Chi c’era, lo sa: la serata al Leoncavallo di Milano organizzata dagli Electricalz qualche settimana fa con L.B.S. sul palco resterà negli annali. Per più motivi: gente tanta, ok, a migliaia, ma non è questo il punto. Il punto è che si è respirata aria di perfezione e di purezza: techno splendida (e ci credo, versioni live di cose come “Acid Eiffel”, “Crispy Bacon”, “The Man With The Red Face”), opportunismi e paraculate meno di zero, suonini alla moda assenti, geometrie sublimi rinforzate da Scan X e impreziosite dalle tastiere jazz suonate live di Benjamin Rippert: una qualità musicale che ha contagiato anche il pubblico, radioso e mai fastidioso, anche perché non c’era a far da contorno il lusso di plastica di un club pretenzioso ma la rudezza intrisa di storia di un luogo post-industriale come il Leoncavallo. Se uno ama veramente la club culture (ciò che significa, ciò che è stata, ciò che dovrebbe essere), per una sera è stato in paradiso. E il padrone di casa di questo paradiso era Laurent Garnier. Intenso, carismatico ed adrenalinico sul palco; assolutamente disponibile in questa lunga chiacchierata dove si è veramente messo a nudo, trasmettendo in pari misura entusiasmo e senso critico. Com’è giusto che sia.
Ok, cominciamo parlando di dance music. Ma non nel senso che si potrebbe pensare e ti potresti aspettare: intendo proprio musica da balletto contemporaneo, visto che stai collaborando con uno dei più grandi coreografi al mondo, Angelin Preljocai…
Ben volentieri. Allora, devi sapere che in realtà bisogna fare un passo indietro: la mia prima collaborazione con un coreografo è quella con la francese Marie-Claude Pietragalla, che magari non conosci ma ti assicuro che anche lei è di una importanza assoluta.
La conosco invece, la conosco.
Ottimo. Dunque: lei stava preparando uno spettacolo in un paese del sud della Francia non lontano da quello in cui vivo io. Il posto scelto tra l’altro era pazzesco: le rovine di un castello un tempo posseduto dal marchese De Sade in persona. Insomma: un giorno squilla il telefono, “Ehi, ciao, sono Marie-Claude Pietragalla, sto preparando uno spettacolo vicino a casa tua. E visto che è tanto che pensavo a te, credo proprio che questa sia un segno del destino – dobbiamo fare una cosa assieme. Metà dello spettacolo è legato alla musica classica, ma l’altra metà voglio che sia basata su materiale composto da te. Che ne pensi?”.
…e che ne avevi pensato?
Ne avevo pensato, e gliel’ho detto, che io avevo sempre voluto fare musica per la danza, è un mio sogno da tempo. Per dire, io e mia moglie da sempre andiamo regolarmente a vedere balletti! Solo che non è che avessi mai conosciuto tante persone nel campo… Mah, evidentemente qualcuno avrà detto a Marie-Claude che ero stato avvistato più di una volta a veder balletti e lei quindi avrà pensato di chiamarmi. E infatti, mi chiama. “Marie-Claude Pietragalla! Mi ha chiamato! Vuole collaborare con me! Cazzo! Fantastico!”. Insomma, ero entusiasta dell’idea. Tanto più che sapevo che lei è una molto aperta come attitudine, cerca sempre strade nuove su cui costruire le sue coreografie, ascolto moltissima musica e di tutti i generi; quindi ecco, diciamo che la cosa da un lato mi ha sorpreso, dall’altro è come se in qualche modo – come dire – me l’aspettassi. Sai, il punto è che quando ho tirato fuori un album come “The Cloud Making Machine” in qualche modo sono diventato un nome conosciuto anche negli ambienti più intellettuali… Ho perso un mare di techno heads con quel disco, li ho delusi, lo so, ma in quel momento sentivo fortissima l’esigenza di andare oltre, di cercare nuove strade musicalmente che non fossero quelle legate alla club culture e alla techno dura e pura. Volevo fare musica per il cinema, per la danza…
…magari anche per la televisione…
…esatto, anche se lì non ci sono ancora arrivato. Insomma: a me è sempre piaciuta l’idea di arrivare a raggiungere contesti nuovi, diversi, però volevo arrivarci senza perdere per forza la mia fanbase – per questo per molti anni mi sono sempre preoccupato di continuare a fare serate in giro, di sfornare singoli, eccetera. Però vedi, ad un certo punto mi sono guardato attorno e ho visto che fare un album techno era diventato un esercizio molto prevedibile in cui tutti mettevano solo ed esclusivamente musica disegnata per il dancefloor. Un andazzo che non mi piaceva e non mi è mai piaciuto. Un andazzo per il quale, se mi fossi adeguato, non sarei mai stato preso sul serio da altri contesti artistici: mi avrebbero sempre e solo visto come un dj, come uno che va bene per la club culture e basta. Ribellandomi a questa cosa, tirando fuori un disco dove la techno era praticamente assente, ho forse deluso un po’ di persone, vero, ma ho guadagnato l’attenzione di altre – persone queste ultime che volevo assolutamente raggiungere. Ho perso insomma da un lato, ma ho guadagnato moltissimo dall’altro. Ad un certo punto poi è arrivato il mio manager e mi ha detto: “Senti, ho sentito dei rumours in giro secondo cui Angelin Preljocai ha detto che gli piacerebbe molto collaborare con te…”. Eh. Angelin. Preljocai. Lo sai tu com’è il mondo della danza contemporanea?
