La “riscoperta del vinile” ormai non è più una novità e come tutte le cose che ci propinano in tutte le salse, diciamo la verità, ci ha anche un po’ annoiato. Numeri, percentuali, grafici inneggiano a cadenza più o meno settimanale alla rinascita del disco nero, vero feticcio dei melomani di ogni età e unico messale di quei templi quasi dimenticati che furono i negozi di dischi; 9.2 milioni di dischi venduti nel 2014, anche se ben lontani dai fasti del passato, in un mercato in crisi e apparentemente privo d’idee davvero innovative fanno sicuramente gridare al miracolo e sull’onda della rinascita, mossi dall’entusiasmo e dal fiuto degli affari, molti, forse troppi, si sono buttati a capofitto per contendersi i pochi lembi di terra ferma rimasti. Se da una parte il mercato prima di questo recente “boom” era soprattutto sostenuto da etichette indie e legato a release curate e limitatissime, oggi di contro torna in mano alle major e alle svariate riedizioni, ristampe e remaster di classici del passato, nella speranza non solo di aggiungere nuovi compratori ma anche di riacquisire quelli che il giradischi ce l’hanno, forse, ancora da qualche parte in soffitta o in cantina.
Lasciando da parte i puri tecnicismi, va da sé che la diversa fruibilità del vinile si pone agli antipodi dell’attuale sistema che ruota attorno ad iTunes e alla musica low cost e presuppone un tipo di supporto realizzato con criteri ad oggi quasi dimenticati e appannaggio di pochissime aziende rimaste attive in tutto il mondo. E qui ci troviamo di fronte al problema reale dietro a tutto questo fervido movimento: chi li stampa ora tutti questi vinili? Dal 1982, con l’avvento sul mercato del CD, l’industria discografica spostava gran parte della produzione su un supporto più semplice da realizzare, meno limitato, riproducibile facilmente in serie e soprattutto meno costoso vendendone, 25 anni dopo l’introduzione, oltre 200 miliardi in tutto il mondo e abbandonando lentamente, ma anche e soprattutto volutamente, le vecchie fabbriche analogiche ormai obsolete.
Se da una parte il digitale ha invaso buona parte della realizzazione dei nuovi LP, la stampa del vinile non è stata in nessun modo toccata dall’innovazione, richiedendo numerosi passaggi e soprattutto professionisti artigiani di grande esperienza in grado di gestire i vari processi necessari alla realizzazione del prodotto finito, processi che possiamo riassumere così:
1) Un disco di alluminio viene ricoperto con nitrocellulosa per permettere la registrazione del master. La qualità di questo artefatto definisce a cascata quella di tutta la stampa, per cui in teoria dovrebbe essere elevatissima, e nel passato lo era. Attualmente sono rimasti solo due produttori al mondo, uno in USA che di fatto detiene il quasi totale monopolio e uno in Giappone.
2) Un ingegnere del suono, si suppone con adeguata esperienza e dovuta conoscenza del media, prepara i brani per essere incisi sul master. Il disco è posto su una macchina da taglio simile a un giradischi, costituita da un piatto rotante e una testina con una lama mossa da due elettromagneti in cui convergono i canali audio L e R, in grado di trasformare i segnali elettrici in meccanici e incidere i solchi sul supporto. Si tratta di tecnologia prodotta da Neumann o Skully fino alla fine degli anni ’80, anche se molte sono ancora più datate. Se da una parte il sistema di trasporto è semplice e costruito in maniera eccelsa, le testine sottoposte ad anni di lavoro portano i segni del tempo e hanno bisogno di assistenza specializzata o ricambi difficili se non impossibili da reperire. Non esistendo più produttori, i pochi tecnici specializzati rimasti si muovono per il mondo a riparare quelle esistenti, spesso con liste d’attesa bibliche. Nel frattempo le macchine continuano comunque a lavorare, con buona pace della qualità elevatissima.
3) Il master realizzato con questo procedimento può essere utilizzato per valutare la qualità della registrazione, diventando in tal caso quello che si chiama dub-plate, oppure inviato allo stabilimento di stampa, dove lavati più volte in bagni specifici per rimuovere ogni impurità e spruzzati con un sottile strato di ossido d’argento su entrambi i lati, danno origine a un negativo in metallo dell’originale. Il tutto praticamente a mano.
4) Un dischetto di PVC inserito tra gli stampi riscaldati a 193° e sottoposto a una pressione di 100 tonnellate replica in positivo il master originale dando origine al disco che troviamo in bella mostra sui nostri scaffali.
