“La verità? Le prime quattro edizioni sono state tutte in perdita. Tutte. Tant’è che eravamo ad un soffio dal portare i libri in tribunale. Ma abbiamo resistito, anche i nostri finanziatori e le banche hanno creduto in noi. La quinta edizione è stata un successo tale che in un colpo solo abbiamo pagato la metà dei debiti accumulati. Quest’anno, occhio e croce siamo riusciti a fare lo stesso numero di presenza dell’anno scorso, quindi male non dovrebbe essere andata”. Ecco. Arrivi in Belgio, la terra dei festival (le Fiandre, in particolare, hanno una tradizione + un sistema di promozione a network per i festival assolutamente eccezionale), pensi che vada tutto bene, sia tutto bello, sia tutto facile. Va bene: sì. E’ bello: sì. E’ facile: per niente, parlando con uno degli organizzatori dell’Extrema Outdoor Belgium (è suo il virgolettato) abbiamo capito che anche lì creare dei festival è un mestiere complicato, dove non è che il destino ti sorrida subito e ti sorrida per forza.
“I nostri finanziatori e le banche hanno creduto in noi per un motivo ben preciso: tutto il team di Extrema Outdoor Belgium è composto da gente con anni di esperienza e una grande credibilità nel campo della club culture. Hanno creduto in noi non perché siamo simpatici o abbiamo chissà quale santo in paradiso, ma perché i nostri curricula vitae parlano chiaro”. Toccando con mano, possiamo che confermare che chi sta dietro a questo festival sa il fatto suo. Eccome. Siamo stati tre giorni, e sono stati tre giorni davvero godibilissimi.
Il primo paragone, volendo, è quello col Tomorrowland: simile area geografica (bisogna spostarsi solo di qualche decina di chilometri), stesso format con gli orari (si inizia al mattino, si termina massimo massimo per mezzanotte), simile approccio nel “pensare” i palchi (non semplici strutture a tubi innocenti, ma qualcosa di personalizzato, “teatrale” quasi, e viste le specificità della zona i palchi ricordavano le strutture che servono per trasortare il carbone estratto dalle miniere, qua un tempo numerosissime). In realtà, i due festival giocano due sport completamente diversi: se il Tomorrowland ti stupisce con gli eccessi pacchiani e infila dentro di tutto di più – lo si fa passare come “il festival dell’EDM” quando invece dentro ci trovi di tutto, anche se messo lì in modo un po’ bizzarro, pensiamo sempre al Jeff Mills visto suonare in mezzo a giganteschi lecca-lecca di plastica – l’Extrema Outdorr è invece, al confronto, quasi zen. Non c’è una ipertrofia delle dimensioni, i palchi sono solo cinque (addirittura solo tre il venerdì, primo giorno del festival), la scelta musicale è abbastanza omogenea, non cerca effetti speciali ma va su solide certezze (…sempre i soliti nomi, dirà qualcuno? Forse. Ma di sicuro è gente che sa fare bene il suo mestiere).
Soprattutto, c’è la natura. Anche il Tomorrowland è in un grande parco urbano, ma nell’Extrema Outdoor oltre a dimensioni molto più limitate c’è molto più verde, molta più natura, spazi molto più ampi in relazione alle dimensioni. In più, non c’è quella cosa terrificante tomorrowlandiana del compost sparso per terra per assorbire il fango – solo che in realtà assorbe di tutto e di più da parte della mandria di umani che lo calpesta, assumendo così un odore per nulla gradevole dopo poco. All’Extrema no, all’Extrema Outdoor Belgium puoi respirare a pieni polmoni dal primo all’ultimo secondo del festival.
Puoi respirare a pieni polmoni, e puoi anche prenderti un sacco di vento (la zona è pianeggiante ma piuttosto ventosa) così come beccarti una temperatura che scende fino a 7 gradi. Fare un evento open air nell’Europa Centrale non è garanzia, diciamo così, di climi tropicali. Ma a parte il fatto che l’anno scorso il festival imbroccò un weekend con 25 gradi di media di temperatura (e immaginiamo che molti si siano tuffati dentro il grande lago che caratterizza l’area interessata al festival), va detto che in generale le popolazioni locali non si fanno spaventare troppo da pioggerella e freddo e tu, una volta che sei lì, insomma, ti adegui. “Se ci riescono loro, perché non dovrei riuscirci io?”: e i 10-9-8-7 gradi diventano sopportabili.
Diventano sopportabili per due motivi, anzi, facciamo due e mezzo. Il mezzo motivo è la qualità della line up: nulla di innovativo o sorprendente come si diceva, ma qualità solida e costante. Degli altri due, il primo è: lo spirito della gente che è lì, la qualità del suono che ti avvolge. Per quanto riguarda la gente, i belgi e in generale la gente del Centro Europa difficilmente ti farà sentire al Sambodromo di Rio, a Ibiza (pure se vengono importati in forze i marchi Ants, Elrow e Circoloco, appaltandogli stage) o anche solo in un club italiano di quelli buoni come calore, come entusiasmo, cazzimma; però, attenzione, in cambio sono tutti comunque sorridenti, sono tutti comunque educati, sono – e questa è la cosa che ci piace di più – molto vari per età, modo di vestire, estrazione sociale, atteggiamento. Si respira veramente aria da “festival”, nel senso più demodé del termine: dai 16 ai 50 anni di età vedi un po’ di tutto, e tutto sempre con grande naturalezza. Nessuno urta, nessuno spinge, tutti sorridono, molti attaccano bottone ma non per fare i marpioni o per farti il portafogli, bensì per condividere in modo quasi infantile e senza doppie facce il loro entusiasmo. Ah, nota importante: la politica nei confronti delle droghe è quella della tolleranza zero. Ma una tolleranza zero non cieca e non obnubilata come quella che vorrebbero i Giovanardi nel mondo, bensì una tolleranza molto pragmatica e consapevole (a tal punto che esistono, l’abbiamo letto su uno striscione anche se non siamo andati a verificare, dei “Drug Deposit” all’esterno dell’area del festival: se ti sei portato dietro delle sostanze le puoi lasciare lì, per poi ripigliartele quando esci dall’evento).