Mi sa che posso intuirlo.
Ecco. C’è molto ego. Cioè, se fai qualcosa con uno, non puoi farlo con un altro. Se fai una cosa con Marie-Claude Pietragalla, difficilmente potrai fare qualcos’altro con Angelin Preljocai. Devi scegliere. Cosa faccio, scarico allora Marie-Claude? Al diavolo, non posso rinunciare a lavorare con un’artista comunque eccezionale come la Pietragalla solo perché ho sentito in giro che c’è la possibilità che Preljocai – ok, il mio coreografo preferito, un mito per me – possa voler collaborare con me! Per me fare musica per balletti è una grande occasione, qualcosa che ho sempre sognato, e non ho intenzione di rinunciarci solo perché posso finire vittima di una guerra di ego, quelle in cui “se non sei solo con me allora sei contro di me”. E quindi ho lasciato perdere questa cosa di Preljocai. Ma sai cos’è successo?
Racconta.
E’ stato Preljocai che non ha lasciato perdere me, incredibile ma vero. Peccato solo che la sua prima chiamata è arrivata esattamente quando ero a casa di Marie-Claude… cazzo… Con una scusa mi allontano facendo finta di nulla, riprendo la telefonata e sento Preljocai che mi propone di fare una sonorizzazione non molto lunga, un venticinque minuti, per uno spettacolo basato sull’”Uccello di fuoco” di Stravinskij che avrebbe preparato per la Black Hall, un posto che si trova ad Aix-En-Provence e che è praticamente la casa della sua compagnia di danza, il suo quartier generale. “Ehm, signor Preljocai, lei lo sa vero che io ho già collaborato con Marie-Claude Pietragalla?”, “Lo so. Tra l’altro, non mi è piaciuto per niente quello che hai fatto per lei”… “Fatti tuoi amico, l’importante è che sia piaciuta a lei!”, ho pensato fra me e me. Insomma, faccio questa cosa per Preljocai. Fantastico. Una soddisfazione enorme. Ma nulla in confronto a quello che succede dopo: passato qualche mese mi richiama e mi fa “Senti un po’ Laurent, ho una cosa da fare assieme al Balletto del Bolshoi, il tema è quello dell’Apocalisse. Voglio che la musica la faccia tu”. Eh!? Io? Il Bolshoi, forse il teatro col corpo di danza più prestigioso al mondo!? Gesù santo!
Com’è andata?
E’ stato difficile. Molto difficile. Un casino, guarda, uno sforzo immane. Però ancora adesso mi arrivano ogni tanto sms di Preljocai, che sta portando in giro le repliche di “Suivront Mille Ans De Calme”, questo il titolo: “Ehi Laurent, giusto ieri riascoltavo la tua musica, è fantastica. Non ti ringrazierò mai abbastanza, credimi”. Ti rendi conto? Dico, ti rendi conto?
Una consacrazione.
Diciamo che non avrei mai pensato di poter arrivare fino al Bolshoi. Però è vero che io ho sempre molto lottato per dare e pretendere dignità e rispetto per la musica elettronica: tutti i discorsi sul fatto che non è musica, che chi la fa non è un musicista…
Ti davano fastidio, eh?
Lo puoi dire forte. Io sono uno che lotta molto per quello in cui credo. Allora tanto per rispondere agli snob ho cominciato a pensare come preparare uno show techno che però mettesse in campo musicisti veri, magari gente con un background jazz, visto che io amo questa musica.
Cosa che hai provato a fare in tempi ancora non sospetti, L.B.S. è solo l’ultima evoluzione di questa idea.. Ce n’è voluto del tempo.
Oh sì.
E non sempre le cose sono andate per il verso giusto, soprattutto all’inizio. Mi ricordo ad esempio una data proprio qua in Italia, ad Arezzo…
Ah se me la ricordo quella data. Me la ricordo benissimo. Ma proprio bene bene bene. Un disastro, vero, anche se devo dire che riuscimmo comunque a fare una parte di live dal taglio drum’n’bass molto bella… Quella però era una serata strana, c’era appena stata la finale ai Mondiali tra Italia e Francia e per giunta quella sera nel cartellone del festival era pieno di band francesi: c’era una specie di strana tensione nell’aria… Era la mia prima formazione live coi musicisti, il primo esperimento con Bugge Wesseltoft alla tastiere…
Io amo Wesseltoft!
