Dall’uscita di “Phantom Delia” su Comèmè, il nome di Lena Willikens è diventato uno dei più pronunciati sulla bocca di addetti ai lavori e non. Il numero delle sue esibizioni si è moltiplicato vertiginosamente e questo anche grazie alla qualità impareggiabile dei suoi set. Una maestria e weirdness di selezione che si è andata formando nella scuola del Salon Des Amateurs di Dusseldorf e che l’ha portata ad essere degna rappresentante di un suono oscuro, ridondante, ipnotico e catartico (d’altronde ne siamo stati testimoni in prima persona durante il roBOt e Dancity nelle edizioni passate). Con un sentimento ambivalente nei confronti del genere umano e del pensiero egocentrico, la konigin Willikens ci ha parlato di come la mescolanza tra culture sia il punto più importante per la creazione di un qualcosa di tangibile, tralasciando contesti e luoghi, e dell’importanza della condivisione.
Residente a Colonia, ma cresciuta artisticamente a Dusseldorf…la stessa città di Wim Wenders, Kraftwerk e culla del kraut. Una città interessante in cui muovere i tuoi primi passi. In che tipo di ambiente ti sei ritrovata a quel tempo?
Sono nata a Stoccarda e mi sono poi spostata a Dusseldorf per studiare belle arti alla Kunkstakademie. Quest’accademia aveva davvero una buona reputazione e perciò aveva un ampio respiro internazionale ed era un posto da cui molti degli impulsi musicali della scena di Dusseldorf son venuti fuori. Tutti i più importanti club e producer di Dusseldorf (dagli anni ’70 ad oggi) erano connessi all’accademia. Perciò dopo essermi spostata qui ho iniziato ad esplorare il krautrock, il punk, la Neue Deutsche Welle e quindi la scena locale. Con un gruppo di sei amici dell’accademia, ho iniziato ad organizzare dei raduni di tipo illegale, spontaneo e non-profit all’interno dell’accademia e in altre zone della città. Avevamo un bar mobile su rotelle chiamate “Neo Bar” ricavato da un cassonetto della spazzatura ed io avevo in carico l’onere di selezionare la musica (il che non aveva nulla a che fare con il djing). Collezionare dischi e selezionare musica per le diverse occasioni quindi fa parte della mia vita da quando ero una teenager, anche se a quel tempo il fuoco delle mie intenzioni era legato alle belle arti.
Non possiamo permetterci di non menzionare “the Salon”. La tua “carriera” all’interno è iniziata dapprima come “buttafuori”, poi dietro il bar e ancora più lontano nel tempo dietro i piatti. Hai fatto parte dagli albori della crescita di uno dei nuovi punti fondamentali della scena club europea. C’è una particolare estetica e frenesia legata al Salon che porti nella tua musica?
Quando Aron Mehzion e Detlef Weinrich, studenti e miei intimi amici, decisero di aprire il Salon Des Amateurs, il mio contributo si è sempre più spostato nei confronti della musica. Il Salon era un posto in cui la professionalità lasciava il campo alla passione e alla definizione di un luogo in cui ritrovarsi e condividere buona musica. Ed è accaduto…il venerdì ho iniziato a portare avanti le mie serate e a comprendere come mantenere un dancefloor vivido. Non credo ci sia un suono particolarmente definito per il Salon, ma sicuramente una certa attitudine che i resident del Salon come Detlef Weinrich (Tolouse Low Trax), Vladimir Ivkovic e Marc Matter (Durian Brothers) mi hanno trasmesso. Diversità, sorprese, weird-morphings da un mood ad un altro all’interno dei set, suonando roba che non ci sarebbe mai aspettata in un contesto da club come quello.
Il tuo scheduling sta diventando più stretto di una camicia di forza. Il tuo nome è associato ai migliori festival e club in tutto il mondo. Durante il tuo peregrinare hai trovato posti in Europa o nel mondo che hanno il potenziale di essere un nuovo punto di riferimento culturale ed artistico?
