C’è qualcosa di sfuggente, in Filippo Edgardo Paolini alias Økapi. Ma sfuggente nel senso più nobile del termine: non sgomita per apparire, non si fregia delle sue medaglie, non ostenta la sua bravura. Non fa il fenomeno, insomma; peccato però che un fenomeno lo sia davvero. Di questa sfuggevolezza chi vi scrive è vittima ed artefice al tempo stesso: sono almeno dieci anni buoni – praticamente da quando scrivo su Soundwall – che mi riprometto di scrivere qualcosa su di lui. Lo avevo già fatto altrove (qualche die hard lettore del Mucchio se lo ricorderà), e anche lì non avevo fatto abbastanza. È che ad un certo punto sei circondato dal turbinio delle nuove uscite, degli hype da combattere o abbracciare, dalle mail degli uffici stampa, dai messaggi nelle chat dei dj/producer, dalle sponsorizzate sui social, e in tutto questo bombardamento mediatico le righe accorate su un genio vero le rimandi, “Sì, dai, tanto sta lì, tanto settimana prossima le faccio”.
Lui non si arrabbia. Lui non urta. Non spinge. Non insiste per far sì che tu parli di lui. Lui sforna dischi, ed è grato per ogni minimo cenno di interesse attorno alla sua musica – sembra sinceramente sorpreso che qualcuno lo ascolti, lo conosca, lo apprezzi.
In effetti lo conoscono ancora in pochi. Troppo pochi. Tocca tracciare il profilo di un artista che opera ormai da trent’anni (era addirittura il 1992 quando fondava la sua prima label semi-pirata), che è un po’ italiano un po’ francese, che ha collaborato con mezzo mondo, che soprattutto ha gravitato e gravita un tot nel mondo iperuranico ed irregolare dei rave, della trance anticommerciale, uscendo così dalle coordinate “solite” della club culture; ma è in realtà un rinnegato, un atipico ed un incomprensibile anche per le frange più estreme ed intransigenti della tekno ed affini, visto che il suo approccio all’elettronica più o meno trance più o meno con cassa dritta più o meno veloce è in realtà coltissimo, iper-sofisticato. Sentite qua ad esempio che roba:
Økapi infatti ha preparazione musicale altissima, che gli permette di prendere canoni consolidati ed impreziosirli con imprevedibili trovate iper-intellettuali, richiami colti, svisate celestiali, avventure dodecafoniche, rumorismi concreti, questo e cento altre cose ancora. Lo fa anche nell’ultima release di questo giorni, l’EP lungo “Sordo”: in cui scherza con gli stilemi della psy trance, li estende, se ne fa burla, li rallenta, li stretcha, gli dona addirittura del funk (nella traccia “My Own”, ad esempio) e per poi ripartire verso traiettorie aeree.
E proprio “Sordo” è stata la spinta per scrivere finalmente queste righe. Ma l’invito calorosissimo è quello di fare un po’ di digging, nella rete e non solo, ed andare così a recuperare altre sue opere (ad esempio “Pardonne-moi Olivier!”, un omaggio al compositore Olivier Messiaen, anno 2016, ma ogni singola release ha idee e concept preziosi e particolari).
ASCOLTA E SCARICA IN ALTA QUALITÀ “PERDONNE-MOI OLIVIER!”
La cosa affascinante della musica di Økapi è che riesce ad avere sia – come dicevamo – il piglio colto e sofisticato, ma anche il “tremendismo” della musica elettronica che si è formata avendo ben in corpo il DNA dell’hip hop e del turntablism (il destino che accomuna gente come Jeff Mills, Lory D, Dave Clarke…). In un’epoca in cui abbiamo troppi producer di plastica che hanno indovinato la formula del “giusto suono” da scolpire a colpi di plug in e di mouse, Paolini è quell’artista che ti ricorda che anche la musica elettronica da ballo può essere “gesto”, può essere “azione”, può essere voglia di sfuggire ai cliché, può essere predisposizione ad attraversare in folle equilibrio i perimetri della normalità come fosse un gioco.
Sì. Økapi è un genio. Un genio gentile e sorridente, che non strepita, non scalpita, non si sbraccia per farsi notare. Lo è da trent’anni. Fatevi un regalo: scopritelo anche voi.