In questi giorni sono stato esposto a due lavori incentrati su altrettante figure che, per motivi diversi, sono state e sono centrali nel mio immaginario di appassionato: la nuova autobiografia di Zlatan Ibrahimovic, scritta a quattro mani con la prima penna della Gazzetta Dello Sport e dall’emblematico titolo “Adrenalina” e “Off The Record”, il nuovo documentario di Gabin Rivoire (intervistato dal nostro Valerio Spinosa già durante la lavorazione del lungometraggio) che segue l’evoluzione umana e professionale di Laurent Garnier e di cui ho avuto la fortuna di vedere un’anteprima qualche settimana fa a Milano (e che sarà disponibile per tutti un po’ in tutta Italia, precisamente su questi schermi, il 10, 11 e 12 gennaio 2022). Due opere, quelle sopracitate, che non potrebbero essere più lontane: da un lato – e lo dico con tutto il rispetto che si riserva a un Campione – l’ennesimo, semi-disperato tentativo di lasciare una testimonianza di sé. Come a voler strillare dalla seconda fila che, in una generazione di Messi e Ronaldo ehi, anche io ero un figo! Comprensibile, venire a patti con l’inevitabile fine della propria principale fonte di soddisfazione spaventa da sempre anche le divinità. Il mito racconta infatti che Saturno avesse iniziato (letteralmente) a mangiarsi i propri figli perché non gli succedessero al trono dei cieli, figurati come poteva reagire un ragazzo nato col mondo contro nelle periferie di Malmoe.
Dall’altro lato della barricata, nel lavoro cinematografico che uscirà nelle sale in questi giorni di gennaio, troviamo paradossalmente un protagonista che resta sulla scena quel tanto che basta per traghettarci attraverso le varie fasi di in un meccanismo di cui è stato un singolo, seppure meraviglioso ingranaggio per oltre trent’anni. Senza “cantarsela e suonarsela” da solo, senza inutili merletti che distolgano l’attenzione da quello che è il messaggio da veicolare, cioè la rivincita delle cosiddette “Anti-star”: artisti che hanno messo le loro doti al servizio della scena invece che fare l’esatto opposto, come spesso accade. Infatti Off The Record non è il classico documentario paraculo sul “Prima era tutto meglio, siamo noi che abbiamo creato questo e quello, bla bla bla”. Al contrario, è una sintesi – talvolta anche critica – di tutti quei mille diversi fattori – attraversando i quattro angoli del globo, da Detroit a Parigi a Manchester – che hanno permesso che ci potesse essere un Laurent Garnier di cui parlare. Il risultato è quello di poter sfruttare il suo sconfinato amore per la musica, l’umiltà nel continuare a imparare e mettersi in discussione, la capacità di lasciarsi trasportare dalla fama senza perdere contatto con le proprie fondamenta morali e tutti gli altri cardini del suo percorso come linguaggio universale per capire meglio le radici dell’ultima grande rivoluzione musicale del secondo Millennio.
In un mondo mai così interconnesso eppure sempre più predicato sull’individualismo, questo documentario ci ricorda che quando entriamo in un club o in un festival diveniamo parte di un meccanismo più grande, con radici profondamente affondate nella nostra storia sociale
In definitiva: Laurent prova a rappresentare tutti quegli artisti che ogni santa volta che attaccano le cuffie al mixer – si tratti di un piccolo club di provincia o del Sònar Festival – vogliono ricordarci (e ricordarsi, perché no) di essere ancora lì dopo tanti anni non perché sono dei prescelti illuminati dal Signore, ma semplicemente perché hanno speso una considerevole fetta della propria vita coltivando una passione che amavano più di ogni altra cosa al mondo. E chiunque sia dall’altra parte della consolle, anche inconsciamente, riesce a captare di essere parte integrante dell’energia che ne scaturisce. E se Laurent Garnier è stato al centro della scena per così tanto tempo, forse è anche perché raggiungere quel tipo di connessione col pubblico è sempre stato il fine ultimo e non un mezzo per sfamare il proprio ego.
In un mondo mai così interconnesso eppure sempre più predicato sull’individualismo, questo documentario ci ricorda che quando entriamo in un club o in un festival diveniamo parte di un meccanismo più grande, con radici profondamente affondate nella nostra storia sociale. E che avere un talento e una posizione di favore non siano necessariamente garanzia di longevità se non ci sono dietro disciplina e rispetto e amore per ciò che si sta facendo. Per questo è così importante che il messaggio venga recapitato da chi rimane fra i pochissimi DJ osannati e seguiti urbi et orbi anche dai più ferventi puristi del nostro mondo: ogni volta che Laurent Garnier si mette al timone, chiunque gli stia attorno è consapevole di essere un prolungamento delle sue emozioni. Sicuramente ricambiato.