Anch’io! Era da tempo che ero un suo grande fan, ho sempre seguito la sua musica: ha questo modo incredibile di lavorare sull’attesa, nei suoi pezzi lui aspetta, aspetta, aspetta poi all’improvviso – boom! Ti scoppia in faccia qualcosa di assolutamente magico! Fantastico, guarda… Però sai qual è il problema? Lui è un leader, sul palco. Anche io sono un leader. Male. Uno di noi due era di troppo. Ecco perché forse non abbiamo mai trovato l’equilibrio giusto… Fino a quando un giorno ci ha raggiunto sul palco Ben (Benjamin Rippert, il terzo vertice assieme a Garnier e Scan X del triangolo magico L.B.S., ndr). C’era anche Bugge, quella sera. A fine concerto è arrivato da me e mi ha detto: “Bene. Credo che da oggi in avanti tu non abbia più bisogno di me”.
Bello, da parte sua; ma conoscendolo non sono sorpreso, è una gran persona. Che poi, a proposito di jazzisti legati alla ECM com’è il suo caso, hai sentito il disco di Villalobos e Loderbauer?
Non ancora.
Però è vero, come dichiari nella tua biografia ufficiale, che ascolti ancora oggi ogni canzone che ti arriva?
Sì.
Sei matto?
Sì. Non sono normale.
In effetti…
Lo so. E’ stupido. Sono stupido. Questa cosa è come una malattia che infetta la mia vita. Sono arrivato ad un punto che… E’ orribile, credimi. Orribile. Mi sveglio al mattino già con l’ansia di sapere che mi aspettano centinaia di mail da leggere e di tracce da ascoltare.
Oh beh, il rimedio è semplice: non farlo. Nella posizione in cui sei, non devi niente a nessuno.
Ma se perdo un bel disco?
Senti ancora questa urgenza?
Tantissimo. Ascoltami: ancora oggi, alla sola idea di essermi fatto sfuggire un bel disco vorrei prendermi a coltellate. Lo so, lo so, oggi non è più come un tempo, alle label oggi costa zero fatica e zero soldi mandarti del materiale, lo fanno ormai in modo indistinto e a cuor leggero… Ma se tu mi mandi qualcosa, io la devo ascoltare: è una questione di rispetto. Non rispondo ovviamente a tutti quelli che mi mandano qualcosa, però se qualcosa mi piace e ho l’intenzione poi di suonarla nei miei set – do un feedback. Assolutamente. E’ una questione di rispetto, ripeto. Attenzione, non significa che se non do risposte allora la traccia che mi hai mandato mi ha fatto schifo, semplicemente magari non era dello stile giusto o era qualcosa che non era coerente coi miei potenziali dj set. Comunque senti un po’, prendi la giornata di oggi: ieri sono tornato a casa tardi, ero ad un party hip hop, però stamattina alle 8:30 già avevo aperto gli occhi. Mia moglie mi guarda male e mi dice: “Tu adesso torni a dormire. Subito. Chiaro?”. Uhm. Aspetto di sentirla uscire, e subito dopo accendo il computer: beh, sono rimasto fino alle 14 ad ascoltare la musica che mi è arrivata e ho smesso solo perché avevo l’aereo da prendere per arrivare qui a Milano. Arrivato a Milano ho chiesto subito se nell’albergo c’era una buona connessione internet. Indovina perché.
Ti piace mediamente quello che ricevi?
No.
Ah!
Aspetta. Ecco, diciamo sì e no. Vedi, oggi la qualità media è molto più alta. Prima ti arrivavano nell’ordine: merda, merda disgustosa, cose bellissime, e giusto un po’ di materiale “medio”, quello senza infamia senza lode. Oggi la merda e la merda disgustosa non ci sono più (o forse non me la mandano, boh…), però la quantità di materiale dalla qualità media è letteralmente esplosa, a scapito anche di quella bellissima. Tutti usano le stesse macchine e gli stessi software per produrre musica elettronica, e tutti sanno come usarli. Il risultato? A prima vista, sembrano tutti pezzi molto interessanti, molto rifiniti, con molto lavoro dietro: ma in realtà sono le macchine ad aver fatto il lavoro, sono stati i plug in, i preset. Sai qual è la conseguenza?
Vai.
La conseguenza è che questa è musica fatta con poca fatica, e quindi non ha profondità. Metti un basso, metti un hi hat, un’idea, tirala avanti per dieci minuti: olé, ho fatto un pezzo house music. Ah sì? Cos’è che avresti fatto? “Ma la gente balla!”, mi rispondono. Certo che la gente balla: perché ormai è abituata a questa musica “media” che c’è oggi. Io ascolto musica nuova più o meno per sei ore al giorno, diciamo che fa in totale un centinaio di ep. Di questi, quelli che scarico veramente perché trovo interessanti e voglio tenerli in archivio sono diciamo venti; di questi, ne suono otto.
Dai, manco così pochi. Otto pezzi decenti al giorno mi pare un buon risultato.
Sì, ma sono otto sui cento che mi sono arrivati, capisci? Una percentuale bassa, troppo bassa.
Qual è il problema? Cos’è che è andato storto? Il pubblico che dovrebbe essere più esigente? I media che dovrebbero essere più critici?