Questa è una domanda difficile! Ci sono differenti posti dove puoi sentire una certa libertà e diversità, che rappresentano le premesse più importanti per individuare che qualcosa può succedere in quel luogo. Per citarne alcuni tra i club in cui la logica del profitto non è il motore principale, penso al Golden Pudel ad Amburgo o il Forest Limit a Tokyo, o nel caso dei festival come il Tracks o il Gathering Festival. Alla fine non credo che sia legato tutto ad uno specifico luogo o venue – credo che sia legato a persone in tutto il mondo che cominciano ad essere sempre più interessati alla diversità culturale ed iniziano a lavorare insieme.
Ho avuto l’opportunità di ascoltarti diverse volte, dall’outdoor stage del roBOt e del Dancity, all’accogliente stanzetta del Kode_1. Spazi e tempi diversi in cui suonare. Le cronache ci parlano di set over-night leggendari durante il periodo del Salon ed adesso sei costretta in tempi ben definiti in ragione del tuo scheduling. I tuoi set sono affetti dal concetto di spazio e tempo?
Quando preparo un set, mi faccio sempre domande del tipo: quant’è la capacità del posto, quanto è lungo il mio slot, in che orario suono e chiaramente in che condizioni è il pubblico che mi trovo ad affrontare e quale tipo di sostanze girano. C’è un enorme differenza nel suonare per una dancefloor da MDMA rispetto ad uno in in cui la ketamina la fa da padrone. Una volta suonavo all’://about: blank e c’erano dieci ragazze polacche in acido che ballavano come selvagge ed erano matte, questo era chiaramente imprevedibile ma ha condizionato la mia maniera di suonare!
Potremmo introdurre il termine Lenaestetick nel vocabolario musicale: il tuo stile sembra essere un connubio tra elementi percussivi tribali e melodie eteree, tutto fasciato in una atmosfera densa e cupa. Come un qualcosa che si sposta dal materiale al suo contrappunto. Hai questo tipo di approccio nella vita e cerchi di portarlo nei tuoi set? Cosa aggiunge e definisce l’oscurità nei tuoi set? Perché c’è n’è tanta…
Credo che la tua visione del mondo e il tuo carattere si riflettono su quello che suoni e la maniera in cui lo fai ed anche sulla musica che produci. Sono una persona pessimista ed arrabbiata. L’essere umano non mi piace molto, ma al contrario mi piacciono molto i differenti tipi di output culturali che escono dagli uomini. Lo so, è una contraddizione ma è come se fluttuassi tra la rabbia e l’ammirazione. Il mio mood può cambiare facilmente e in maniera imprevedibile. Credo tu lo possa ascoltare chiaramente nei miei set!
Ho letto di un’esperienza in cui ti trovavi a condividere la stessa venue con DJ Koze e che a tempi diversi ma molto vicini, suonaste lo stesso pezzo e che non avresti mai più toccato quella traccia. Come mai questo tipo di atteggiamento? È legato alla tua anima solitaria di crate digger o alla necessità di alzare sempre l’asticella della qualità dei tuoi set?
Non voglio annoiare la gente e di certo non voglio annoiare me stessa! E per me, suonare in maniera “sicura” risulta noioso. Ho bisogno di adrenalina quando suono ed è più eccitante e stimolante quando provo a suonare roba che è lontana dal contesto del club! Poi è tutto da vedere perché potrei azzerare il floor oppure creare qualcosa di molto speciale…questo rappresenta un motore per me ed è chiaramente legato allo spirito del Salon, da cui non riesco a staccarmi, ehehe.
“Phantom Delia” è stata la tua prima release ufficiale, ma al contempo hai diversi progetti paralleli come Titanoboa o le sonorizzazioni di cui ti abbiamo vista protagonista durante il roBOt Festival. Arriverà un tempo in cui fermerai i piatti per concentrarti su questi progetti?
