La produttrice israeliana che risponde al nome di Noga Erez merita tutta l’attenzione possibile. Perché il suo album d’esordio “Off The Radar” riesce ad essere tante cose allo stesso tempo – ha il calore del trip-hop; l’alta definizione dell’elettronica; il ritmo della trap; la freschezza del pop – mantenendo un mirabile equilibrio. Ma non è tutto, perché, nonostante la sua giovane età, riesce a trasmettere un profondo senso di indipendenza – è un termine abusato, lo sappiamo, ma in questo caso calza a pennello – che le permette di essere schietta, artisticamente e politicamente – perché il suo è un album anche politico. Buona lettura e… buona visione, perchè a compendio dell’intervista c’è il suo nuovo video – quello del pezzo che apre “Off The Radar” ovvero “Balkada” – che ci ha concesso in anteprima mondiale per quindici minuti.
Chi è Noga Erez oggi?
Sono una produttrice che si pone delle domande. Ti spiego meglio cosa intendo: provo una sorta di frustrazione se penso al divario che c’è tra ciò che ho in mente e i mezzi tecnici che ho a disposizione per realizzarlo. Però è anche un sentimento che mi stimola positivamente a fare sempre meglio. Ad ogni modo, rispetto a qualche anno fa sono completamente indipendente dal punto di vista della produzione musicale, curo ogni fase del mio lavoro e quindi sento meno pressioni.
Facciamo un passo indietro. Mi racconti la tua formazione musicale?
Ho una conoscenza musicale abbastanza eterogenea e trovo che sia fondamentale applicarsi su uno strumento da soli e studiare, fare pratica, sperimentare attraverso di esso. Da piccola ho anche ricevuto una formazione tradizionale su diversi strumenti e ho studiato composizione all’accademia, eppure sento di non avere un’educazione musicale comunemente intesa. Sono sempre stata iperattiva e mi piaceva saltare da uno strumento all’altro. Inoltre, ciò che scoprivo da me, senza l’indicazione di una guida, era quello che più mi rimaneva dentro.
C’è stato un momento in cui hai capito che la musica sarebbe stata centrale nella tua vita?
Sono sempre stata attratta dalla musica, ne cercavo di nuova in continuazione, sia da bambina, per ascoltarla, che più tardi per trovare ispirazione. Però ho capito che sarebbe stata la mia strada non prima dei diciott’anni. Appena maggiorenne mi sono spostata a Tel Aviv dal paese in cui sono cresciuta e questo mi ha permesso di allargare molto i miei orizzonti, di conoscere altri musicisti e di capire che vivere producendo musica era possibile.
Ti sei spostata a Tel Aviv con uno scopo ben preciso oppure sei partita un po’ all’avventura?
Era una cosa che avevo in mente già da tempo, eppure sono partita un po’ all’avventura, senza progetti di sorta. Sai quando hai voglia di trasferirti dal paese in cui sei nato in una grande città, per far parte di qualcosa di diverso? Ecco, è andata così non appena ne ho avuto la possibilità. Volevo immergermi nell’atmosfera di un posto che avevo sognato ma in cui non avevo mai messo piede.
Al tuo arrivo in città hai trovato ciò che cercavi?
No (ride ndr). La realtà è sempre diversa dalla fantasia, come si suole dire. Mi sono spostata a Tel Aviv per far parte di una nuova comunità, ma alla fine ho trovato semplicemente me stessa. Sia chiaro, ho conosciuto anche molte persone splendide, ma è stato importante soprattutto imparare a gestirmi da sola e scoprirmi indipendente.
Ogni disco racconti una storia. Qual è quella di “Off The Radar”?
Off the Radar è il mio album di debutto, quindi ho trovato abbastanza naturale raccontare la mia storia, da dove provengo e come l’ambiente circostanze abbia influenzato me stessa. In sostanza, racconta il rapporto tra il mio mondo interiore e quello esterno, ma credo tocchi anche alcune tematiche cosiddette “universali”. Per esempio, seppur il punto di vista è quello delle mie emozioni e delle mie esperienze rispetto alle complessità della terra in cui sono nata e cresciuta, ovvero Israele, parla anche di dinamiche che sono globali e, per certi versi, anche politiche.
Qualche tempo fa intervistai Matthew Herbert che mi disse che per lui tutta la musica è politica, perché anche omettere un concetto da una canzone è una scelta politica. Sei d’accordo?