Ma no, non è che qualcosa sia “andato storto”. Sono semplicemente cambiate le cose. Si consuma musica in modo diverso. Oggi la gente pensa più alla forma che alla sostanza e ascoltami… il modo in cui oggi un musicista deve muoversi, beh, mi mette a disagio. Perché oggi senza fare pr non sei nessuno; se non sei superconnesso sul web, sei fottuto; se non invadi le case della gente, se non invadi la loro privacy, non ti fila nessuno. Non ti conosceranno mai. Puoi fare la musica migliore del mondo, ma non serve a niente. Sei tu che devi andare insistentemente da loro. Prima era esattamente l’opposto: eravamo noi ad andare nei club, noi che cercavamo di capire che cazzo di tracce i dj stessero suonando, e scoprirlo era maledettamente duro. Oggi invece ti metti lì col telefonino e…
…Shazam!
Bravo. Ehi, io amo Shazam, lo uso tantissimo, quando devo beccare dei vecchi brani jazz-funk strepitosi che sento in giro metti tipo alla tv è uno strumento preziosissimo; ma oggi credo proprio che la relazione con la musica sia cambiata. Prima recuperare un brano era difficile: dovevi scoprirlo in qualche modo, poi uscire da casa, raggranellare i soldi – manco pochi !– per prenderlo (e ti toccava magari prendere l’intero album). Oggi tutto questo dura pochi secondi, il tempo di fare un download. Magari pure gratuito. E’ tutto facile, troppo facile. In questo modo non riesci più ad avere una relazione speciale con la musica. E ti capita di comprare con molta noncuranza musica di cui a malapena conosci origini, motivazioni, etichetta.
La musica non più come creazione artistica insomma, ma quasi come tool pronto uso.
Esattamente questo.
Discuti di tutto questo, coi dj più giovani?
I dj più giovani… mah… Guardali: fanno fatica a suonare per più di un’ora e mezzo! Maledizione! Eh, pure loro c’hanno un rapporto bello strano con la musica. Parecchi di loro dopo novanta minuti sono stanchi, o dicono di aver quasi finito i pezzi da mettere. Secondo me è solo perché non fanno il loro lavoro con il cuore. Noi, gente della nostra generazione, volevamo suonare sei, sette ore tanto eravamo bruciati dalla passione e dell’amore per la musica… Se ci dicevano “Ehi, ok, stasera puoi suonare due ore” per noi era un insulto! Guarda invece oggi… Mah. Oggi vado nei festival e incontro prima di suonare gente meravigliata che mi dice “Wow! Suoni per quattro ore stanotte, pazzesco!”. In quattro ore non riesco a mettere nemmeno la metà dei dischi che vorrei mettere, amico. Boh, oggi va così. Cosa ci posso fare.
Oggi va così, e non ti piace.
Non è che “non mi piace”: semplicemente, non è la mia storia. Oggi evidentemente le cose funzionano in un altro modo. Sai, quando io ho iniziato vent’anni fa sicuramente erano molte le persone che trovavano discutibile il mio modo di fare, il modo in cui trattavo la musica; quindi chi sono io oggi per condannare gli altri? Voglio forse fare con gli altri l’errore che altri vent’anni fa fecero con me? Però non mi ci trovo a mio agio, in come le cose vanno oggi – questo fammelo dire. Oggi vedo in giro tanta gente che pensa prima di tutto a esser personaggio. Una cosa inimmaginabile per me e quelli come me, perché per noi la musica è sempre stata l’unica vera protagonista, mica lo eri tu. La chiamavano “faceless techno” non per niente, no?
Già. Andavi ai rave, e in effetti non avevi mai idea di chi stesse suonando. Non te lo chiedevi nemmeno.
Ecco, io spero che questo spirito sopravviva. Sai, spesso mi capita di dire al mio agente “Ehi, non mettere il mio nome in questo disco anche se è mio”, o “Vado a questo party, ma non dire che ci sono”. Lui mi guarda perplesso. Facendo così, io sto uccidendo la mia carriera. Lo so! Lo so! Perché oggi fare così è un controsenso… La gente non prova più vergogna nell’apparire, non prova più vergogna nel diventare un personaggio; io invece continuo a non trovarmi a mio agio, con tutto questo. Continua a non piacermi dover andare a letto coi brand, per dirne una. E per i media, discorso simile: coi miei soci spesso ci dicevamo “Scomparire per un po’ dai media va bene, così quando ritorni tutti ti riaccoglieranno al tuo ritorno più volentieri”. Zero! Oggi se per tre mesi ti chiudi in studio e nel frattempo non fai uscire nulla sei fottuto: nessuno si interessa più a te.
Risolvi il problema: vai a suonare regolarmente ad Ibiza.
Ibiza, buona quella. Il suo ruolo oggi è essenzialmente quello di essere il luogo in cui convergono tutti: spagnoli, europei, americani, australiani – perfetto, in un mondo in cui tutto è basato sulle interconnessioni. Sei al centro del mondo, al centro delle cose. Ma un tempo pretendere di essere sempre al centro delle cose ti rendeva ridicolo.
Sì, era una cosa che volevano fare solo i dinosauri del pop e del rock…
Esatto! Esatto! Mentre ora tutto ciò che gira attorno alla club culture sta diventando esattamente come ciò che, quando facevamo fare i primi passi alla club culture, odiavamo… Non lo so. Forse molti artisti odierni hanno visto che gente del nostro giro, della nostra generazione non ha ottenuto abbastanza rispetto ai propri meriti e ora provano a fare esattamente il contrario: per farsi rispettare, per ottenere il giusto. Può essere. Ma dovrebbero capire dove sta veramente la loro passione: se nella musica, o nel voler essere un uomo di successo.
