Allora. In origine il piano per la giornata era scrivere un report della bella, bellissima esperienza avuta anche quest’anno allo JägerMusic Lab, che si è celebrato con l’atto finale una decina di giorni fa a Milano. E alla fine, questo è quello che faremo qui. Ma nel grande “rumore di fondo” dei social due cose di stampo più o meno musicale hanno infestato i nostri scroll quotidiani, oggi: prima di tutto l’uscita invereconda del sottosegretario Mazzi (Sottosegretario alla Cultura, con delega specifica alla Musica: evviva), che in un incontro con lo stato maggiore della discografia italiana – a Milano si celebra la Milano Music Week, gli incontri istituzionali ai vertici non mancano – se ne è uscito con una serie di concetti davvero preoccupanti. Davvero, davvero preoccupanti.
Collegandosi (leggi: strumentalizzando) al drammatico omicidio, anzi, femminicidio di Giulia Cecchettin di cui giustamente tutti stanno parlando in queste ore, facendo scivolare gli argomenti del panel su testi sessisti e loro effetti, dopo aver recitato estratti di brani trap italiani (Shiva, eccetera) ha chiaramente detto all’illustre consesso presente – i gradi più alti di SIAE, Assomusica, FIMI – che: “Certi artisti non devono salire più sui palcoscenici”. Testuale. Rincarando il tutto, indicando pure i compagni di panel, casomai il messaggio non fosse giunto forte e chiaro: “I signori qui al mio fianco se lo pongano, questo problema”. Detto nemmeno troppo implicitamente: se non se lo pongono, ‘sto problema, e non intraprendono quindi misure gradite al gentile sottosegretario tipo appunto il non far salire sul palco, lui farà sì che la filiera della musica leggera smetta di ricevere sostegni governativi. Dal minuti 54:05, un crescendo notevole:
Quel sano afrore da MinCulPop verrebbe da dire, no?, a voler fare un po’ di sana e/o pretestuosa polemica politica. Ma in realtà qua vorremmo evidenziare un altro punto cruciale: la musica non classica, dalle nostre istituzioni, continua evidentemente ad essere vista ancora come una bagatella, come una sciocchezzuola a cui sì, graziosamente ogni tanto si dà qualche lira, ma in cambio, ehi!, che si comporti bene! Ti allungo l’osso se scodinzoli, baby. Sennò, chi ti si fila.
Al signor Sottosegretario poi non passa nemmeno per la testa di capire quanto la musica possa essere un incredibile aggregatore sociale per le fasce più giovani, un mezzo per educarsi a sfogare l’istintività e le pulsioni senza creare danni a nessuno, un modo per vivere la propria fantasia e propria emotività senza diventare dei criminali e degli omicidi. È incredibile dover ancora spiegare, nel 2023, che il punk non ha creato una generazione di assassini, l’elettronica una generazione di alienati violenti, il rap una generazione di criminali stupratori. Tocca pure far notare delle cose che, in realtà, dovrebbero essere far notate solo gli stupidi, agli ottusi, agli smemorati ad orologeria: ovvero che fino a pochi decenni fa si diceva che il jazz avrebbe portato all’anarchia, alla distruzione, alla violenza (il jazz!) per non parlare di Elvis (Elvis!) e i Beatles (i Beatles!); e in generale poi che l’arte è un sublimatore di emozioni e un modo per interrogarsi su di esse, e quindi proprio per questo deve essere libera anche a costo di essere sgradevole o discutibile. Ha una funzione sociale molto sofisticata e decisiva. Secoli di storia dimostrano che l’arte ha sempre reso l’uomo più civile: le guerre, gli omicidi, gli stupri, le catastrofi umanitarie sono capitate quasi sempre e solo quando hanno iniziato a parlare la politica, la demagogia e la forza mettendo a tacere le arti, la libera espressione, la ricerca dell’emozione sinestetica, con tutte le problematicità che esse si portano dietro.
…però oh, capiamo che se nel tuo background culturale confondi l’arte con la propaganda, magari queste cose non ti sono chiarissime, nevvero. Ma chi ha confuso l’arte con la propaganda, sul medio-lungo termine, non ha mai fatto una bella fine. Mai. Vale sia a destra che a sinistra.
Questo è il punto numero uno che ha catturato oggi la nostra attenzione: il non capire, da parte di un esponente autorevolissimo del Governo, quanto l’arte sia e debba essere terra di libertà. Assurdo. Raggelante. Ci sarebbe da ridere, non ci fosse da piangere.