Ho suonato davvero tanto dopo l’uscita di “Phantom Delia” nel gennaio scorso, e questo mi ha portato a dover abbandonare il progetto Titanoboa, il che non è stato facile, ma non si può avere tutto. Non ho avuto più tempo per le sessioni di prove con i Titanoboa e nemmeno per le mie sessioni di studio, ma non ho alcun rimorso per aver girato così tanto nel 2015. Per quest’anno ho deciso di suonare un po’ meno per potermi concentrare sulle mie produzioni, sul progetto delle sonorizzazioni e sulle performance con Sarah Szczesny che ha prodotto la serie di video legata a “Phantom Delia”. Per rispondere alla tua domanda: al momento non riesco nemmeno ad immaginare di fermare i piatti – impossibile!
Credi che ci sia una “questione femminile” nell’industria musicale e specificatamente nella club culture? Dovrebbero esserci maggiori iniziative come “female pressure” di Electric Indigo ed esiste una questione di genere?
È un argomento su cui si è assolutamente in ritardo, ma al momento sento che sempre più promoter e altra gente della scena stanno prestando attenzione a questa malattia del sistema che è eccessivamente contaminato da testosterone. Questo anche grazie al lavoro di piattaforme come “female pressure” che persistono da anni nel puntare l’attenzione su questa noia monodimensionale (ed anche sulla perdita di molti talenti!). C’è ancora molto da fare, ma in questo caso sono eccezionalmente ottimista. È fondamentale che si passi dal liberarsi dell’ego dei dj al supportarsi l’un con l’altro. E, naturalmente, essere consapevoli che la disomogeneità (e non sto parlando solo di genere) è ancora un problema, anche se sempre più artisti femminili appaiono sulla line up di festival, ecc. Sono consapevole del fatto che sono stata abbastanza fortunata per quello che ho vissuto finora, ma naturalmente la misoginia è ovunque, non solo nella club culture!
Possiamo aspettarci un album di Lena nel prossimo futuro?
Sono super lenta…e anche a causa del fatto che ho girato molto per suonare, non ho avuto tempo da dedicare in studio. La mia prossima release sarà un EP di remix su “Huntleys&Palmers” che uscirà a breve. E ci sono altre richieste di remix sulle quali sto lavorando. Un album dovrà aspettare ancora un po’.
C’è qualcosa in particolare che in questo momento ti sta ispirando?
Ho letto “Empire of Signs” di Roland Barth. Il libro parla di cultura giapponese e sono rimasta profondamente colpita dal modo in cui Barth si stacca dalla visione presuntuosa eurocentrica, che purtroppo determina il confronto in ogni ambito – nella musica, le belle arti, la politica, ecc. Roland Barthes esprime fascinazione, curiosità e profondo rispetto per la cultura giapponese all’interno di ogni frase. Vorrei davvero che questo tipo di interazione tra culture diverse e questo modo di gestire l’ignoto fosse la norma. Sarebbe un mondo più pacifico di sicuro.
Puoi darci una lista su cinque punti delle tracce a cui sei sentimentalmente più legata?
Doris Norton “Warszawar”
Crass “Walls”
Holger Czukay & Jah Wobble & Jaki Liebezeit “How Much Are They?”
The Flying Lizard “Steam Away”
Crash Course In Science “Flying Turns”
Facendo queste classifiche sento sempre la difficoltà di non poterne nominare altre…
P.S: se noi non siamo la specie più importante al mondo, chi/cosa?
Ahhh un momento, devo correggere questa cosa! Ho detto che “gli uomini non sono la più bella specie al mondo”, ma siamo quella più potente, aggressiva e distruttiva esistente. Questo è sicuro.
English Version:
Since the release of “Phantom Delia “(Comèmè), Lena Willikens’s name has become one of the most pronounced in the mouths of experts and not. The number of her performances has increased dramatically and this thanks to the unrivalled quality of her djing skills. Weirdness and surprises in her way to play, forged in the school of the Salon Des Amateurs in Dusseldorf, has led her to be worthy representative of a dark, redundant, hypnotic and cathartic sound (and we have been first-hand witnesses during roBOt and Dancity festival in their past editions). With an ambivalent feeling towards the human race and of egocentric thinking, Konigin Willikens spoke of how the mixture of cultures is the most important point for the creation of a something tangible, ignoring contexts and places, and the importance of sharing.