Quanto ti hanno deluso le reazioni non entusiastiche che hanno accompagnato “The Cloud Making Machine”?
Mah…
Dai, su. Confessa. Ti aspettavi che quel disco venisse capito di più.
Ma va’. Quando ho suonato i primi demo dell’album ad Eric, il mio socio nella F Comm, lui mi ha guardato tutto imbarazzato e mi ha chiesto: “Ehm, ma quante copie pensi di vendere?”. Io: “Quante ne abbiamo vendute coll’album precedente?”. Lui: “Eh, tipo duecentomila”. “Bene, se con questo disco ne vendiamo un decimo ci è già andata di lusso”. “Ah bene! Basta che tu ne sia consapevole”. Ero preparato, capisci. Però guarda, posso dire che è un disco che sta resistendo molto bene nel tempo: una bella soddisfazione, considerando quanto la gente oggi è distratta. Ad esempio col mio lp successivo, “Tales Of The Kleptomaniac”, c’era la possibilità di scaricare gratuitamente un album parallelo, che era una specie di seguito di “Cloud Making Machine”: credo l’abbia fatto non più del 5% degli acquirenti dell’album. Ridicolo. Altro esempio: l’anno scorso abbiamo fatto un grande concerto in diretta stream sul web. Diretta che è stata un successo clamoroso: più di centomila persone connesse! Commenti entusiastici! “Wow”, mi sono detto, “facciamone un dvd, a tutte queste persone farà senz’altro piacere. Teniamoci bassi come prima tiratura, stampiamone intanto 2000”. Beh, se ne abbiamo venduti 300, ecco, è tanto.
In effetti…
Non so. Il mondo così com’è oggi mi fa un po’ paura. Non lo capisco del tutto. In generale, l’impressione è che oggi devi lavorare per il decuplo per ottenere un decimo di quello che ottenevi prima. Io lo continuo a dire al mio agente: “Ehi, stiamo sbagliando qualcosa”. Lo dico a lui, ma lo dico a me per primo – invece di passare più tempo con mio figlio,, ad esempio, son qui che passo tutto il giorno a guardare la casella di posta elettronica e ad ascoltare dischi. E’ orribile. Orribile. Mi fa sentire male. Tutti mi dicono “Ehi Laurent, devi trovare una soluzione”. Ma come si fa? Non esiste una soluzione.
Prenditi dei collaboratori che ascoltano la musica per te.
Eh?!
Lo fanno in molti.
Lo so, e mi chiedo: e come diavolo fanno? Come possono permettere che qualcuno giudichi al posto loro e gli dica “Suona questo, è buono”? L’ascolto e il giudizio sono i basics di cosa noi siamo. La metto giù dura, su questo argomento, perché voglio difendere la musica che amo e non mi piacciono certe derive. Non sono Carl Cox, non sono Richie, non sono Sven, non sono quel tipo di artista lì… Sono amici loro, li amo, amo la loro musica, ma non mi piace tutto quello che fanno e talora non mi piace il modo in cui lo fanno. Esattamente come a loro non piacerà tutto quello che faccio e dico io, chiaro, ma va bene così, è giusto così: io sono io. Ho la mia identità. E comunque, prendi nota: se un mio collaboratore col compito di ascoltare i dischi al posto mio si perdesse una traccia che poi sento in un secondo momento suonata da altri e mi piace da morire, facendomi così la perdere la possibilità di suonarla per primo, beh lo ucciderei. Davvero, lo ucciderei.
English Version:
Ok, let’s start talking about dance music. Don’t get me wrong: it would be quite predictabale to talk about the club culture thing and stuff, but actually hear I mean “dance” in a proper way – contemporary ballet, as I know you’ve collaborated with one of the world greatest choreographer, Angelin Preljocai.
Sure. Well, we have to step back to the first chapter of the story: my first collaboration with a choreographer is the one with Marie-Claude Pietragalla. She might be not as famous as Preljocai and you might not know her, but she’s really great.
I know her indeed.
Great. So: she was setting up a show in a town in the south France, really close to where I live at the moment. The location she chose was great, by the way: the remainings of a castle that used to be owned by the marquise De Sade himself. Anyway: one day my phone rang, “Hello, I’m Marie-Claude Pietragalla, I’m preparing a ballet right next to your hometown. Considering that it’s a long time I’m thinking about collaborating with you, I think this really means that now it’s the time to do something together. Half of the show is based on a classical music soundtrack, you’d have to take care of the ogher half. Is that ok for you?”.
Was that ok for you?
