Volevate giustizia? Avete avuto, come sempre, il giustizialismo. Ma evidentemente a molti, troppi va bene così. E allora non serve lamentarsi. Anche perché il giorno che si capirà – finalmente – che il giustizialismo è un parente stretto dell’atavica voglia di aggirare ed aggiustare pro domo propria le regole, praticamente un’altra faccia della stessa medaglia, saremo tutti migliori. Il punto della situazione, a discoteche e club aperti in molte regioni ma con l’inizio della piena populista/giustizialista, lo avevamo fatto qui. Rileggete. Ovviamente è rimasto lettera morta, quanto scritto, fino ad arrivare all’inevitabile epilogo che rende tutti contenti (eh, insomma…). Ah, attenzione, qua non si è dei megalomani convinti che con un articolo su un webmagazine di clubbing e musica elettronica si cambia il mondo, però ecco, il piacere della testimonianza culturale resiste. Il piacere della testimonianza culturale, e della resistenza contro un certo tipo di deriva. Una deriva che, se non si inverte, farà andare a sbattere molte più persone rispetto ai soli “farabutti” che gestiscono club e discoteche e gli “irresponsabili e drogati” che le frequentano.
Bisognava ragionare. E invece no, è risultato troppo difficile o scomodo. La constatazione vale per tutti, attenzione; la constatazione vale veramente per tutti.
Perché è stata persa una grandissima occasione: il dato di fatto, e nel mondo delle discoteche ora si sorvola troppo spesso su questo fattore, è che il ballo è tra tutti gli eventi di intrattenimento quello che negli ultimi due mesi più ha ottenuto e più stato messo nelle condizioni di operare. Tanti lamenti su come sia un settore di cani sciolti, irrilevante, demonizzato, eccetera eccetera, poi guarda un po’ è riuscito ad arrivare dove tutti gli altri non sono arrivati, ad ottenere quello che tutti gli altri non sono riusciti ad ottenere. Il merito non è delle mazzette o del malanimo irresponsabile di chi ci amministra; il merito invece è di chi fra i gestori si è posto con serietà, piglio e pure professionalità nel dialogare con alcuni rappresentanti delle istituzioni (andando molto sul concreto, con pochi svolazzi), il merito poi è di chi fra le amministrazioni si è posto in modo pragmatico, facendo un calcolo di costi, rischi, benefici.
Calcolo che ha cambiato fattori, nel momento in cui è iniziata a montare la marea dell’indignazione, del giustizialismo. E lì tenere aperti club e discoteche non è diventato più “conveniente”. Una marea a cui hanno contribuito in tanti: le Selvaggia Lucarelli (che non a caso poi ha tirato fuori un’altra perla populista con un articolo sulle vacanze all’estero: occhio che su questo argomento ci torniamo), coloro che senza indignazioni e capri espiatori non ci sanno stare manco se vanno a comprare il latte al supermercato, la gente che gode un filin di più non se lavora per il proprio bene per sé ma se augura il male agli altri. E in quest’ultima categoria, purtroppo, sono caduti in tanti. Tantissimi. La stragrande maggioranza. Anche di coloro che, in teoria, sarebbero in favore di musica, cultura, socializzazione, eccetera eccetera.
