Uscito il 13 gennaio, in un venerdì che prevedeva in contemporanea anche le uscite di Bonobo e The xx, “Rennen” secondo album di SOHN continua a brillare letteralmente di luce propria anche a distanza ormai di due mesi – forse anche meglio dei due nomi che con lui sono usciti quel giorno. Un seguito riuscitissimo per questo artista londinese, che da Londra è scappato quasi con astio per rifugiarsi e sbocciare prima a Vienna e poi a Los Angeles, dove nel contempo ha messo su famiglia. Dopo un lungo corteggiamento siamo riusciti a intervistarlo per parlare del suo modo fare musica, di Londra, del suo nuovo album e di come sia un disco perfetto per la notte se ascoltato con una luce soffusa.
Da Londra a Vienna e poi Los Angeles: cosa ti porti dietro di questi posti (non solo nella tua musica)? Immagino che Los Angeles prima di tutto significhi la nascita di tuo figlio…
Da Londra prendo il “mood” competitivo: è davvero una città dove il più determinato vince. Di Vienna porto con me esattamente l’opposto, la necessità di concentrarsi interiormente e riflettere per allontanarsi dalla gara. Los Angeles per me è invece il compromesso tra entrambe, la California è un buon posto in cui rifugiarsi e vivere e si certamente è dove ho messo su famiglia. Sarà sempre casa per questo motivo.
Il modo in cui ti approcci la musica sembra quello di un giovane cittadino del mondo con un fare un po’ naif. È una mia impressione o è davvero così ?
E’ totalmente cosi, non ho viaggiato molto fino ai venticinque anni e da allora ho divorato queste nuove esperienze ogni volta che ne ho avuto l’occasione.
Cosa ascoltavi quando vivevi a Londra? E come una città come Londra può aver influenzato il tuo ultimo lavoro o il tuo background artistico? Ho letto in molte interviste che parli sempre con tristezza di quel periodo come se ti ricordasse un’idea di fallimento: perché?
Ero giovane, ascoltavo Radiohead, Björk, Jeff Buckley e volevo essere semplicemente un musicista. Londra è veramente spietata con chi vuole fare il musicista, non sapevo da dove cominciare, cosa dovessi fare per diventare un musicista a tempo pieno e il risultato è stato che per anni ho buttato il mio potenziale. Ultimamente, quando riguardo indietro penso che forse quello che stavo facendo era solo spazzatura (ride, NDI).
“Rennen” il tuo nuovo album è molto più “stiloso”, elegante e meno malinconico se paragonato a “Tremors” e mi dà la sensazione sia più una questione di cuore che di testa: è un album emozionale credo, no?
Grazie! Sì, i propositi erano quelli, provare a bypassare la mia mente, volevo fare un disco sull’istinto e la velocità e, insomma, spero sia successo.
“Rennen” vuol dire correre; è un’analisi aperta del mondo e della vita su di esso da un punto di vista introspettivo?
Sì, lo è diventato però per caso, tutte le volte che scrivo escono le mie osservazioni su come mi sento relativamente a ciò che sta succedendo nella mia vita, o come nel caso di questo album nel mondo.
Mi piace davvero tutta la parte delle percussioni di questo album, un accompagnamento minimale per ogni crescendo: credo sia uno dei fattori più importanti di questo album, ho ragione?
C’era l’obbiettivo preciso di tenere i pezzi un po’ più spogli rispetto a “Tremors”, per lasciare gli elementi di base liberi di brillare un pochino di più e di poter reggere bene anche da soli. Il risultato è che ne è venuto fuori un disco molto fisico, puoi sentire la stanza in cui l’ho registrato perché di quella stanza ho registrato tutti gli elementi, le voci, percussioni. Puoi sentirci davvero lo spazio fisico dove è stato registrato, credo sia davvero importante per il mood che volevo avesse il disco.
In alcuni passaggi il modo in cui hai prodotto le percussioni di “Rennen” mi hanno ricordato le Ibeyi; ascolti nu soul c’è qualcuno in maniera particolare che ti ha inspirato?
In realtà amo quel disco delle Ibeyi! anche il mio amico Jamie Woon sta facendo qualcosa di molto interessante con il soul.
La tua musica è ricca ed essenziale allo stesso tempo e dà l’idea di essere suonata da un’orchestra: come nasce un pezzo come “Still Waters”, sei partito da qualcosa di classico?
No, amo molto Ravel e Debussy e questo è quello che al massimo mi può avvicinare alla musica classica. Credo tu ti riferisca a come molto spesso la mia musica curvi poi salga e discenda, qualcosa di abbastanza sinfonico in realtà. Mi piace avere il controllo su questi meccanismi sia a livello dinamico che melodico.
Mi sembra che la tua elettronica si sia in qualche modo evoluta: “Hard Liquor” può facilmente finire sul dancefloor, magari con un sottilissimo remix.
Si è un pezzo figo, l’intera linea di drum è stata una sessione live che ho fatto suonando in giro con la drum machine,non ci sono automazioni furbette o altro, solo interazione fisica con la macchina. Era già davvero forte di suo, non ho davvero aggiunto niente altro di pesante a quel pezzo. La title track è costruita su di una complessa architettura, sebbene sia maggiormente fatta da piano e voce.
La complessità la dà la tua voce, sei davvero un ottimo cantante hai studiato duramente per arrivare a questi livelli?
