eccellenze di casa nostra che manda al fronte uno dei suoi uomini migliori. Herva, fresco del suo nuovo album da cui è estratta la traccia di cui sopra, ha saputo dimostrare una maturità artistica impressionante. Un ascolto non per tutte le orecchie ma un suono tremendamente intrigante a cui dare senz’altro ben più che una chance. Poi non dite che non vi avevamo avvisati.