Born and resident in Cologne, but raised artistically in Dusseldorf…the same city of Wim Wenders, Kraftwerk and obviously kraut. A nice city where move your first steps. What kind of environment did you find at that time?
I’m actually born in Stuttgart and moved to Düsseldorf to study fine arts at the Kunstakademie. This Art Academy had a really good reputation and therefore it was super international and the place where a lot of impulses for the musical scene in Düsseldorf came from. All the important Düsseldorf clubs and most of Düssedlorfs producers and bands (from the 70s till now) were and are related to the Art Academy. So i began right after i moved there with exploring the former Krautrock, Punk and NDW scene but also the current music scene in Düsseldorf. With a group of six friends from the Art Academy i started to organize kind of illegal, spontaneous, non profit gatherings at the academy and randomly other places in the city. We had a mobile bar called „Neo Bar“ with wheels from a waste container and i was in charge of the music (which had nothing to do with djing back then.). But collecting records and selecting music for different occasions was part of my life since i´m a teenager, even though my main focus was on fine arts back then.
We can’t avoid talking about “the Salon”. Your “career” started being a bouncer, then behind the bar and late on the decks, you took place in the raise as a new European hotspot of a different sound. Is there a peculiar Salon frenzy and aesthetics that you bring in your music nowadays?
When Aron Mehzion and Detlef Weinrich, two fellow students and close friends of mine, opened the Salon Des Amateurs my focus began more and more to shift towards music. Salon was a place where it wasn’t about professionality but about passion and about gathering and sharing good music. And It just happend that i started to run my own friday nights there and learned somehow to keep a dancefloor vivid. There is no particular Salon sound, but there was definitely a certain attitude of the Salon residents like Detlef Weinrich (Tolouse Low Trax), Vladimir Ivkovic and Marc Matter (Durian Brothers) which influenced me. Diversity, surprises, weird morphings from one mood into another within the sets, playing stuff you would never expect to hear in a club context.
Your scheduling is becoming tighter than a straitjacket. Your name is associated with best clubs and festivals worldwide. Did you find a place in Europe or elsewhere that has the potential to be a new cultural reference in music and art?
That´s a difficult questions! Of course there are a lot of places where you can feel a certain freedom and diversity, which are the most important premises for something interesting to happen. Clubs where the monetary profit is not the motor, like for example Golden Pudel in Hamburg or Forest Limit in Tokyo or non-profit festivals like Traxs The Gathering festival, just to name a few. But it´s not so much about a certain place or venue – it´s about people all over the world who start to be more and more interested in cultural diversity and start to connect and work together.
Linked to Salon and to your tight scheduling. I got the chance to listen you facing different kind of venues, from the outdoor stage at Dancity and roBOt passing in the cozy Kode_1 room. Different venues in time and space. The chronicles tell us about legendary extended dj-set in the Salon and now you are forced to play in restricted times. Did your set is affected by the concept of time and space?
When i prepare a set, i´m of course always considering questions like: what´s the capacity of the venue, how long is my set, what time do i play and of course also in which condition might the crowd be? What kind of substances might rule there? It´s a huge different if you play for a mdma dancefloor or a crowd of ketamin heads or whatever. once i played at about blank in Berlin and i had 10 polish girls on acid dancing wild and going nuts – this was of course unforeseeable, but it had a big impact on how i played!
I think that a new term should be introduced in the music dictionary and it is Lenӓsthetik. Your style seems to be a good contrast between percussive-tribal bouncing and ethereal ghostly-melodies, all wrapped in a dense obscure atmosphere. Like something between material and its counterpart. Do you have this kind of perception of the life and you try to put it in your set? Moreover, what is the value of the dark side in your music? What does it add? Because it has a great part in it.
