“La musica non è una gara”: questa obiezione ce la siamo sentita ripetere spesso, quando si levavano voci critiche per determinate operazioni. Da quelle più ovvie e nazionalpopolari – Sanremo – a quelle più specifiche e profilate. Come ad esempio lo JägerMusic Lab. E’ una obiezione da un lato sensata, dall’altro che lascia l’amaro in bocca: perché spesso e volentieri il primo a farsi attirare dalle “gare” è proprio chi le critica. Vero: il Lab è una gara, o meglio, alla fine esprime dei finalisti ed un vincitore. Vero: nel modo in cui viene comunicato, alla fine si pone abbastanza enfasi su chi è che trionfa, e il tutto si snoda attraverso una serie di prove.
Ma è altrettanto vero che proprio questo meccanismo attira l’attenzione delle persone. Se non fosse così, sarebbe un corpo molto più “inerte” adagiato sul web: il vouyerismo istantaneo delle persone è meno attirato da un contesto non competitivo. Gli autori televisivi “classici” ad esempio questo lo sanno benissimo. E viviamo in una società dove, anche se c’è stato il trasbordo verso l’on line uscendo dalla dittatura del catodico, il linguaggio televisivo è diventato un po’ l’ABC. Criticare però lo JägerMusic Lab perché “è una gara”, come abbiamo visto fare, è una presa di posizione pregiudiziale che ignora e/o non considera quello che accade davvero, nella settimana in cui dieci ragazze e ragazzi di talento decidono di dare una settimana della loro vita – e della loro creatività – ad un’operazione che, una volta che ci entro dentro, capisci quanto sia preziosa.
La musica spettacolarizzata non ci piace, ci lascia sempre un po’ di sospetto; e sì, la musica come gara sappiamo che è effettivamente una scorciatoia per attirare un po’ di attenzione tra il pubblico non di nicchia e non specializzato, che è poi la stragrande maggioranza. Ma accidenti: quello che offre lo JägerMusic Lab, grazie alle scelte degli ideatori Alex Tripi e Nello Greco (e allo sponsor alcolico-erborista che dà loro carta bianca su certe scelte), è qualcosa di davvero raro. Raro come bagaglio professionale, raro come spessore umano. I due mettono in campo sia la loro preparazione da artisti (come The ReLoud) che da docenti (con la Mat Academy, che è un’eccellenza ormai degli insegnamenti on line per producer): il risultato è che si crea un ambiente che è buono&stimolante sia per lavorare sugli aspetti più concreti – come si irrobustisce il suono, come si usano i software, quanto bisogna lottare corpo a corpo con l’hardware – che su quelli più artistici. Ed umani. Perché l’arte nasce prima di tutto dall’umanità. Dagli scambi di idee, di esperienze, di vibrazioni. E il Lab, su questo, fa un lavoro eccezionale. Lo abbiamo toccato con mano, edizione dopo edizione. E: una volta ti può andare bene. Due anche. Ma da lì in poi, sei tu che evidentemente ci sai fare.
(Puntata uno; continua sotto)
Anche perché in questa edizione non c’era più il “fattore Berlino” a far prendere bene tutti: se nelle precedenti edizioni i finalisti la loro settimana tutti insieme se la facevano nella capitale tedesca, con tutto il valore aggiunto che questo comporta, quest’anno le ovvie rimodulazioni da pandemia hanno sconsigliato viaggi all’estero – ci si è trovati tutti a Milano – ed escursioni serali, notturne. La notte comunque è rimasta protagonista: sì, il “Night Meister” di Jägermeister può sembrare un claim pubblicitario, e magari lo è, ma è altrettanto vero che l’azienda di proprietà del gruppo Campari sta investendo più di altri e meglio di altri in un’idea di notte che è divertimento, cultura legata al clubbing, network di conoscenze e di relazioni legate a un certo tipo di esperienza musicale e sociale. Dirlo sembra una marchetta? Non ci interessa. Dirlo è la verità. La pubblicità esiste ovunque e continuerà ad esistere: quello che possiamo fare è iniziare ad avere un rapporto maturo ed esigente con lei, distinguendo chi usa il marketing solo per apparire e fatturare, e chi lo invece lanciando anche dei messaggi e dei contenuti. I messaggi e contenuti servono a fatturare di più? Prima di tutto: non è detto (certe volte sono una zavorra). Secondo di tutto: anche se fosse, intanto dei messaggi e contenuti di spessore ci sono. Indiscutibilmente ci sono. E sono “veri”, autentici, sono fatti da musicisti e diretti a musicisti, in una onestà e generosità intellettuale che non sempre è facile trovare.