It was so ok that I actually told her that it has always been a dream of mine so far to write the music for a ballet. Let’s say, me and my wife regularly go to contemporary dance shows! The fact is that I never tried to make connections into the business, never got in touch with anyone related to it… Guess someone told Marie-Claude that I was spotted more than once in a theatre attending ballets, therefore she thought it was a good idea to call me. And that’s what she did, actually. “Marie-Claude Pietragalla! She called me! Wants to collaborate with me! Fuck! That’s amazing!”. You see, I was really enthusiastic with it. Also because I knew that she’s really open minded, she always tries to reach new ways of expressing her art as a choreographer and she listens to a lot of different kinds of music; so, you know, in a way I was really surprised, in a way I was not. The point is that when I released “The Cloud Making Machine” somehow I’ve had a breakthrough within a brand new kind of audience, more sophisticated. I’ve lost a lot of fans with that record, I know I’ve disappointed them, but on the other hand in that particular moment of my artistic life I badly needed to go further, to explore wider territories and contexts, not being stuck in the club culture and techno field. Wanted to make music for cinema, dance…
…maybe even for television…
…yeah, even if I’ve not come to this yet. Listen: I’ve always loved the idea of reaching different contexts, but for years I’ve tried to get there without losing my fanbase – that means I kept on releasing ep’s, deejaying in the clubs, and so. But it comes to a certain point when you realise that releasing a techno album has become a sort of very predictable exercise where you were dealing with music merely designed for the dancefloor. Didn’t like the way things were turning out, really. If I stayed in that mindset and in those operating methods, that would have ruined any chance of being taken seriously by whoever is not already familiar with club culture thing: I would have stayed a dj forever, one who fits within the club scene and that’s it. I fought back against it, released a record were techno as we’re used to it was actually missing; maybe I’ve disappointed some people, but I’ve caught the attention of many others – those who I badly wanted to reach. At a certain point my manager came to me and said: “Listen, I’ve heard some rumours that Angelin Preljocai would like to collaborate with you…”. Well. Angelin. Preljocai. Do you know how it works, in the contemporary dance scene?
Guess I do.
Cool. Egoes everywhere, you know. Like, if you do something with someone, than you can’t do it with anyone else. If you work with Marie-Claude Pietragalla, you can hardly pretend to work with Angelin Preljocai. You have to choose, like. So, what did I have to do, did I have to dump Pietragalla? Fuck it, I can’t give up a work like this, a work I’ve always dreamed of with an artist anyway as great as Marie Claude is, only because I’ve heard that Angelin Preljocai – ok, he may be my favourite choreographer – would apprently consider collaborating with me. Creating scores for ballets is a great opportunity for me, won’t gonna lose it only for a – well, in France we would call it a “church fight”. So I didn’t try to follow the path apparently leading to Preljocai. But you know what happened next?
Tell me.
It was Preljocai following the path to me, unbelievable but true. Well, his first phone call arrived exactly when I was at Marie-Claude’s house, can you imagine that? Fuck! I stepped aside, pretending it was just a normal call, and then heard Preljocai asking to write a piece of music supposed to be not that long, 25 minutes or so, for a show based on Stravinskij’s “Bird Of Fire” that was going to be held at the Black Hall in Aix-En-Provence, a sort of headquarters for his dance company. “Er, mister Preljocai, you know don’t you that I’ve already collaborated with Marie-Claude Pietragalla…”, “I do know. Actually, I didn’t like what you’ve done for her”. Well I thought “Who cares if you didn’t like it – she liked it, and that’s what counts!”. So, I do this thing for Preljocai. Great. Such a satisfaction. But not as satisfying as what happened a little bit later. He called me back: “Listen Laurent, I’ve got a thing here to be done with the Bolshoi, something about the concept of Apocalypse. I want you to do the score”. What?! Me? With the Bolshoi, maybe the most prestigious dance company in the world!? Jesus!
Did it work well?
Well, it was hard. Really hard. An enormous effort, believe me. But still now Preljocai is sending text messages like “Laurent, seeing the show I was listening to the music you’ve written for me again and, well, won’t never ever thank you enough. It’s amazing”. Can you believe that?
A definitive acknowledgement.
Let’s say that I never thought I’d be able to reach the Bolshoi. But it’s true that I’ve always fought for the rights and the dignity of the music I love. You know, techno is still not considered music by many, a dj is not an artist, stuff like that…
It bothered you, didn’t it?
Sure! I fight for the things I love and the things I believe in, always did. That’s why I started thinking about a techno project that would have been able to incorporate real musicians – maybe some borrowed from the jazz scene, a music I’ve always loved a lot.
A process that started many years ago, L.B.S. is just the final outcome after many years of trials and experiments.
Yeah, exactly.
Some trials went wrong, especially in the beginning: I remember a gig here in Italy, at the Arezzo Wave Festival…
Damn I remember it perfectly. Perfectly. It was a mess, sure, even if we had the chance to play a great drum’n’bass track during the show. It was a strange night, however. It was just a few days after the World Cup finals, Italy against France you know, that day there were a lot of Frech acts scheduled on the festival line up… a strange tension was in the air… Bugge Wesseltoft was on the keys, that day.
I love Bugge!
Me too! Always been a great fan of him and his music. He’s fantastic, he waits, waits and waits and then suddenly – boom! Something really magic and intense happens! Amazing. But you know what’s the point? He’s a conductor, a band leader. I’m a conductor too. It was not working. It had no balance, we were both trying to do the same thing. But one day I was joined on stage by Ben (Benjamin Rippert, the actual B. of the L.B.S. project alongside Garnier and Scan X, editor’s note). Well, Bugge was there that night. You know what he told me? “Laurent, you don’t need me anymore”.
