No, non ci nascondiamo dietro ad un dito (…da queste parti non l’abbiamo mai fatto): l’argomento-portineria del giorno – e in realtà non è solo gossip ma una questione fondamentale visto che si parla della capacità di saper e poter fare le cose in un certo modo in Italia – è quanto è successo nel weekend appena passato a Polifonic, nella sua storica ed originaria roccaforte pugliese (di quanto invece successo nella sua prima edizione invece milanese, abbiamo scritto qui). Sono giorni che ci fioccano messaggi di addetti ai lavori ed anche di semplici lettori che ci segnalano l’enorme malcontento attorno allo svolgimento dell’edizione 2022 del festival. Decine se non centinaia di commenti indignati se non direttamente inferociti nella pagina Instagram ufficiale a fare da testimonianza, ma anche un passaparola reale da persona a persona, quindi non solo indignazione di leoni da tastiera. Varie le accuse: overbooking, sistema cashless presto crollato, file infinite al bar, palchi chiusi o semi-chiusi senza preavviso, set chiusi molto prima del previsto (con palchi come il Sunrise che, invece di porre fede al proprio nome, alle 4 mandano via tutti), beverage insufficiente e finito a metà serata, gestione pessima dei parcheggi e della viabilità. Tutto questo avrebbe portato, come ha scritto un commentatore, a rendere “…impossibile vivere l’atmosfera da festival: sono tutti delusi ed incazzati”. Esagerato? Troppo negativo? Di sicuro qualcosa è andato storto, e troveremo il modo di parlarne nel futuro prossimo anche con gli organizzatori, per capire bene come siano andate le cose. Sicuramente poi la sfortuna c’ha messo del suo; e sicuramente spesso le istituzioni locali non aiutano (con una gestione inadeguata della mobilità, o con tagli d’orario draconiani). Ma il dato di fatto è che una simile ondata di sentiment negativo verso Polifonic è qualcosa di assolutamente inedito, per un festival che ha sempre fatto bene nelle passate edizioni (e che è sempre stato esemplare nella costruzione artistica della line up, e in moltissimi aspetti della qualità complessiva dell’esperienza).
Di sicuro il festival, nato in Puglia ma a trazione in parte milanese, ha mezzi, esperienza e conoscenza per riprendersi alla grande. E, sinceramente, siamo sicuri lo farà. Ma la bolla di commenti che si è generata in questi giorni se non vista come puro hating (o non usata come ghigliottina verso Polifonic) ha il grande pregio di sollevare alcuni temi molto, molto importanti.
Primo: dopo due anni di reclusione o semi-reclusione, la gente ha grande voglia di viaggiare e ballare, le due attività più vietate in assoluto dalle restrizioni pandemiche (grazie, eh, grazie tante, perché comunque ammassarsi nei luoghi di lavoro, di iper-consumo e di culto si può). Secondo: questa consapevolezza può portare a degli errori notevoli – errori fattuali, o errori di prospettiva – per voglia di strafare, e questo vale per sia per gli organizzatori che per i clienti. Terzo: ripartire a piano regime portandosi dietro le scorie (e, in qualche caso, anche contratti con parti terze giù firmati…) di due anni di inattività, con tutti gli scompensi del caso, ha creato uno sbilanciamento operativo.
La Puglia è un esempio da manuale. Perché è ormai è la destinazione turistica numero uno del Paese, soprattutto per la fascia più giovane e dinamica – ed è diventata tale, nota bene, perché ha puntato molto sulla musica e sul clubbing, esattamente come fece la Riviera romagnola al momento del suo massimo splendore – e la quantità di eventi che la percorrono in luglio ed agosto è impressionante. Impressionante. E’ impressionante per portata, per varietà, anche per qualità (basta ad esempio guardare il nostro articolone di riferimento). La domanda da farsi a questo punto però è, o dovrebbero essere: ma il portafoglio delle persone sarà così capiente? C’è spazio e richiesta per tutta questa offerta? La domanda, anzi, considerazione successiva da farsi poi è: nel momento in cui chi compra il biglietto fa la sua scelta, bisogna stare attenti a non “tradirlo”, molto attentI, più attenti di prima, e non “Vabbé, dopo due anni di fermo un paio di sacrifici li accettano”. Perché in uno scenario in cui c’è sovrabbondanza di offerta, catturare il consumatore e la sua fiducia diventa doppiamente difficile ed importante; ma altrettanto difficile e forse ancora più importante è fargli capire che la sua fiducia, accidenti, è stata ben riposta. Siamo infatti tutti tesi, nervosi: dopo due anni un po’ del cazzo (per qualcuno, purtroppo, anche di lutti o comunque di rovinose cadute), abbiamo l’ansia di stare bene, di fare bene, di recuperare il tempo – e per qualcuno anche il fatturato – perduto. La situazione è delicata. Bisogna essere ancora più accorti e prudenti del solito, sia da organizzatori che da clienti. Nulla va preso sottogamba. Nulla. Proprio per essere, alla fine della stagione, più sereni e rilassati.
