Nel titolo siamo anche gentili, via. Al posto di “inadeguatezza” si poteva usare altro, ma non sarebbe stato carino verso il rango e il lustro dell’istituzione che Franceschini rappresenta, pur sempre insomma un Ministero della Repubblica, e non il Circolo del Bridge o una sezione locale del Rotary. Anche se ogni tanto, beh, hai come l’impressione sia gestito come questi ultimi. Nel mentre che ancora non sono chiare a quali regole deve sottoporsi la musica live per quanto riguarda i concerti “in piedi”, addirittura nemmeno si sa se si possano fare o meno o comunque tutto è delegato alla giungla delle autorizzazioni locali (nulla è cambiato da quando scrivevamo questo, e la data del 31 marzo si avvicina: per l’ennesima volta si lascia tutto in una “zona grigia”, per paura, per comodità, per opportunismo, o magari chissà per prudenza), il buon Dario ha avuto uno scatto d’orgoglio e si è detto “Accidenti, devo fare qualcosa pure io per la drammatica situazione che sta vivendo l’Ucraina”.
L’idea volendo è pure buona: finanziare delle residenze d’artista, per artisti ucraini. L’esecuzione è stata questa – riportiamo il post ufficiale, così potete tutti giudicare:
Alcune considerazioni sparse. Quello della Cultura è uno dei Ministeri che, da sempre, più piange miseria; ma se c’è la beneficenza di mezzo a favor di (drammatica) attualità, far spuntare dal nulla una fiche da due milioni di euro non è evidentemente così difficile (così come non è difficile far spuntare dei fondi pantagruelici per quella porcata di It’s Art, che era una porcata quando ne scrivemmo e – purtroppo, perché non siamo contenti di esserci trovati nel giusto – continua ad essere una porcata ancora adesso, nel vedere il rapporto tra investimenti, realizzazione, rilevanza).
…però ecco, magari non è il caso di farne una lotta fra poveri. Non è che se gli artisti italiani stanno male, allora ogni forma di appoggio ed aiuto agli artisti ucraini – che di sicuro ora se la passano peggio sotto tutti i punti di vista – è da bandire. Anzi. Ma di nuovo, ci ha pensato il buon Dario, con la sua visione sempre più scopertamente elitista e di “rendita di posizione” sulla cultura, a risolvere il problema: per evitare che sia una “lotta fra poveri”, Franceschini ha direttamente eliminato i “poveri”. Genio! Guardate bene l’elenco di chi sarà il destinatario del gettone da 100.000 euro per organizzare una residenza d’artista: è praticamente il who’s who degli enti in Italia già beneficiari di cifre spaventose a livello di contributi, tutta realtà insomma che possono serenamente permettersi (uno) di operare non a regime di mercato e (due) che rientrano nell’aristocrazia delle relazioni e degli agganci politici.
Per carità: non vogliamo dire che l’unica cultura degna è la cultura che si ripaga da sé e che riesce a “stare sul mercato” (è un modo pericoloso di pensare pure questo: impresa e cultura possono incrociare le strade ma non sono la stessa cosa e non devono diventarlo). Ma una scelta così scientifica di realtà grosse e consolidatissime, a nostro modo di vedere rientra solo ed esclusivamente nella visione puramente “da spot” che si ha della cultura in Italia e che con Franceschini si ha evidentemente ancora di più: ovvero, una specie di costoso e chic fregio di famiglia che serve a fare bella figura nelle cene di gala della buona società. Altrimenti è una faccenda del tutto inutile e trascurabile, se non dannosa.
D’altro canto anche l’altra forma di vicinanza al popolo ucraino sempre del nostro Ministero della Cultura è stata molto “da spot”: come ricordato in questo post stesso sopra citato, parliamo del farsi avanti per ricostruire il Teatro di Mariupol – e di farlo nel momento in cui il suddetto teatro era nei telegiornali di tutto il mondo. Ok, bello il gesto simbolico, attenzione, e in realtà fosse stato fatto solo quello – anche a livello così esplicito di “rappresentanza + notiziabilità” – lo avremmo trovato anche un’apprezzabile scelta. In parte lo resta, apprezzabile, sia chiaro; però ecco, l’impressione che il nostro Ministero della Cultura agisca, si agiti e si faccia notare solo quando c’è da soddisfare chi è già tutelatissimo da generazioni o quando c’è da apparire nei telegiornali, è sempre più persistente.
Per tutto il resto, c’è It’s Art. Forse.