Such a nice attitude. I’m not surprised, though – he’s really a nice man. Hey, talking about jazz musicians related in a way with the ECM label, have you heard the Villalobos and Loderbauer album?
Not yet.
But is it true, as you state in your official bio on the website, that still today you listen to every single record you’ve been sent to?
Yes it is.
Are you crazy?
Yes. I’m not normal.
Well…
I know. It’s stupid. I’m stupid. This thing is like a disease infecting my whole life. I’ve come to a point that… It’s horrible, believe me. Horrible. I wake up in the morning immediately being obsessed by the mail I’ll have to read and the tracks I’ll have to listen to.
Easy remedy: don’t do that. You owe nothing to anyone, don’t you.
But if I miss a good record?
Still feel that urge?
Sure I do. Definitely. Listen: still today, at the mere thought that I could have missed a good record, well, that makes me want to stab myself. I know: it’s not like it used to be, now sending promos is easy and it’s for free, so they’re easy at it, maybe too easy. But if you send something, I feel I have to listen to it. It’s a matter of respect. Won’t react obviosly to all the folks that are sending something, but if I like your stuff and if I’m think I’m gonna be likely to play, will tell you for sure. Well, it’s not that if I don’t react I didn’t like your music – maybe it just didn’t fit with what I usually play. Anyway, look – let’s see today. I woke up really early, 8.30 AM, after a whole night spent at a hip hop party. When I opened my eyes, my wife said: “Now you sleep. Got it? Go back to sleep”. I waited for a while, and when I’ve heard that she left our house I immediately stood up and switched my computer on. I kept on listening to music until 2PM, I just stopped bacauese I had to catch the flight to Milan. Once there, I asked immediately if the hotel had a good internet connetcion. Guess why.
Do you mostly like the music you receive?
No.
There we go!
Wait, wait. Let’s say: yes and no. You see, today the average quality is much higher. Back in the days, you used to get shit, disgusting shit, brilliant stuff and just a few average pieces of music. Today it’s completely different: the shit and the disgusting shit are not being sent anymore (or at least, it’s not being sent to me), but the quantity of the average things has literally exploded. I think it’s because everyone’s using the same machines and the same softwares to create music, and everyone knows how to use them in the proper way. Apparently, it’s good music with a great attention to details and lots of effort put into it; but it’s not the people, it’s the machines and the softwares that did it. It’s the plug ins, the presets. You know what that means?
Go on.
It means that’s music done easily. Very easily. So it lacks depth. Put a bass there, put a hi hat, put half of an idea, stretch the whole thing up to ten minutes – there you go, here you’ve got a house track. Well, yes? You really think that’s enough? “But people dance to it, it works”, you’re telling me. Sure they’re dancing to it: because they’re used now to that kind of shit, the average shit. I listen to music something like six hours a day – let’s say it’s an average of 100 ep’s a day. Do you know how many of them I download, because I like them and want to keep them with me? Twenty. Do you know how many of them I actually play during my sets? Not more than eight.
Eight good new track a day. Not bad.
Yeah, but it’s eight out of one hundred, do you know what I mean? It’s an awful percentage.
Where’s the problem? What went wrong? It’s the audience that sould be more demanding? Is it the media that sould be more critical?
It’s not that something “went wrong”. Simply, things have changed. You listen to music in a different way. Today people are more into the package, they don’t care about the content anymore. The way producers have to promote theirselves today, well, I’m a bit lost… Today it’s all about the pr. If you don’t have connections, you’re no one. If you’re not active on the web, you’re fucked. If you don’t invade people’s houses, their privacy, you won’t get anything at all. You can do the best music in the world, that doesn’t help. It’s you that have to chase people. It used to be exactly the opposite: it was us getting to the clubs and trying what the dj’s were playing, and damn how complicated that was. Today you just stand there with your phone and…
…Shazam!
That’s it. Hey, I love Shazam, I use it a lot, when let’s say I watch the tv and I hear a great piece of music I’ve never heard before I immediately grab my phone: it’s great. But today the relationship between the people and the music has radically changed. Before, when you had to put your hands on a piece of music you had to get out of yuor house, fight to gather enough money (it could take weeks…), go to a shop. It used to be a long and complicated process, you know. Now it’s just a matter of a dozen of seconds: you hear something, you download it. Maybe you do it even for free. It’s all easy, maybe too easy. This way there’s no room anymore for a special relationship between you and the music. You get some tracks, you don’t even know their names, their contexts and the label that has released them.
Music as a readymade tool, not as an artistic process.
Exactly.
When you discuss these topics with the younger dj’s, what do they say?