Il punto numero due invece è Morgan, ne parlano un po’ tutti oggi nella bolle gossip-musicofile: cacciato da X Factor più o meno per indegnità, notizia di poche ore addietro, strascico finale e definitivo di una serie di litigate coi colleghi giurati e con la conduttrice, con alcune uscite sbagliate per cui ha chiesto poi sinceramente scusa (la faccenda della depressione) ed altre che rientravano in pieno nel diritto di esprimere opinioni forti (d’altro canto, ora fanno le verginelle ma ad X Factor lo chiamano per questo più che per altro e spesso gli autori disseminano trappole non casuali per farlo debordare – si sa, lo sbrocco fa audience, da Carmelo Bene a, si parva licet, Vittorio Sgarbi).
Che c’entra tutto questo con lo JägerMusic Lab 2023? C’entra. C’entra perché anche quest’anno, esattamente come gli altri anni e le altre edizioni a cui abbiamo assistito, pur essendo una faccenda che nasce dai soldi di un brand la regola numero uno resta e rimane la libertà artistica, e l’invito esplicito e ripetuto a tutti gli artisti selezionati è: sii te stesso, tira fuori la tua vera personalità. Abbiamo così tanto il marketing conficcato nella mente – e purtroppo la musica elettronica e la club culture da anni non si tirano indietro su questo, anzi – che sempre più non solo i musicisti ma proprio gli stessi ascoltatori&appassionati ascoltano ragionando su cosa “funziona” di più, cosa è più “attuale” nel mercato, cosa può far guadagnare più punti nell’immediato nella grande gara della ricerca d’attenzione. Figuriamoci se una roba finanziata interamente da un brand – quindi da un soggetto privato in cerca di profitto – può e vuole fuggire da queste dinamiche, no? Invece: fugge. Vuole fuggirne. E può farlo. Gli viene lasciata la libertà di farlo.
Il risultato è che la cifra stilistica ed espressiva dei dieci selezionati ad ogni finale di JägerMusic Lab è fin dalla prima edizione sempre stata variegata e non monocromatica. Negli anni in cui si diceva che la house era solo per vecchi scorreggioni c’era chi faceva house orgogliosamente; quando sembrava assodato che solo le cose da dancefloor funzionassero e facessero fico in un evento brandizzato sono comparsi i primi producer di musiche alt-pop anche sghembe; quando era il momento di buttarsi tutti sull’it-pop arrangiato “alla Battisti” – che è un po’ il periodo che stiamo vivendo – hanno avuto spazio prominente come non mai producer hard techno (non quella fighetta a favore di Instagram, eh, ma quella seria) o gente che prende il pop ma lo fa digitalmente a fette, in modo meravigliosamente cruento ed iconoclasta. Lo JägerMusic Lab è il laboratorio più coraggioso e meno modaiolo esistente ora in Italia in musica. Con buona pace dei “writing camp” organizzati dalle varie label major e meno major, o da brand in vena di spendere: che spesso sono di altissimo livello, sia chiaro, vi sono coinvolti professionisti eccezionali e bellissime persone, ma si sente una pressione (tendenzialmente auto-indotta, spesso manco imposta) del fare qualcosa che sia riconoscibile al mercato, funzionale al mercato, ottimizzata per il mercato. Allo JägerMusic Lab, no. Se provi a fare qualcosa di furbetto, di più calcolato che coraggioso, perdi punti. E questo è meraviglioso. Davvero meraviglioso. Anche perché viene ribadito esplicitamente ogni singolo giorno, anche più volte al giorno.
Questo ci porta a Morgan. Come? L’ospite a sorpresa nella giornata finale in aggiunta agli altri giurati già previsti ed annunciati (che erano i Coma Cose, Hell Raton, ovviamente i padroni di casa The Reloud, e una delegazione varia ed assortita di giornalisti musicali fra cui il sottoscritto) è stato proprio Marco Castoldi in arte Morgan. Oh sì. Una presenza non prevista, acchittata all’ultimo, e che in realtà a qualcuno – non sveleremo i nomi nemmeno sotto tortura – ha anche fatto storcere il naso lì per lì: proprio perché lo JägerMusic Lab è sempre stato un luogo eticamente ed esteticamente puro e non compromesso, la musica non è mai stata “spettacolo”, e le dinamiche da X Factor sono sempre state bandite. Toh: al massimo negli ultimi anni Jägermeister come brand ha dato un taglio “pop” al modo di raccontare l’evento su YouTube (scene girate apposta negli studi, qualche influencer chiamata a fare da voce narrante, interviste ai ragazzi vivisezionate in pillole). Ma nell’idea di guadagnare in fruibilità per un progetto nobile e non semplice, sono cose che hanno senso e sono accettabili.
