Quella che fino a qualche tempo fa rappresentava una delle tappe fondamentali di una carriera artistica, se non un vero e proprio punto di arrivo, è, ad oggi, un fatto all’ordine del giorno. Sto parlando, ovviamente, della stesura di un album. Figlio di un mercato ormai saturo e costellato da release spesso e volentieri mediocri (colgo l’occasione per ringraziare, ancora una volta, il mercato digitale), questo fenomeno è stato accolto, almeno in un primo momento, in modo molto positivo, salvo poi trasformarsi in qualcosa di – diciamocelo – noioso. Il tutto può tranquillamente riassumersi in una semplice domanda: perché sforzarsi a tutti i costi di dire in sessanta minuti quello che, verosimilmente, si è in grado di trasmettere al più con tre tracce e un remix? Un amico con cui ho la fortuna di parlare di musica tutti i giorni mi ha detto, senza usare giri di parole, che si tratta dell’ennesima moda. Il sospetto che non abbia tutti i torti c’è, e il sempre crescente numero di performance live e di musicisti (o pseudo tali) che si accostano alla musica da ballo ha fatto sì che il fenomeno esplodesse definitivamente.
Grazie al cielo, però, esistono eccezioni e “In My Factory” di Leon è una queste. Le tredici tracce contenute in questa raccolta, infatti, hanno parecchie cose da dire, svelando i diversi aspetti di un artista completo e dalle molteplici sfaccettature. Leon, fortunatamente, non si è fermato alle vincenti “Like This, Like That” e “Body Monster”, ma si è messo in discussione tirando fuori quel “qualcosa in più” capace di elevarlo da semplice meteora a vera e propria star del movimento tech-house. Sin dal brano di apertura, nato dalla collaborazione con Andre Butano, è chiaro che “In My Factory” non è esclusivamente orientato al dancefloor, e i suoni e i campioni che caratterizzano tutti i lavori dell’album vogliono essere uno specchio della vita reale: voci, campane, applausi e canti ossessionati rappresentano un taglio trasversale tra i diversi generi che colorano la musica di Leon.
Le interessanti collaborazioni scelte da Leon, su tutte quelle con Toky, Stefano Testa e lo stesso Butano, consentono a “In My Factory” di liberarsi da quei paletti che solitamente imprigionano gli artisti di questo livello. Le voci di Lara Martelli e Coni, rispettivamente in “My Breathe” e in “Prophet Style”, donano poi alla raccolta quei sentimenti che le eccellenti “I’m So Guilty”, “It’s Time To Load”, ma soprattutto “Supersonic” (sia nella sua veste originale che nel remix confezionato da Franco Cinelli), hanno accantonato in favore di quella “presa sulla pista” che caratterizza da anni i set del dj abruzzese.
Si tratta, l’avrete capito, di un viaggio round-around e “Rain In My Soul”, ultima traccia dell’album, chiude il cerchio aperto idealmente con “My Dreams”. A questo punto non mi resta che augurarvi buon ascolto.