Oh grazie! Sono un autodidatta, nel senso che ho ascoltato davvero tanta, tantissima musica e cantato ogni singola nota fino a che non ero capace di rifarla uguale. Ricordo di aver cantato le canzoni di Jeff Buckley per ore, fino a che non sono riuscito a fare anche le parti più difficili.
Mi piace pensare che ogni album sia fatto per un ascolto in un particolare momento del giorno: secondo me “Tremors” suonava molto notturno. Qual è il momento migliore per Rennen, invece ?
Non ne sono così sicuro ora… Immagino “Tremors” come un album da camminata notturna, mentre “Rennen” è più di un album notturno: è più una cosa da ascoltare seduti con la luce soffusa.
Adoro la cover di questo album. So che hai scelto “Rennen” come titolo anche per come suonava la parola stessa, hai lavorato anche alla copertina?
Si l’ho fatto, ho collaborato con questo incredibile designer messicano Daniel Castrejon, il suo stile è proprio quello che stavo cercando e abbiamo lavorato e rilavorato rifinendo l’idea che avevamo di partenza finché non è nata la copertina. L’amo molto anche io.
English Version
On January 13th some very special pearls were released: “Migration” by Bonobo, “I See You” by The xx and “Rennen” by SOHN. The last one is a brilliant diamond that still shines after two months since the release. An amazing sophomore for this Londoner who found his artistic success while living in Wien and who’s now with his family in L.A. We had the opportunity to talk with him about his new album, to discover that it perfectly fits a very special nightime chilling.
From London to Wien to Los Angeles: what do you keep with you from these places (not only in your music)? I suppose that Los Angeles first of all means the great joy of a son…
From London I keep the competitive motivation (it’s very much a city where the most determined succeed). From Vienna I take with me the opposite, the need to focus inwardly and reflect, to get away from the race. Los Angeles for me is a balance of the two, California is a beautiful landscape to live in, and of course where my family has been created. It will always be home because of that.
The way you approach to music is the one of a young citizen of the world, with a naif attitude. Is it just an impression or is this your real attitude?
That’s totally my attitude. I didn’t travel much until my mid-twenties, and since then I’ve been devouring new experiences whenever I get the chance.
What did you listen to when you lived in London? How did this city influenced your last work or, at least, your artistic background? I read in many interviews that you often talk with harshness about London, as if it reminds you the idea of failure. Why?
I was young, listening to Radiohead, Bjork, Jeff Buckley, and wanted to be a musician. London is very unforgiving for wannabe musicians – I had no idea where to start, what I should do to become a full-time musician, and as a result for many years wasted my potential. Ultimately when I look back, I think maybe what I was making was just garbage, haha.
“Rennen”, your new album, seems to be more classy and a little less moody if compared to “Tremors”, and it makes me feel like there’s more heart than brain in it; it’s an emotional album, isn’t it?
Thank you! Yes I purposefully attempted to bypass my brain on this record. I wanted the record to be about instinct and speed, and I hope that’s what I achieved.
“Rennen” means “run”; is it an open analysis of the world and the life on it, seen from an introspective point of view?
It became that yes, by accident really. Every time I write it seems to come out as my observation of how I feel about what is going on – in my life or, in the case of this album, more in the world.
I really love everything about the percussions, a minimal accompaniment to each crescendo; I think that this is one of the most important thing in this album. Am I right?
There was a definite aim this time to keep the tracks a bit more bare than on Tremors, in order to let the foundation elements shine through a little more, and stand on their own two feet. The result became this very physical record, you can hear the room it was recorded in because I recorded the room, each element – voice, percussion, you can hear the physical space it was recorded in and I think that’s important for the mood of the record.
Sometimes the way you use percussions reminds me to Ibeyi; do you listen to nu soul? Is there anyone in particular who inspires you?
Actually I do love that Ibeyi record! Also my friend Jamie Woon is doing something very interesting with soul right now.
Your music is rich and essential at the same time and it gives the idea of something made by a full orchestra. How did you write a track like “Still Waters” ? Did you start from anything “classical”?
I didn’t – I really love Ravel and Debussy but that’s about as close as I get to classical music… I think what you’re referring to is the way sometimes my music drifts and rises and falls, which is quite symphonic. I love controlling the mood with rises and falls. Both dynamically and melodically.
It seems that your electronic sound has evolved… “Hard Liquor” can easily fit the dance floor, (maybe with a soft remix) Is it right?
Yeah it’s just a nasty tune! The entire drum track was one big live take I made playing around with a drum machine – no clever automation or anything, just physical interaction with the instrument. And that was so strong on its own, I added hardly anything else to the song.
The title track is built upon a complex architecture, although it’s mainly made by voice and piano: complexity is in your voice, and you are a very good singer, Do you study hard?
Thank you! I self-studied but what I mean by that is; I listened to lots and lots of music and sang every note until I was capable of singing the same. I definitely remember singing Jeff Buckley songs for hours until I could do the more difficult parts.
I’m used to think that every album I listen to fits perfectly a certain time of the day: “Tremors” sounds very nocturnal. What’s the right moment to listen to “Rennen”?
I’m not sure actually… I imagine Tremors to be a night-time walking album, but Rennen is more of a night-time, sit down and listen on speakers by lamp-light kind of record.
I adore the cover of this album. I know that you choose “Rennen” as a title also because of the way this word sound… Did you also work at the artwork?
I did, I collaborated with this incredible designer Daniel Castrejon from Mexico as his style was exactly what I was looking for – and we worked and worked and refined the idea until this cover was born. I love it too.