Niente patiboli, davvero. Le colpe di Polifonic sono tutte da appurare e da vagliare. Ma che qualcosa non sia andato per il verso giusto, è assodato; e che un festival dai mille meriti stia avendo ora la sua reputazione macchiata, è un dato di fatto. Schegge di malcontento, se si gira un po’ per il web, hanno toccato anche due gemme del panorama nostrano, Ortigia Sound System e Locus (dopo la data dei Kings Of Convenience). Adesso proprio in Puglia e proprio a Locorotondo, a partire dal 4 agosto, c’è un altro festival che come proposta artistica – e anche come pregresso delle edizioni precedenti – è una eccellenza totale ed assoluta: ci riferiamo a Viva!. Quest’anno la line up è assolutamente meravigliosa, una specie di “Slow Food dell’elettronica”, perché si parla davvero tanto di qualità, e di elettronica e musica da club prese nella loro declinazione più adulta, matura e consapevole: headliner come Cinematic Orchestra, Jon Hopkins, Moderat, Floating Points, Mos Def aka Yasiin Bey, italiani come DayKoda e LNDFK, espansioni espressive come Slowthai, Tirzah, Space Afrika, Kokoroko, Alfa Mist sono davvero una specie di libro delle meraviglie su come tenere altissimo il livello di una linea artistica, di un discorso musicale, della capacità di far capire come clubbing, urban ed elettronica siano in grado esprimere Arte e Gusto con le iniziali maiuscole.
Insomma, tanta roba. Ma proprio per questo Viva! adesso non deve tradire. Ha una grande responsabilità addosso, soprattutto dopo gli intoppi e le sfortune di Polifonic, dopo i mugugni su OSS e Locus. Non deve tradire Viva!, non devono tradire tutti gli altri eventi di qualità in Italia quest’estate, e di qui a settembre come dicevamo sono davvero tanti (cosa di cui dobbiamo essere grati e pure orgogliosi). L’equivoco per cui ripartire è più facile, perché la gente è assetata di divertimento e dopo due anni di stop-and-go le va bene anche qualche difficoltà logistica in più, è da sfatare, è una falsa convinzione. Non è così che va. Al tempo stesso anche la gente deve però capire, e smettere di pretendere la perfezione e trattamenti di prima classe e di favore che mai ci sono stati, manco all’estero (…abbiamo letto coi nostri occhi persone che si lamentavano che l’acqua non era gratis – l’acqua gratis l’abbiamo tendenzialmente vista solo negli eventi illegali, mai in quelli ufficiali, e all’estero l’acqua spesso costa quanto la birra; e, sempre parlando di estero, non è vero che a nord del Brennero o ad ovest di Ventimiglia non si fanno mai code, chi lo dice parla a vanvera e solo per amor di lamento).
Le due ammiraglie dell’eventistica “nostra” italiana, Kappa FuturFestival e Nameless Music Festival, hanno dimostrato di saper reggere l’impatto della riapertura e delle – rispettivamente – 85.000 persone in tre giorni e quasi 100.000 in quattro. Ora a parte i grandissimi eventi di Gallipoli e Riviera a Ferragosto tocca alla nostra rete delle “piccole e medie imprese”, ovvero quei festival che radunano al massimo 10.000 persone in due, tre giorni offrendo location e line up di qualità che sono, potenzialmente, la nostra vera marcia in più nel mercato globale dell’intrattenimento musicale “avanzato”. Occorre lavorare bene tutti, occorre essere attenti, occorre essere uniti – tutto questo molto più che in passato, sorry, e ci riferiamo sia ai promoter che al pubblico, nessuno se ne tiri fuori. Chi pensava fosse tutto facile e bello in questa estate 2022, ha sbagliato. Siamo ancora convalescenti. Ma la base di partenza c’è: lo ripetiamo, questa a livello di offerta artistica è probabilmente l’estate più bella di sempre, per le cose “nostre”. Non sprechiamo l’occasione.
PS. Capiamo perfettamente l’utilità del cashless e dei bracciali ai festival (evitare di avere troppi punti in cui si accumulano contanti), ma se la spinta principale ad usarli non è la comodità operativa (…che nei fatti diventa purtroppo spesso scomodità per il cliente per mille motivi) ma il fatto che facciano guadagnare di più – perché ai consumatori resta in groppa una bella manciata di euro non spesi – beh, no. La soddisfazione di chi viene al tuo evento deve restare al primo posto, fatta salva la sostenibilità economica minima. Non per giustizia, o non solo per quella: ma proprio per lungimiranza imprenditoriale.