I think your view on the world and your character is reflected in how and what you play and what kind of music you produce. i´m an angry and pessimistic person. I don´t like human beings so much, but i really like a lot of different cultural outputs of them. this is a kind of contradiction – i´m floating between anger and admiration. My mood can change quite easily and unpredictable. I think you might hear this in my sets as well!
I read of a little experience about a record (summer hit) played by you and that you would not touch that record anymore. Why this kind of feeling? Does it link to your devoted and solitary crate digger soul or you got a proof that it’s worth to raise the bar of your set?
I don´t want to bore people – and of course i don´t want to bore myself either! And it is definitely boring for me to play „safe“. I need some adrenalin while playing and it´s more exciting and challenging if i play a track which might be played the first time in a club context. Then i really don´t know how it works and if i might clear the floor or create a very special moment… This is a kind of motor for me and also Salon spirit, which i can´t get rid off, hehe.
“Phantom Delia” was your first official release, despite “High Holes” track, and also you have different side projects like Titanoboa or the soundtrack project that you displayed at roBOt last year. There will be a time in which you would stop the decks in order to focus on these projects?
I played quite a lot since my „Phantom Delia“-EP came out on Cómeme last january, and therefore i had to stop being part of Titanoboa, which wasn’t easy, but you can´t have everything. I simply had no time for regular rehearsal room sessions with titanoboa anymore, and it wasn’t easy to find the time to work on my productions in the studio either, but i definitely don´t regret that i toured so much in 2015!! for this year, i decided to play a little bit less in order to be able to focus on my own productions, on soundtrack projects and performances together with Sarah Szczesny, who produced the “Phantom”-video-series for my EP. But to answer your question: at the moment i couldn’t imagine to stop djing totally – no way!
Do you think that there is a “female question” in the music industry, especially in the club and electronic music scene? Do you think that there should be more initiatives like Electric Indigo’s “female pressure” and that there is effectively a gender issue? What would be your effort? Have you ever experienced troublesome episodes in this sense?
It was of course absolutely overdue, but i feel that at the moment more and more promoters and other people in the scene become aware of this disease of the electronic music scene, being overly testesteron contaminated. That´s also due to the work of platforms like „female pressure“which persistently pointed out this one-dimensional boredom (and waste of talents!!) for many years. Still there is a lot to do, but in this case I’m esceptionally optimistic! It´s more than important, to get rid off DJ egos and to support each other! And of course to be aware that inhomogeneity (and i´m not only talking about gender) is still an issue, even though more and more female artists appear on festival line-ups etc. I´m aware that i´m quite lucky with what i experienced so far, but of course you face misogyny everywhere, not only in club culture!
We could expect a Lena Willikens album in little time?
I´m super slow … and due to the fact that i played and toured so much, i hadn´t much time for the studio! my next release will be a Remix-EP coming out on Huntleys&Palmers soon. And there are some more remix requests which I´m working on. An album has to wait a little bit!
What would be Lena’s music and ethos in art? Whatever you mean for art (movie, books, paintings, songs, surroundings).
I don´t get your question…hmmm – what do you mean? Maybe i just talk about what impressed me recently: i read “Empire Of Signs” by Roland Barth. The book is about Japanese culture and i was deeply impressed by the way Barth could avoid the eurocentric presumptuous view, which you are unfortunately confronted with all the time – in music, fine arts, politics etc. Roland Barthes fascination, curiosity and deep respect for Japanese culture was within every sentence. I really wish that this kind of interaction between different cultures and this way of handling the unknown would be the norm. It would be a more peaceful world for sure.
Could you give me a five-point chart of your best sentimental tracks?
Doris Norton “Warszawar”
Crass “Walls”
Holger Czukay & Jah Wobble & Jaki Liebezeit “How Much Are They?”
The Flying Lizard “Steam Away”
Crash Course In Science “Flying Turns”
Doing these charts, i always get bad conscience for all the other great tracks i didn´t name!
P.S: If we are not the most important species of the world, who/what?
Ahhh one moment – i have to correct this! I said, „that human beings are not the most beautiful species on earth“ But we are the most powerful, most destructive and most aggressive species on earth – that’s for sure!