Appello inascoltato, il nostro, nell’articolo di qualche settimana fa già citato, ma un po’ ce lo immaginavamo. Le discoteche aperte potevano (e per molti versi sono state) un’ottima chiave per ragionare sulla possibilità di fare anche concerti ed altri eventi, farne di più, farne meglio. La Puglia è una regione chiave, in tal senso: non solo Sinclar e la Carrà, pure più d’un live di qualità in queste settimane. Però no: scorrazzando sui social abbiamo visto tantissimi amici legati al mondo della musica live dare addosso rabbiosamente “…a quelle merde delle discoteche”: dimostrando un flirt col giustizialismo rabbioso che, evidentemente, nemmeno delle buone intenzioni e dei buoni gusti musicali riescono a sopire, in questo paese. Non se ne salva quasi nessuno, a quanto pare. “Perché nelle discoteche si ammassano e io invece devo fare un concerto col distanziamento di tre metri fra uno spettatore e l’altro?”: vero. Ma a questa domanda, lecita e doverosa, la risposta migliore era anche andare a capire quali erano gli effetti degli ammassamenti in discoteca, non solo abbaiare rabbiosi chiedendo la chiusura delle disco, se-non-lavoro-io-devi-morire-pure-tu. Qualcuno ha guardato i dati epidemiologici della Regione Puglia dalla “riapertura”? Qualcuno ha visto i dati di contagio della provincia di Rimini nelle ultime settimane? Eh. Fra chi ulula alla luna e ora stappa champagne per serrata dei club, c’è per caso chi ha trovato una precisa ed evidente correlazione tra apertura dei club e diffusione del CoVid? Non è una domanda retorica. E’ una domanda seria. Questa correlazione, forse, c’è. Ma quasi nessuno, siamo pronti a scommettere, si è posto il problema di andare ad indagarla sul serio (…avrebbe scoperto che no, non esiste ancora nessuna certezza scientifica, e si sta ancora tutti navigando a vista), decidendo invece di avere già la verità in tasca e la verità è che clubbari e discotecari sono gli “untori”, e che “…a settembre ci sarà un altro lockdown di mesi e sarà colpa loro“.
Il comodo, comodissimo gusto dell’indignazione. La comoda, comodissima ricerca di un capro espiatorio facile&chiaro che ti faccia sentire migliore. Quando, invece, sei purtroppo solo uno stronzo ignorante e alla mercé dell’ignoto (esattamente come chi scrive queste righe, esattamente come tutti), che ancora non sa cosa farà il CoVid nelle nostre vite, in quelle dei nostri cari. Questa è la verità. E non è che chiudere club e discoteche darà certezze immediate in più. Purtroppo, no. Magari, servisse.
Troppa gente ora esulta. Troppa gente ora (e solo ora) dice “Le discoteche non andavano proprio riaperte” (Linus, proprio tu, che brutta caduta di stile). Troppa gente che “odia” chiunque abbia desiderato riprendere la vita in queste settimane; e riprendersela significa anche ballare, socializzare, vivere la notte, perché se odiate chi balla dovreste odiare anche chi va al mare, chi esce di casa, chi prende i mezzi pubblici, chi assembra le piazze, insomma, dovreste odiare veramente un sacco di persone e, sapete la verità?, odiare è faticoso, porta via molte risorse utili ed avvelena in primis se stessi – ma tanto questo in molti proprio non lo vogliono capire. Troppa gente non ha capito che il pericolo del Coronavirus non è solo quello diretto sanitario, che ha mietuto ad oggi quasi 800.000 vittime al mondo (è quindi reale: altro che invenzione); il pericolo però è anche proprio esistenziale, è quello di creare un mondo ripiegato su se stesso, incattivito, dove la “socialità” è il nemico, il “contatto con altre persone” un pericolo e il “divertimento con altri esseri umani” il diavolo… Anche perché occhio, sarà un mondo più povero, con molti posti di lavoro in meno e crisi sistemiche in arrivo, quindi una potenziale polveriera globale. Polveriera che possiamo superare indenni solo se ci scopriamo umani, non caporali.
Ecco. Facciamo un passo indietro, però.
Perché le discoteche avevano riaperto, e l’Italia tutta era diventata un posto peggiore: tutta, tutta l’Italia. Purtroppo.
