Ce l’abbiamo fatta. Buoni ultimi, o fra gli ultimi. Onore al merito a chi si è sobbarcato la fatica di dare vita alla traduzione italiana di questo bellissimo “Electrochoc” (tra l’altro chiamando in campo, tra i revisori, anche personaggi a quattro quarti di qualità come Andrea Benedetti, uno dei padri della techno in Italia); resta il fatto che arriviamo veramente con ritardo a dare una versione in lingua locale ad un libro che, sinceramente, sarebbe abbastanza imprescindibile per chiunque si ritenga, anche solo alla lontana, un clubber. Sarebbe, ed è. Ed in realtà, non solo per i clubber: anche solo un semplice appassionato di musica a trecentosessanta gradi può trovare una miriade di spunti interessanti a partire da quelli più strettamente tecnici e compositivi fino, allargando la prospettiva, a vedere raccontata in modo mirabile quella transizione che ha portato il mondo dell’indie rock a collidere con la nascente rivoluzione acid house (…eh sì, perché Garnier era a Manchester esattamente in quegli anni lì: e ci si è buttato dentro con sguardo e piglio affilatissimo). Uno snodo fondamentale.
Però è soprattutto chi frequenta abitualmente i club che dovrebbe a tutti i costi fare suo questo libro. A tutti i costi, sì. Perché a scorrere le pagine si capisce subito che Laurent non è solo un dj di mostruosi bravura e carisma, è anche una persona di pari spessore. E lo è da vero e proprio innamorato della club culture, del deejaying (di quello che significa veramente, non le pagliacciate stile Zac Efron e “We Are Your Friends”), del fare i dritti, del suonare o ballare per mille ore di fila, del vivere nel modo più assurdo possibile per amore della musica e di tutto ciò che rappresenta “ballare”. E’ incredibilmente passionale come libro, “Electrochoc”. Incredibilmente vivo e partecipato. Ma questa passione, e questa è la lezione fondamentale!, non impedisce di analizzare tutto e tutti evitando la superficialità e le scelte di comodo, e al tempo stesso non è una scusa per rintanarsi in torri d’avorio. Cosa che invece spesso fanno i clubber nostrani: troppo “su di giri” e “top!” per ragionare da un lato o, al contrario, troppo snob per concedere che esistano diversi modo di intendere la musica e il clubbing che non siano i loro.
L’analisi garnierana, pur se parte da un tracciato pienamente autobiografico, è infatti molto varia ed acuta. E lascia spazio alle varie sfaccettature di ciò che la musica e la cultura elettronica – nella sua accezione più estensiva – è diventata. Si lascia infatti la parola ad Underground Resistance e Jeff Mills, in due interviste bellissime, ma la si lascia anche a James Murphy e udite udite David Guetta, che viene inquadrato in modo molto onesto, senza sconti ma nemmeno senza accanimenti (…i due tra l’altro hanno fatto molti passi in comune, ad inizio carriera). Poi beh, a livello di aneddotica ovviamente ogni singola pagina offre delle gemme, dagli inizi ruspanti, febbrili e scalcinati all’emozione per quando si entra nel “salotto buono” della musica parigina (quest’ultima è una parte davvero interessante, perché con molta sincerità svela il “complesso d’inferiorità” che ancora, forse anche giustamente, pervade chi fa in primis il dj/producer e non lo strumentista).
Insomma. Libro da avere. Lo potete ordinare qui, c’è stato qualche piccolo ritardo rispetto al planning iniziale (che parlava di uscita a luglio 2016) ma a questo punto ci siamo. Complimenti davvero a chi si è preso la briga di portare anche qui in Italia, e in italiano, un volume abbastanza imprescindibile. In altri paesi c’erano arrivati da tempo, perfino in Serbia (anche se Belgrado ha con Garnier un rapporto speciale per un motivo ben preciso: leggete nel libro perché); l’unico lato buono è che esserci arrivati così tardi – la primissima versione è del 2002 – c’ha permesso di arrivarci anche con l’integrazione riferita agli anni contemporanei che Garnier ha steso dieci anni più tardi, una integrazione molto significativa anche alla luce di quello che, nel decennio in questione, la galassia elettronica è diventata: molto più adulta, molto più consapevole, molto più sofisticata, molto meno pura, molto più a rischio di finire sulle cattive strade del pop.
Ma finché ci sono artisti e persone come Laurent Garnier avremo sempre qualcosa di sano e meraviglioso a cui appigliarci, qualcosa di sano e meraviglioso da custodire. Per fortuna.