Però ecco: Morgan. Che diavolo c’entra Morgan col Lab? Che c’entra il Morgan di X Factor, delle polemiche, dei litigi, delle smattate, con una session lunga una settimana dove ci si concentra sulla musica, sulla creatività pura e non spettacolarizzata? Pur di avere il personaggio “famoso” nell’operazione, si rischia di rovinare tutto quanto?
La verità è che la presenza di Morgan è stata meravigliosa, e preziosissima. Senza la pressione della popolarità becera e dell’attenzione mediatica morbosa, Morgan è come se si fosse levato un peso e rasserenato come non mai: ha ascoltato con grandissima attenzione ed interesse tutti e dieci i finalisti senza distrarsi mai, ha espresso giudizi più o meno condivisibili ma sempre argomentati con acume e precisione, ha accettato che altri giurati la vedessero in maniera diversa rispetto a lui senza per questo prendersela minimamente. Zero polemiche, umiltà, cortesia. Preferite un Morgan così, o preferite il Morgan che perde la brocca e inizia ad attaccare tutto e tutti? Non barate: il Morgan che dà di matto cattura l’attenzione, cattura i clic (anche i nostri), cattura i punti di share (l’audience siamo sempre noi). Dovremmo però davvero iniziare a renderci conto che questa dinamica non fa bene né a lui, né a noi. E ovviamente nemmeno alla musica.
Fuori i nomi dei dieci finalisti, allora. Anya Rei (che ha sciorinato poi in serata un veramente ottimo ed elegante set electro-house nell’evento finale ai Magazzini Generali milanesi), Aliotho (un producer da chart fatto e finito, che già conosce i trucchi del mestiere), i Sound Infection (i Noisia italiani, potenzialmente!), Atraam (competentissima nel dancefloor), Holograph (creativo ed interessante), Ghygo (lo-fi hip hop con una marcia in più). E siamo a sei. Il livello era così alto che, a furor di giuria, il round finale invece che essere a tre è diventato quindi a quattro: Mofw (che ha lasciato tutti a bocca aperta per il suo pop spigoloso dell’ultrafuturo), Futura Cimice (visionaria, taglientemente ondivaga e coraggiosa), Ozey (scienziato preparatissimo di una minimal 2.0 non robbosa ma ricca e capace di intrattenere), infine RVRSRVR, il vincitore assoluto, che ha sovvertito ogni pronostico picchiando senza pietà offrendo una techno pura, rabbiosa, onesta, in realtà anche molto creativa, ma soprattutto anni luce distante da qualsiasi mezza forma di paraculaggine. Foto di gruppo:
Bravi. Bravissimi. E bravissimo lo JägerMusic Lab. Che anno dopo anno si conferma sempre più come l’accademia musicale temporanea più qualitativa, coraggiosa, fertile d’Italia. Sapete cosa? La musica fuori dalle mode e fuori dalle convenzioni (siano esse dance o pop) la sentiamo al Lab molto più che nelle radio, nelle playlist, negli algoritmi. E molto più che nei club o in molti festival anche celebrati. Molto, molto, molto di più. Se davvero amate la musica e la producete pure, davvero vi auguriamo di venire selezionati per la prossima edizione. Anche perché poi, come accadeva ai bei tempi della Red Bull Music Academy, gli ambasciatori migliori sono gli ex partecipanti: parlate con loro, contattateli, fateli parlare di come è stata l’esperienza. Le risposte vi diranno molto.
Insomma: grazie, JägerMusic Lab. Anche perché oggi, visto che comunque avevamo un programma di parlare di te qui su Soundwall, ricordando quanto è stata bella l’esperienza 2023 ci siamo fatti passare un po’ l’amaro in bocca di avere un Sottosegretario alla Cultura con delega alla Musica che si permette certe uscite, e manco chiede scusa. Tempi bui ci aspettano. Ma la musica, l’arte e la cultura ci salveranno.