Dei “nemici” delle discoteche e dei club abbiamo parlato ma, sissignori, bisogna parlare pure di club e discoteche (di chi li fa, di chi li frequenta). Che occasione persa. Che maledetta occasione persa. Il giustizialismo moralista è una merda; ma se tu il giustizialismo lo attrai, coi tuoi comportamenti e con scelte a corto respiro, forse hai poco da recriminare. Ti trovi in mano l’enorme, colossale fortuna di poter riaprire: ma perché riapri come se nulla fosse? Perché butti questa occasione, nascondendoti dietro ai formalismi (“Io le norme le faccio rispettare”), per quanto corretti, e non ti prendi la responsabilità di reinventare certe dinamiche, adattandole ai tempi, onorando il tuo ruolo di avanguardia privilegiata e luogo “culturale”? Dato che nel campo degli eventi artistici e di intrattenimento club e discoteche sono state e sarebbero avanguardia privilegiata (lì dove bar e chiringuiti erano invece la marmaglia indistinta che pensa in primis a fatturare, e tu club e discoteca ti sei sempre vantato di questa differenza). Perché riaprire in moltissimi casi solo coi soliti nomi grandi&sicuri? Era proprio necessario? Avevi paura che la gente non venisse? Volevi massimizzare i profitti estivi regole di capienza permettendo una volta avuto il semaforo verde, per coprire i buchi dei lockdown passati e quelli possibili futuri? Volevi riaffermare la tua posizione nello scacchiere del mondo dell’intrattenimento dance, consolidando la tua leadership e il fatto che certi nomi li hai solo tu? Avevi sul groppone grandi dj già contrattualizzati, e dovevi comunque farli suonare da qualche parte? E tu, pubblico: ma a te interessa solo la superstar della console? E’ l’unica che ti fa divertire? E’ l’unica che conosci? Non hai ancora capito che ormai il talento è diffuso, e la vera figaggine non è farsi la foto in console con lo strapagato che suona ad Ibiza ma andare a scoprire chi sarà il nuovo talento emergente? Quando ti sarà chiaro che non è bello farsi trattare da criceto, che viene appagato solo dai soliti nomi in cartellone perché tanto qualsiasi altra cosa non la capisce?
Il giustizialismo moralista è una merda; ma se tu il giustizialismo lo attrai, coi tuoi comportamenti e con scelte a corto respiro, forse hai poco da recriminare
Capisco la voglia di divertirsi. Capisco la voglia di rivalsa. Capisco la voglia di ripresa. Ma, accidenti, che maledetta occasione persa: per i proprietari, i direttori artistici, il pubblico, pure per gli artisti. Si poteva fare di meglio. Si poteva fare di meno. Si poteva fare altro. Si potevano chiamare (anche) nomi che non sbancavano tutto quanto, che rendevano meno ma costavano anche meno, che chiamavano una pista meno affollata e più selezionata. Potevi inventarti dei formati speciali. Potevi “chiamare” delle pratiche virtuose. Potevi sorprendere. Potevi far vedere che da una situazione difficile ed a rischio quale quella in cui tutti – nessuno escluso – siamo si viene fuori con le idee, coi cambiamenti, con nuovi paradigmi. E non è nemmeno questione di “Basta coi soliti nomi, facciamo suonare i giovani / facciamo suonare i bravi”: perché pure i “soliti nomi” (che in realtà, in parecchi casi, hanno davvero ancora molto da dire) potevano essere fatti suonare in contesti particolari. E, ah sì, già che ci siamo, tutti quelli del nostro settore che si sono scagliati contro chi fa “i soliti nomi” hanno per caso provato a fare altro? Se sì, sono (in parte) autorizzati a parlare e lamentersi; se no, forse è meglio tacere. Altrimenti diventa l’ennesimo “Armiamoci e partite” (altra specialità nazionale…), in cui tu non muovi un dito e non rischi un soldo ma sono gli altri che devono chiamare a suonare te o il dj amico tuo che ti piace, quello raffinato, sofisticato, di ricerca. Perché se è vero che chi ha chiamato i “soliti nomi” ha perso un’occasione ed ha anche creato assembramenti a favore di telecamere canaglia che forse si potevano evitare per non titillare il giustizialismo del tribunale del popolo, intanto comunque ha fatto, ha rischiato, ha dato del lavoro a delle persone. Tu, se critichi dalla riva del fiume senza aver fatto nulla, cosa puoi dire invece? Cosa hai offerto di concreto alla collettività, a parte la tua fantastica intelligenza a costo e rischio zero?
…ecco, “a favore di telecamera”, tocchiamo anche questo punto. Tra i più addentro alle faccende di clubbing, fiocca più d’uno di “I vostri smartphone e le vostre foto potevate metterveli su per dove sapete voi, guarda cosa avete fatto”: bene, se c’è un modo per fare brutta figura agli occhi di una persona normale e ragionevole è questo. Ora: si sa che le foto e le riprese da certe angolazioni sono bastarde, che fanno intravedere assembramenti anche dove non ce ne sono, che sono carne data in pasto ai leoni in cerca ottusa di capri espiatori da sbranare. Ok. Ma è anche vero che dover “nascondere” quello che si fa è la spia che qualcosa che non va c’è. Si è consapevoli di questo? Può essere una scelta: ci sta. “Non mi piego ai moralisti, alle vessazioni dell’autorità“, eccetera eccetera. Però forse una pandemia mondiale non è il momento migliore per “sfidare” la legalità e/o le convenzioni. Questo dubbio bisogna porselo. Quindi l’idea di andare avanti “nascondendo” agli occhi dell’opinione pubblica esterna ciò che si fa era ed è una scommessa dalle gambe e dal fiato corto. Non si fa molta strada, affidandosi ad essa. E lo si è visto.