Non sono del tutto d’accordo. Io trovo naturale esprimermi tenendo conto degli aspetti sociali e politici che mi circondano, è qualcosa che ritengo molto importante, anzi direi necessario. Ma ci sono anche molte persone che non si curano di questi temi oppure non hanno voglia di esternare certi pensieri, ma senza sottintendere altro. Magari hanno solo una personalità differente dalla mia.
Torniamo alla musica. E’ una forma di espressione, di sperimentazione e anche, inevitabilmente, di intrattenimento. Che percentuali concedi a queste componenti?
La musica è l’arte che probabilmente riesce meglio a contenere questi tre elementi che hai citato. Sicuramente è espressione di sé, che vive attraverso la sperimentazione, per un risultato che può essere più o meno d’intrattenimento. Io cerco di mantenere un livello di proporzione equo tra le parti, ma lo faccio più inconsciamente che in modo meditato. Per me l’intrattenimento non è qualcosa da denigrare, anzi. La forza della musica è proprio quella di catturare, di far evadere dalla quotidianità, di fornire per qualche ora una prospettiva diversa da quella abituale, e questa la trovo una cosa bellissima.
Oggi sembra anche più facile fare del buon pop senza vergognarsi di voler arrivare a quante più persone possibile.
Sono d’accordo. Ricordo che da adolescente consideravo il pop come qualcosa da evitare assolutamente, non capivo che portare il proprio messaggio ad una platea più ampia possibile può contribuire a cambiare le cose, sempre che si proponga un messaggio valido. Ci sono oggi moltissimi esempi di persone che riescono a portare avanti la propria arte, facendola fruire da un vasto pubblico senza svendersi o venire a patti con qualsivoglia dinamica commerciale.
Mi racconti qual è il tuo processo produttivo? So che nella stesura di “Off The Radar” hai collaborato con il tuo compagno Ori Rousso.
Sì, lui collabora con me ed è stimolante perché il risultato finale, quindi la canzone, riflette la mia visione artistica e anche la sua, essendo anche lui un produttore musicale. E’ una combinazione tra due mondi differenti che trovano una naturale mediazione: certe volte tutto parte da una melodia e da un beat che uno dei due passa all’altro e lo sviluppo può essere imprevedibile. Solitamente, la musica arriva prima e poi aggiungiamo un testo, ma ci sono delle eccezioni. Diciamo che ciò che ci piace fare è costruire qualcosa che fornisca una visione complessa ma coerente al suo interno.
Ti piacerebbe essere remixata da qualche tuo personale mito?
Così su due piedi, chiederei a Powell e a Sophie.
Cosa ti piacerebbe fosse più presente nella musica contemporanea?
Mi piacerebbe che le donne fossero ancora più presenti e determinanti nelle dinamiche attuali della musica e più in generale di quelle dell’arte contemporanea. C’è ancora tanta strada da fare in tal senso. Anche se volessimo restringere il campo alla sola industria musicale, noterai che le donne sono praticamente assenti dai piani decisionali, ed è una cosa incomprensibile.
Come hai vissuto la recente diatriba tra Roger Waters e Radiohead sul boicottare o meno Israele non esibendosi dal vivo?
Ritengo che l’attuale boicottaggio economico possa servire per scuotere la popolazione, ma credo anche che questo ragionamento non funzioni quando si parla di cultura: se togli la cultura da un luogo, ma vorresti che quello stesso luogo diventasse più aperto, pluralista, crei una specie di paradosso. Quando togli la cultura da un paese distruggi le sue possibilità di progredire.
Quando hai voglia di rilassarti a casa tua, cosa ascolti?
Fammici pensare bene, stamane per esempio avevo voglia di relax e ho ascoltato Lou Reed; ecco, i suoi dischi riescono puntualmente a portarmi altrove, quindi direi che è la risposta giusta.
Progetti per il futuro? Magari puoi svelarci qualcosa su cui stai già lavorando.
Ho già nuovi pezzi in cantiere, effettivamente, ma ancora nulla di pronto. Vorrei che il prossimo album fosse una naturale evoluzione di Off The Radar, mi piacerebbe sperimentare anche soluzioni diverse pur non discostandomi troppo dallo stile che già conoscete. Staremo a vedere, anzi a sentire!
Ci si vede presto dal vivo, magari proprio a Roma.
Ti do una notizia dell’ultimo minuto: sarò a Roma il 9 dicembre prossimo e ci sono anche altre due date italiane in attesa di conferma!