(Puntata due; continua sotto)
Parlataci, coi finalisti. Parlateci con Kharfi, Tokyo Project, Astrality, Cucina Sonora, Simber, Fivequestionmarks, Kaishi, Sally Bumps, Radio Trapani, Katnada (…l’ordine è casuale, e segue quello fisico nella cartelletta di chi vi scrive quando avevo lavorato alle selezioni finali per arrivare alle dieci persone da invitare a Milano). Probabilmente voi che leggete tramite amici o amici di amici o anche semplicemente un DM sui social potete parlare con qualcuno di loro, e chiedere semplicemente: “Com’è stato per davvero? Ne è valsa la pena?”. Questo può valere molto di più della visione della mini-serie in quattro puntate che vi interpoliamo qui fra un paragrafo e l’altro: la mini-serie (peraltro costruita, girata e montata benissimo) va bene per una narrazione più generale, generalista. Chi plana su Soundwall, nel 98% dei casi, è “del settore”. E a voi possiamo dire: ok la serie, guardatela, fatevi un’idea, ma anche e soprattutto leggete bene le prossime righe.
Prima di tutto, la scelta a monte. Il livello medio di chi si iscrive alle selezioni per il Lab, grazie sia ad un efficace lavoro di comunicazione ma anche ad un eccellente scouting, è clamorosamente alto. Da questo serbatoio, si attinge cercando di valutare le potenzialità di un artista a trecentosessanta gradi, senza pensare a “…chi è che potrebbe funzionare di più, chi è che potrebbe farci più comodo”: l’input a tutti i giurati ospiti è di fare non la scelta più utile, ma quella più bella. Chiaro: come storicamente anche fatto dalla Red Bull Music Academy, si sta attenti ad avere una serie di equilibri. Si pensa al gruppo di dieci persone nel suo insieme, cercando una diversa rappresentanza di attitudini, di suoni, di approcci. Questo è un ingrediente fondamentale per avere poi una fase finale, tra dieci persone che quasi mai si sono conosciute prima e che mai prima hanno lavoro assieme, che funzioni per davvero.
Il ventaglio musicale poi si sta ampliando sempre più (…anche in questo, parabola simile alla RBMA), anche perché è la musica stessa che sempre più è tornata ad essere un terreno di scambi, di curiosità, di ascolti reciproci, di mondi prima non comunicanti che ora si “annusano” e magari pure si incrociano. Poi ve l’assicuriamo: quello che una Margherita Vicario – appartenente diciamo alla galassia del nuovo indie di casa nostra – può dire a un producer di house è maledettamente interessante. Ci si educa alla comunicazione senza pregiudizi, ed all’ascolto attento. Su questo i ReLoud hanno fatto un lavoro splendido. E’ infatti una regola del Lab che senti proprio aleggiare nell’aria, in ogni cosa che si fa e in molti discorsi che si fanno: niente pregiudizi, niente scorciatoie comode, niente chiudersi nel proprio castello di certezze e di egoismi. Fate, fate tanto, ok; ma fatelo ascoltando parecchio. E già che siete al Lab, già che ne siete stati selezionati e state vivendo una esperienza molto particolare, approfittatene per scoprire nuovi territori che prima mai avreste esplorato. Confrontandovi.
(Puntata tre; continua sotto)
Ragionando in questo modo, viene fuori il lato più bello, umano ed originario di cosa significhi essere artisti e creare. Un lato che i migliori professionisti in tutti i settori, quelli che ce l’hanno fatta ad alti livelli, quelli insomma a cui si guarda con ammirazione e magari pure con invidia, hanno saputo preservare. Dopo anni in cui questo aspetto “puro” dell’essere artisti è stato combattuto in nome della ottimizzazione dei profitti, dei numeri e dei risultati (con la conseguenza che proprio profitti, numeri e risultati sono andati a picco), anche la grande industria ha finalmente iniziato a capire che invece è da incoraggiare. Quello che ha detto incontrando i partecipanti del Lab uno dei vari ospiti transitati nella settimana milanese ovvero Federico Cirillo, capo A&R della label che ora meglio funziona nelle classifiche, la Island, è stato chiaro in tal senso, chiarissimo. Quello che ha detto, sì, ma anche come si è comportato: ha ascoltato tutti con attenzione, ha dato dritte, lasciato contatti, offerto suggerimenti altamente strategici. Non era tenuto a farlo, per nulla. Lo ha fatto con convinzione, con naturalezza. Perché lo spirito che si crea allo JägerMusic Lab lo avverti appena ci metti piede. E perché comunque un po’ di cose stanno cambiando.