Poi, dicevamo, i punti forti sono due e l’altro è la qualità del suono: ora, al di là della chicca del palco con l’impianto in legno (costruito con amore e artigianato certosino nell’arco di sei anni, in Germania, e fatto arrivare appositamente all’Extrema), che da vedere era una cosa spettacolare ma alla fin fine era quello che suonava meno bene, il dispiegamento di Funktion One in tutti gli altri palchi non era solo notevole da vedere ma, soprattutto, era notevolissimo da sentire per quanto ben tarato. Sembra una sciocchezza, ma vi garantiamo – e questo ci capita di avvertirlo ogni volta che mettiamo piede in Belgio, Olanda e al Berghain (NON al Panoramabar, che continua ad avere un’acustica discutibile) – che quando la musica la stai sentendo bene il tempo passa molto più velocemente, il divertimento da clubbing è vissuto molto meglio, il bisogno di additivi alcolici o di altro genere diventa una frazione rispetto al solito per non dire che proprio scompare e basta (ne guadagnate in salute, e manco poco). In pratica: ti accorgi che pur avendo bevuto una bottiglietta di Coca Cola e una lattina di energy drink (Red Bull, nella fattispecie, che si è sponsorizzata un paio di giornate del main stage) hai raggiunto senza il minimo problema le otto, nove ore di festival senza fermarti praticamente mai, se non per mangiarti qualcosa del più che accettabile cibo che viene offerto nei vari stand (hamburger e kebab in particolare ottimi!).
Ok, belle parole, bella descrizione, ma voi volete sapere come sono stati i set. Ecco allora qualche cartolina sparsa: Kölsch è stato Kölsch, ovvero muscolare ma melodico (e divertente e stiloso), Jackmaster meno in palla e più piatto del solito (sarà che suonava nel pomeriggio?), Tale Of Us efficacissimi nel loro, Recondite convincente, Carl Craig uno dei migliori set che gli abbiamo sentito fare da tempo a questa parte (finalmente techno suggestiva e non pugnette “di mestiere”), Jeff Mills solita classe (inizio superbo, poi è andato un po’ in calando; ma avercene), Seth Troxler solido, Marco Faraone simpaticamente paraculo nella sua techno un po’ facile per venire incontro ai gusti centroeuropei, Andrea Oliva ha tenuto molto bene la pista, Eats Everything un po’ meno bene ma l’ha tenuta pure lui, Jamie Jones più o meno il solito, Blawan decisamente bene con un set techno “intelligente” ma non inutilmente ricercato, Luke Slater un po’ datato ma comunque oltre la sufficienza. Ci siamo persi un po’ di cose che volevamo in realtà vedere (Bjarki, Groove Armada, Nina Kraviz, Maceo Plex) ma lo spirito zen che ti pervade all’Extrema, di cui prima parlavamo, ti rende fatalista sul fatto che non è possibile vedere tutto quello che ti offre la line up. Meglio vedersi meno cose ma godersele di più.
Ecco, a proposito di godimento quello musicale maggiore ci è arrivato da Dj Tennis: premesso che da un paio d’anni a questa parte è diventato bravissimo (uno dei pochi dj di area minimal/techno/house/deep in grado di creare una vera e propria “narrazione” nei suoi set, non solo di infilare dischi che stanno bene nella pista), quanto ha fatto all’Extrema è stato davvero mirabile: due ore a disposizione, giocate con equilibrio, mantenendo da un lato un costante e coerente indirizzo stilistico dall’altro infilando, con sorprendente naturalezza, delle cose-che-non-c’entrano che però ci stavano benissimo (Laurie Anderson in versione electro a metà set, per dire, addirittura Bob Marley alla fine – e per suonare un disco di Bob Marley bene senza sembrare il dj delle sagre devi essere bravo davvero).
E insomma: l’Extrema Outdoor Belgium, fidatevi, è consigliatissimo. Il format del festival alla luce del giorno e, poi, sotto l’incedere del tramonto è un format bello davvero; e non per forza funziona solo in contesti da piscina o, peggio ancora, da after. Concede un’esperienza più rilassata, più “umana”. Bello, bellissimo perdersi nella distopia rutilante dei club, yes; ma ogni tanto una esperienza diversa è davvero ossigeno per la mente. La location geograficamente non sarà eccezionale (niente vedute spettacolari) ma il lago c’è, una collinetta pure, di verde ce n’è a iosa, il colpo d’occhio è comunque suggestivo (i cinque palchi sono distribuiti su un arco attorno alla riva del lago suddetto, quindi li si può abbracciare tutti con lo sguardo). Organizzazione impeccabile, gente tanta e alla mano, sound system ad altissima qualità. Si mangia e si beve, non magari a prezzi da Europa dell’Est, bisogna poi anche affidarsi al “solito” sistema dei gettoni, ma non ci sono nemmeno i prezzi da strozzo balearici (un cocktail sui 10 euro, birra a 3, cibo tra i 9 e i 12: ci sta). Affluenza importante (si parla di 35/36.000 persone in tre giorni) ma mai e poi mai ci si sente schiacciati o anche solo disturbati da un eccesso di densità umana. Insomma: si sta bene. Si sta gran bene. Si sta come (al momento) non si sta da nessuna parte in Italia, tra i festival all’aperto.
(foto di Wouter Meackelberghe)