Bisogna insomma essere realisti. Bisogna capire la situazione in cui stiamo, e il clima che c’è. Un clima appunto di caccia alle streghe, superficiale e giustizialista, dove il nemico in questi giorni è attentamente scelto coi criteri peggiori possibili, ovvero quelli non strettamente scientifici e razionali: da un lato le discoteche (quindi il “divertimento”: bisogna soffrire, espiare, non-vivere…), dall’altro chi fa le vacanze all’estero (…e non all’estero in generale: in determinate località). Ecco, quest’ultima cosa è proprio la cartina di tornasole, non a caso anticipavamo che era un aspetto da approfondire: altro caso in cui basterebbe ragionare più a mente fredda per capire che qualcosa non quadra, nella grande fabbrica dell’indignazione. Visto che non si capisce secondo quale principio il CoVid sarebbe “meglio” se italiano invece che spagnolo, greco, croato o maltese; oppure si parte dal principio che Spagna, Grecia, Croazia e Malta siano un po’ “terzo mondo” quindi incapaci di fare una buona profilassi sociale (ma allora cosa si dovrebbe pensare dell’Italia, che a lungo è stato il paese più infetto al mondo e con la più alta percentuale di mortalità per Coronavirus? Che, siamo per caso affidabili noi?). Decisione insomma palesemente bizzarra, e soprattutto col sospetto di essere “ad orologeria” visto che colpisce i principali competitor nel mercato turistico (…la Francia, a quota 3000 nuovi contagiati al giorno rispetto ai 150 croati nel momento in cui scriviamo, non è misteriosamente nell’elenco: come mai?). Col corollario positivo che “rassicura” la parte più ottusa dell’opinione pubblica, indicando il pericolo in chi “non villeggia italiano” (sovranismo, alé!) e “fa la bella vita, andando all’estero” (quest’ultima posizione trascura la vergognosa situazione di assembramento in molti litorali e piazze italiane, inesistente ad esempio in Croazia con l’eccezione di alcune zone specifiche, guarda caso amate dagli italiani più caciaroni ed irresponsabili).
Non sappiamo cosa sarà in autunno. Non sappiamo cosa accadrà alla ripresa delle scuole e, a pieno regime, delle fabbriche e dei posti di lavoro. Non sappiamo se ci sarà un secondo lockdown. Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo attenerci alle regole di prudenza il più possibile, e soprattutto dobbiamo attenerci alle leggi. Anche quando le riteniamo sbagliate, anche quando abbiamo il sospetto – e se l’abbiamo, facciamo bene a discuterne – che certe decisioni siano prese per opportunismo politico populista e non per reale necessità sanitario-scientifica. Non crediate che la chiusura delle discoteche non abbia incontrato perplessità (alcuni presidenti di Regione erano scettici se non proprio contrari, ed è difficile pensare siano dei pazzi suicidi); mentre per quanto riguarda i tamponi di ritorno dall’estero, ci si è fatti sfuggire – dal responsabile sanità dell’Emilia Romagna – che lo stesso Speranza li considera più una utile “indagine epidemiologica” che una reale urgenza sanitaria (ma bisogna entrare nel paywall di Repubblica.it per leggerlo).
Meno indignazione, meno populismo, meno giustizialismo. Più sangue freddo. Più idee. Più solidarietà, collaborazione, trasmissione di conoscenze ed opportunità. Tutti. Nessuno escluso. Così ne verremo fuori, prima e meglio. Perché lo spettacolo dato negli ultimi giorni è davvero quello di un Italia molto, molto peggiore di quello che potenzialmente potrebbe essere. E di quello che fa meglio a tornare ad essere, altrimenti sono cazzi amari per tutte e tutti.