(Puntata quattro; continua sotto)
Ecco, fatecelo dire: stanno cambiando più nel pop e nell’hip hop che nel mondo dell’elettronica e della dance. Quest’ultimo ora è forse quello più ossessionato dalle formule prestabilite, dal manuale-del-successo da seguire per primeggiare davvero, dal piacere-alla-gente-che-piace del settore, da una rigidità e da una routine che altri generi invece – magari molto più commerciali e paraculi – hanno imparato ad evitare, o almeno a seguire un po’ di meno. Nello JägerMusic Lab c’è un rispetto sacrale per le radici del clubbing, della techno, della house, dello spirito anticonformista che è alla base della musica da ballo così come la conosciamo in questi decenni (Alex e Nello da tempo hanno fatto ammenda su quanto fosse stato sbagliato cercare di seguire spettacolari scorciatoie: parlano a ragion veduta, c’erano cascati); ma al tempo stesso c’è stata la lucidità di capire che è fondamentale, per diventare artisti a tutto tondo, non restarne imprigionati come accade ora di routine ma guardare invece oltre, osservare, curiosare, invitare altri mondi.
Quindi sì: se molto della dimensione narrativa dello JägerMusic Lab è incentrato, su diretto incoraggiamenti di Jägermeister, attorno alla notte, al clubbing, al ballare, all’elettronica dance, nel suo dipanarsi l’esperienza complessiva per chi ci partecipa e chi ci contribuisce è però sempre più sfaccettata e polifonica. E questo, ve l’assicuriamo, è una ricchezza enorme.
Con questo tipo di approccio, anche il rapporto – e il giudizio – che si crea attorno ai partecipanti (e fra i partecipanti!) è più approfondito, più interessante. E’ stato un piacere venire più intimamente a contatto con un Kharfi in una interessantissima evoluzione rispetto agli inizi EDM, con la qualità impressionante da producer di Tokyo Project (che però cela una voglia di non essere solo nerd dietro le manopole e i plug in), con il tocco raffinatissimo ed avvolgente di Astrality (altro mago della tecnica sui suoni), con lo scoppiettante talento di Cucina Sonora (a cui sta facendo molto bene il farsi “addomesticare” lavorando da turnista con Rkomi), con il jazz-hop-lo-fi sorridente ed elegante di Simber, con il tremendismo EBM e il carisma notevolissimo (e mai arrogante, mai altezzoso) di Fivequestionmarks, con la visione matura e consapevole sotto le migliori egide del marchio UK di Kaishi, col mondo particolarissimo e “twisted” di Sally Bumps, col funk-soul angolare e (in nuce) cantautorale di Radio Trapani, con la techno-techno-techno di Katnada che però non lascia indietro le emozioni e le melodie. E’ stato un piacere. Davvero enorme.
Tutti loro non sono perfetti, tutti loro non sono troppo conosciuti (qualcuno lo è in parte già, qualcuno lo diventerà parecchio), tutti loro hanno ancora margini di miglioramento. Ma tutti loro si sono tuffati nell’esperienza dello JäferMusic Lab con immensa fiducia e generosità, la stessa che ha contrassegnato chi ha fatto loro da tutor, da consigliere, da docente. La sfida nel 2021 si è alzata di livello chiedendo di creare un vero e proprio prodotto multimediale, non solo musica cioè ma anche lavorare sui visuals e su un “manifesto” testuale d’accompagnamento. Non era facile. Si sono districati tutti alla grande; e si sono districati, ripetiamo davvero questa parola perché è un concetto fondamentale, con generosità. Generosità nell’impegnarsi, generosità nell’aiutare i colleghi ad arrivare all’obiettivo, generosità nel non porsi mai su un piedistallo, generosità nell’ascoltare tutti sempre e comunque (…mai nessuno che si sia fatto i fatti propri): ecco, sotto questo punto di vista lo JägerMusic Lab ha vinto ancora più del solito. E queste sono cose che, sul lungo periodo, creano semine benefiche.
Quindi sì: guardatevi i video, fatevi la vostra idea su cosa è successo, su cosa sia lo JägerMusic Lab, sul perché Jägermeister/Campari decida di investirci. Ma soprattutto fidatevi se vi diciamo che, vista e vissuta dall’interno, è stata un’esperienza davvero preziosa, davvero ricca. E’ stata un’esperienza che in nessun modo ha fatto pensare ad una musica e ad una creatività guidate dai numeri, dalle convenienze, dalla quantità di stream o di collabo. Accidenti se questa è una bella cosa. Qui avremmo potuto parlarvi di quanto fighi ed importanti fossero gli ospiti e i professionisti coinvolti (da Dardust a chi crea tutto il “mondo” visivo di Jovanotti, da Luca Agnelli a Nitro), di quante views stia facendo su YouTube il tutto (controllate: ormai si va su cifre a sei zeri); ma c’erano secondo noi delle cose ancora più importanti, ancora più significative. Chi ne è stato toccato direttamente, lo sa. E sarà contento di trasmetterlo – ne siamo certi. Esattamente come ne è sinceramente contento chi vi ha appena scritto questo testo. Una settimana al Lab hanno rinnovato e rinforzato l’amore per la musica. E lì non c’è “sponsored content” che tenga.