Oh, the younger dj’s… shit… Look at them: often they can’t even play more than 90 minutes! Damn! They’ve got a strange relationship with music, too. Many of them are tired after 90 minutes, or say that they have barely more records to play, they’ve ran out of good tracks, like. To me, it’s only because they’re not as passionate as they should be (and as we were). We used to play for six, seven hours, or even more: we were putting our heart in it, because we loved the music. If they were telling us “Mate, tonight you’re supposed to play one hour, maybe two hours” that was an insult! See today… I go to festivals, people telling me “Wow, you’ve got a four hours slot, that’s incredibile”. Man, you crazy? In four hours I can play not even the half of the records I’d love to play! Well, seems like today it goes like this.
It goes like this, and you don’t like it.
It’s not that I don’t like it. Simply, I’m not into it. You know, when I started to do music twenty years ago it was full of people telling me I was doing it the wrog way, what I play, the way I play: don’t wanna be like that today. Who am I to judge you’re right, you’re wrong? Do I want to sound like the assholes that were bothering me twenty years ago? But I’m not into it, let me say that. I don’t like the way many people come with an attitude. Back in the days music was the only thing that mattered. They used to call it “faceless techno” for a reason, didn’t they.
That’s it. You were attending raves, and you didn’t have a clue of who was playing… you were not even thinking about it.
I hope this spirit will survive, in a way. You know, I often tell my agent “Don’t put my name on this record” or “Don’t tell I’m gonna be at that party”. He looks at me, “Of that’s what you want, Laurent”. I know I’m killing myself this way, I know! It’s a nonsense, acting this way… Producers today want to be everywhere, and are not ashamed of it. That’s not for me. I hate going to bed with the brands. It’s the same with the media, you know: we used to tell each other “It’s good to disappear for a while, it sets things up for a great comeback” – well it’s not like this anymore. If you disappear for three months without releasing anything, just beacause you’re in the studio working on new stuff, you’re like dead, nobody will care about you anymore. That’s crazy.
Let’s fix it: go regularly to Ibiza.
Ah, Ibiza. Its role is essentially being a place where people gather from all over the world: Spanish, Europeans, Americans, Australians – which is perfect, for a world based on connections how ours is. You at the heart of things, aren’t you. But once trying to be always at the heart of things made you an unpleasant character, an attention whore.
…one carrying an attitude related more to the pop or rock scene and its dinosaurs than to the electronic music scene.
Exactly! Exactly! See, now everything that goes around the club culture is exactly what we used to hate back in the day… I don’t know: maybe many people have seen that we didn’t get the right recognition, we didn’t get at the time what we deserved, so now they wanna act the opposite way. But they should ask theirselves: where’s my heart at? What’s my passion? Is it the music? Or is it just success?
Honestly, were you disappointed by the not-that-enthusiastic reactions that followed the release of “The Cloud Making Machine”?
Wouldn’t say that…
Come on! You were expecting people to be at least slightly more into what you were doing, weren’t you…
Not at all. When I passed to Eric, my partner at F Comm, the demo of some tracks of the album ha came back to me, slightly embarassed, and was like “Er, how many copies do you think you’re going to sell?”. I replied: “How many copies did we sell of the previous album?”. “Like, 200,000”. “Excellent. If with this album we sell a tenth of it, it’s great”. “Cool. Just wanted to be sure you were aware of it”. But listen, I can tell you that it’s a record that’s resisting well the test of time passing by: it’s a satisfaction, considering how careless people are today. Let’s take for instance the “Tales Of The Kleptomaniac” album: along with it, you had the chance to download another album for free, which was a sort of sequel of “The Cloud Making Machine”. So how many people did it? Like the 5%. That’s stupid. Another example: last year we made a web broadcast of a gig of ours. It was an enormous success: more than 100,000 viewers, loads of rave comments. “Wow”, I told myself, “let’s make a dvd out if it, all these folk will be happy for sure with that. Let’s keep low profile with the first print, 2,000 copies”. Well: if we sold 300 of them, that’s a lot.
I see…
I don’t know. The world as it is now, well, it scares me. I don’t get it completely. Seems like today you have to work ten times more to get a tenth of the result you used to get before. I keep telling my agent: “Hey, there’s something wrong here, we’re missing something”. That’s what I tell him, but that’s also what I tell me at first place – instead of staying with my son, for instance, I’m here spending all the day checking my e-mails and listening to track. That’s horrible. Horrible. It hurts me. All friends are like “Hey Laurent, you should sort it out”. But how can you do it? There’s no solution.
Hire some folks, let them listen to the stuff in your place.
What?!
Many dj’s do that.
I know, and I ask myself: how the hell can they do it? How can they pretend that someone is able to judge in their place, telling them “Play this, it’s cool”? Listening and judging are the basics of what we are and what we do. I don’t wanna be mean, but I wanna fight for the music I love and for what we do, so I don’t appreciate certain behaviours. I’m not Carl Cox, I’m not Sven, I’m not Richie, I’m not that kind of artist… Don’t get me wrong, they’re friends, I love them, I love the music they do, but I don’t like everything they do and sometimes the way they do it. Exaclty like they won’t appreciate everything I do and the way I do it… That’s cool. This is me. I’ve got my own identity. But anyway, listen: if someone I pay to listen to records in my place misses a good track, a track I hear later played by someone else instead of me, so that I can’t be the first playing it, well, I would kill him. Really, I’d kill him.