Sulla questione in sé, ciò che è più opportuno in questo momento è far parlare le comunicazioni ufficiali. Passando ai fatti – il caso è esploso da qui, leggete attentamente:
Ora. Si sapeva che al Link c’erano stati in teoria degli avvicendamenti, annunciati direttamente su singoli profili social: un cambio di presidenza, rinnovate energie, entusiasmi, eccetera. Evidentemente la questione era molto più complessa e problematica del previsto. Un normale avvicendamento d’organico si è scoperto essere una disputa ancora aperta e una frattura non semplice da rimarginare. Infatti, al comunicato di Link Over che potete leggere qui sopra ha risposto, a stretto giro, un post pubblicato sul canale Facebook ufficiale del link. Eccolo:
Insomma, guerra aperta. Muro contro muro. Ora: nei magici tempi del gossip Barbara-D’Urso-meets-Clubbing (quando si sarà stufata di Morgan…?), uno potrebbe appassionarsi soprattutto nello scoprire cosa è successo quando, chi sta litigando con chi, cosa si sta nascondendo e perché, quali cose losche, scorrette, eccetera eccetera. E’ giusto che le persone coinvolte a vario titolo in maniera diretta nella vicenda sappiano tutto e si scannino sui fatti, loro sì, anche in modo pesante; a noi qui sinceramente interessa un discorso molto più generale. Discorso che però speriamo raggiunga un po’ anche le parti in causa, in seconda battuta. E le faccia riflettere, sempre in seconda battuta.
Il punto è: il Link, il nuovo Link (…ovvero che quasi nulla ha a che fare con quello storico), è una brutta gatta da pelare. Sì, è bello grande, in duemila ci si sta comodi; sì, ha una comprovata e spesso fortunata tradizione nell’ospitare grandi eventi di clubbing; sì, è comunque un marchio ancora dal grande fascino e valore. Ma è anche vero che è drammaticamente lontano dal centro cittadino (e praticamente non servito), è incredibilmente costoso da gestire (per una lunga serie di motivi), ha una conformazione fisica tale per cui una serata da 300/400 persone – che spesso è il numero ideale per proposte di “qualità” o comunque non scontate – in quegli spazi apparirebbe un buco e un flop colossale. Anzi, in realtà lo sarebbe pure di per sé, proprio per le già accennate spese fisse nel momento stesso in cui si aprono le porte della venue, anche solo per dieci spettatori. O cinque. O uno.
Questo naturalmente non significa che non si debba fare nulla lì, o si debbano fare solo grandi eventi ogni tanto; non significa tantomeno che non si possa fare ricerca lì dentro, trovare nuovi stimoli e nuove direzioni. Anzi. Di più, proprio negli ultimi anni – pensiamo ad esempio a Metro Link, con la “chiamata alle armi” dell’intera scena cittadina – abbiamo visto accadere lì delle cose molte belle, interessanti, non scontate. Di più ancora: Bologna è stata, è e sempre resterà una città incredibilmente vivace dal punto di vista musicale, nonché una delle culle del clubbing e della scena elettronica italiana. Si va a periodi, certo: un tempo Mu-ziq raccoglieva tremila persone, quando è tornato qualche anno fa ne ha fatte ottanta, quindi l’era IDM è ormai solo un ricordo per matusa (e i matusa non escono più tanto di casa…), ma tali e tante sono le energie che si rinnovano o nascono nella città felsinea (ad esempio, dalle ceneri dell’Arteria è appena rinato l’USB, in una zona dove c’è anche un gioiellino come Nero, giusto per fare due esempi) che, insomma, non c’è molto da temere – anche i momenti di riflusso sono gestibili, non durano mai all’infinito, e nuove gemmazioni sono sempre in atto.
Il punto, in questo caso specifico, non è più tanto chi ha ragione o chi ha torto. No. Per dei motivi ben precisi
Lo si capisce anche vedendo le due parti in causa l’un contro l’altra armate: da un lato – Link Over – si vedono eventi legati ad una unit di peso come Uncode, dall’altro – il Link “ufficiale”, almeno come canali di comunicazione – c’è ad esempio un evidente legame con una realtà molto, molto bella e viva come TimeShift. Che già a Bologna ci siano realtà come queste, come ci sia molto altro (ehi, non dimentichiamoci di roBOt, che ha dimostrato pochi mesi fa di essere tornato in grande spolvero, o B.U.M.), è solo la dimostrazione di quanto forte ed interessante sia il materiale con cui lavorare in città. Una città in cui, da sempre, si va dal pop di Dalla, Carboni e Cremonini ad AngelicA, come in pochi altri posti d’Europa.
Il punto però è che in una situazione già in generale meno ricca e “spensierata” di prima per le cose da dancefloor (la famosa “crisi del clubbing”, che forse però andrebbe descritta meglio dicendo “Prima erano soldi facili alla prima roba che mettevi su, ora il mercato si è fatto complesso, rischioso e competitivo come lo sono altri campi d’impresa culturale già da anni”), e appunto in un posto delicato e complesso come il Link (su cui, peraltro, ricordiamo che gravano ancora dei debiti tutti da discutere o ridiscutere con l’amministrazione comunale), l’unica soluzione non è prendersi a morsi, a pizze virtuali sul web e a citazioni d’avvocato per prendersi la “preda”, ma piuttosto sedersi attorno ad un tavolo e discutere, trovando il modo di fare le cose assieme o, almeno, non di non farle l’uno contro l’altro.
Il punto non è più tanto chi ha ragione o chi ha torto in origine (e ciascuna parte ti dirà che la ragiona è dalla sua, il torto da quella altrui, vedi ad esempio la documentazione pubblicata poco fa da Link Over); per quanto comprensibilmente importante per le persone coinvolte in modo diretto o indiretto non è questo il punto focale. In una venue impegnativa come il Link – in una città peraltro culturalmente ed “elettronicamente” ricca come Bologna, quindi con tanto potenziale – la questione, anzi, la necessità & unica soluzione efficace è invece trovare un accordo per unire le energie, le idee e le competenze, anziché dividerle o, peggio ancora, usarle più per combattere un “nemico” che per costruire qualcosa di bello per la collettività (e che sia economicamente sostenibile).
Come si può arrivare a questo accordo, sta alle parti in causa capirlo. Ma di una cosa siamo certi: se delegano questo processo di accordo solo agli avvocati e alle carte bollate, prendendo poi a farsi la guerra in città evento contro evento, si fanno male tutti. Tutti tranne, appunto, gli studi legali. Bello, eh? Ci sono situazioni in cui è più importante trovare un compromesso piuttosto che dimostrare di avere ragione rispetto alla controparte: questa contesa sul Link ci pare un caso da manuale di questa fattispecie. Lo è per molte ragioni, che qui insomma abbiamo provato a spiegare.