Molti di questi stabilimenti cessarono l’attività tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90 per mancanza di ordini e il deliberato disinteresse delle major intente a favorire l’ascesa del compact disc. Oggi in Europa ne sono rimasti pochissimi: Optimal, Pallas e R.A.N.D. in Germania, GZ in Repubblica Ceca, MPO in Francia e Record Industry in Olanda… Tolti questi, restano alcune realtà eccellenti come la nostra italianissima Phonopress, ma nessuna in grado di sopperire alle esigenze di un mercato globale e al momento, almeno apparentemente, in forte espansione.C’è stato senza dubbio un sussulto in Sony, Universal, Warner e le altre quando numeri alla mano, sfruttando il momento favorevole, hanno capito di poter rivendere per la terza volta il loro vecchio catalogo, magari proprio a quelli che i vinili li avevano venduti o peggio ancora, buttati per convertirsi al cd, e per capire di cosa stiamo parlando basta un giro in uno dei pochi negozi di dischi rimasti invasi da ristampe dei Led Zeppelin, Cream, Neil Young e soci.
Non c’è nulla di male nel seguire le esigenze del mercato, ma quando si muovono i grandi, generalmente, i piccoli ne subiscono le conseguenze dirette e indirette e questo caso non è da meno. Considerando il numero limitato d’industrie rimaste attive, le code di attesa per vedere stampati i propri vinili che si allungano a dismisura diventano inaccettabili per i big players, che però ovviano al problema pagando in anticipo su produzioni future, di fatto limitando la capacità delle industrie stesse di accettare lavori terzi, bloccando così le piccole tirature. Sebbene nato con tutt’altro scopo, per alcuni anche il Record Store Day che va avanti dal 2007 costituisce parte del problema, aumentando le richieste e la pressione sulle linee di produzione e spostando l’attenzione dal vero oggetto della manifestazione, il negozio di dischi indipendente, all’oggetto vinile in sé. Occorre inoltre fare il punto sulla qualità delle nuove edizioni e ristampe poiché, supponendo che le apparecchiature siano mantenute all’eccellenza, per una serie di problematiche legate all’usura, alla mancanza di professionisti e/o allo stoccaggio dell’originale la qualità del master finale non sempre è il massimo, dando origine a prodotti di dubbio esito sonoro, spesso senza che questo ne metta in discussione l’appeal commerciale. L’ultimo punto da non trascurare riguarda la catena di ascolto in epoca di iPod, smartphone e mp3, dove l’impianto hi-fi quasi completamente scomparso dalle case lascia spazio a fruizioni fugaci su striminziti o iper-enfatizzati altoparlanti bluetooth mentre il giradischi di qualità tarato alla perfezione fatica a trovare posto, sollevando numerosi dubbi su quanto sia moda e quanto sia vera passione.
A questa “rinascita del vinile” va in ogni caso riconosciuto il merito di aver rilanciato un media che per molti era morto e sepolto, facendolo conoscere anche ai figli dell’era digitale e a chi, nell’epoca del “tutti dj”, forse non aveva mai messo in battuta due dischi regolando il pitch di un 1200, ma frustrato da Shazam e dalla perdita di esclusività ha deciso di lanciarsi su tirature limitatissime in solo vinile per cercare di ritagliarsi una nicchia condita da un alone di mistero, come si faceva 30 anni fa. Posto che questo tendenza continui nei prossimi anni, ci si aspetta comunque che le cifre di vendita si stabilizzino una volta diradato il polverone; ma sta di fatto che il rischio più grande riguarda un industria quasi distrutta, che da questo vortice di mercato potrebbe volgere al tracollo definitivo.
Macchine obsolete tirate all’osso, prive di manutenzione e ricambi vanno verso un inevitabile fermo forzato; alcuni dei pochissimi professionisti in grado di operarle sono molto probabilmente prossimi alla pensione e sono quasi scomparsi quelli in grado di formarne di nuovi. Il tutto va poi condito dal totale disinteresse del mondo industriale, che non dà nessun segno di volersi lanciare nuovamente nel mercato e innovare una tecnologia vecchia di oltre 60 anni, e non lo fa anche e soprattutto per la mole enorme di investimenti necessari. Le poche proposte alternative al momento riguardano macchine domestiche in grado di incidere su acetato per realizzare test o dischi master (che purtroppo però nessuno è in grado di stampare perché troppo oberati di lavoro); qualche progetto di crowdfunding di cui abbiamo già parlato, ma che comunque appoggiandosi agli stabilimenti europei ha gli stessi problemi; oppure, per chi volesse tentare alla grande la sorte, qualche asta su eBay.
Rientrate nel circuito inseguendo unicamente il giro di denaro, le grandi etichette sanno benissimo che il mercato in queste condizioni lascia poche speranze al futuro. Sarà un’altra mossa delle major per cancellare definitivamente il vinile dal mercato oppure semplice speculazione? Si dice che a pensar male si fa peccato ma raramente si sbaglia, e viene naturale ragionare sul fatto che una volta venduto il vendibile e calato definitivamente il sipario nulla si potrebbe più interporre all’invasione ubiqua del digitale, se non pochi prodotti di qualità necessariamente inferiore. Vedremo, sperando che ovviamente non sia così: godiamoci questo momento di grazia, perché mai come ora il vinile sta riscuotendo la sua vittoria. Si tratta solo di capire a quale prezzo.