Koralle non è solo il progetto parallelo di Lorenzo Nada, la persona dietro Godblesscomputers. Koralle è una precisa strategia di escapismo per sfuggire da certe pressioni e aspettative con cui uno dei nomi più importanti della musica elettronica ( o giù di lì) si è reimpossessato di un certo modo di fare musica con risultati più che soddisfacenti e inaspettati.
Qual è stata la transizione che ti ha portato da Godblessscomputers a Koralle?
Diciamo che è stata una transizione piuttosto naturale, venendo da tanti anni con il mio progetto principale, ho sentito la necessità di fare qualcosa di diverso, o meglio di ritagliarmi uno spazio diverso rispetto a quello che era poi il mio percorso. Te lo spiego meglio, credo di essere cresciuto anno dopo anno, disco dopo disco, avendo costruito un mio personale percorso con Godblesscomputers. Fare qualcosa di nuovo con lo stesso progetto e con le stesse idee, presupponeva anche avere un certo tipo di aspettative dietro da parte del pubblico e delle persone che ti seguono. Mi sono anche reso conto che questa pressione mi metteva a disagio, avevo il bisogno essenzialmente di crescere, di fare qualcosa più per me che avesse, se vuoi, anche delle aspettative più basse e che per questo mi facesse sentire più tranquillo.
Come è nato questo percorso nuovo a questo punto?
In maniera molto naturale, nel mio studio, partendo dai sample, dai tanti ascolti. Koralle ha un immaginario tutto suo legato un po’ al mio background, a quello con cui sono cresciuto: l’hip hop, la black music, il jazz. Ovvio, se lo guardi alla lontana sono anche gli stessi riferimenti che sono in Godblesscomputers, ma secondo me lì hanno una trama più complessa.
Ad un certo punto ti sei sentito sottopressione nell’essere Godblesscomputers? Quasi ne fossi imprigionato anche se, chiaro, è una metafora tirata per i capelli…
Un po’ sì, ma più per un discorso di aspettative che hanno le persone che ti seguono e che magari sono legate ad un certo tipo di percorso. Sento una forte responsabilitàà nei confronti delle persone che ascoltano la mia musica, per questo motivo talvolta è meglio fermarsi e razionalizzare un pochino quello che è il tuo percorso, che deve sempre essere allineato a quello che sei e che fai come persona da un certo punto di vista.
Era giusto quindi alleggerire…
Esatto e fare qualcosa anche per me stesso che partisse da me. In realtàà, quando ho iniziato a fare i beat di Koralle non avevo un nome e forse nemmeno l’idea di uscire con un nuovo progetto. Volevo solo confrontarmi con qualcosa con cui non mi ero mai confrontato. Questo processo, questa cosa, mi ha fatto sentire molto in pace con me stesso, è stato bello lavorare a questa nuova idea.
Direi che si avverte questa pace…
Diciamo che probabilmente nel fare i dischi di Godblesscomputers ci sono tanti momenti di dubbi e di paranoie, ti chiedi spesso se tutto quello che hai registrato è abbastanza per quello che vorresti. Koralle è un progetto fatto di getto in maniera molto spontanea e senza troppe domande dietro e anche un po’ per gioco.
Ti faccio due domande provocatorie ancora sul tuo progetto principale per poi arrivare a Koralle. La prima è: a distanza di mesi quando ti sei rimesso in studio a lavorare eri soddisfatto di “Solchi”?
Assolutamente, è un disco a cui mi sento legatissimo. È un disco che in quel momento mi sentivo di fare e per cui giàà si sentiva un certo cambiamento rispetto a quello che era il suono precedente verso qualcosa di più esplicito, rispetto a quelle che sono le radici del mio percorso. Paradossalmente quando è uscito ” Veleno” era molto più virato verso l’elettronica. “Solchi” per me è un disco più maturo, anche la sua gestazione è stata più lunga rispetto a gli altri dischi.
Il fatto di aver spostato il tuo progetto da one man solo ad una band è una cosa che rifaresti oggi? Questa è la seconda domanda…
Allora, premetto che “Solchi” è un’opera mia, che ho fatto io in studio, con l’apporto di alcuni musicisti che hanno magari risuonato delle parti e in qualche occasione hanno aggiunto qualcosa di loro. Però e ci tengo a sottolinearlo, Godblesscomputers è un progetto mio. I ragazzi che hanno portato in giro il disco con me sono persone a cui sono legatissimo e importanti. È vero che era una situazione legata alle esibizioni dal vivo, sebbene Giulio Abatangelo, che è il chitarrista e bassista avesse registrato molte cose su quel disco. Però sì, rimane un progetto mio, è stata un’esperienza ed era giusto riportare quel disco sotto forma di una band. Chiaramente è stata una bellissima esperienza ma per il futuro non so cosa succederà.
Te l’ho chiesto non tanto per provocarti, ma quanto perchéé quando ho sentito la prima parte di Koralle, mi sembrava quasi di sentire un grido di libertàà, te l’ho messa in maniera poetica, però sembrava quasi un: “mi avete rotto i coglioni adesso mi riapproprio del mio senso di fare musica come voglio io” qui è meno poetica la cosa e forse il messaggio era più soft. Ovvio che il mi avete rotto i coglioni non è verso qualcuno di definito ma più verso alcune gabbie mentali…
Si ricollega a quello che dicevamo all’inizio riguardo alle aspettative. Sicuramente sì è un qualcosa che mi ha fatto sentire molto libero e credo si percepisca molto bene nei pezzi. Sai quando qualcuno dice che fa musica per sé stesso io posso anche crederci, ma sono convinto ci siano dei processi e dei meccanismi mentali dei quali, secondo me, non siamo nemmeno perfettamente coscienti. Quando facciamo musica ci immaginiamo già il concerto, cosa scriverà il giornalista x, o la persona che tu stimi e che ascolterà il tuo album. Anche se non sono pensieri consci e razionali, sono pensieri che comunque si creano e che influiscono molto ad esempio sul sound, o sulla tracklist, o sui featuring. Io in Koralle ho voluto schivare tutti questi meccanismi.
Non ti sei mai posto il dubbio se farlo uscire come Godblesscomputers?
Ci avevo pensato lo ammetto, poi ho deciso che mi piaceva pensare ad un piccolo progetto satellite che rappresenta me stesso. Mi piaceva e devo dirlo, anche il lato do it yourself della cosa, considera che sto facendo io anche i video le foto. Mi piaceva pensare a tutto quell’immaginario della cultura dei beat e dell’hip hop, oltre che soprattutto nella collezione e nell’ascolto dei miei dischi. Non è un progetto fine a sé stesso, io sono fermamente convinto di voler portare avanti questo progetto, che non significa cancellare Godblesscomputers, quella esperienza non è affatto finita ma Koralle è un qualcosa che fa parte di me in cui mi piace perdermi.
Anche perché non avevi obblighi di vendita, il mercato italiano fortunatamente o sfortunatamente non offre mai grandi risultati di vendita, nessuno fa un disco con obbiettivi di vendita.
Oggi non è più una vendita che riguarda solo il disco o anche solo il supporto fisico, oggi i guadagni che puoi ipotizzare dietro ad un album sono quelli degli streaming dei download e soprattutto attraverso i concerti almeno nel mio caso. Ovviamente con Koralle ho cercato di divincolarmi da tutta quella che era un po’ la logica del panorama musicale italiano.
Infatti, sei andato a farti pubblicare all’estero….
Sì, sono uscito per Melting Pot un’etichetta tedesca di Colonia che seguo da un po’, poi lo sai ho vissuto in Germania, conoscevo in Germania tanti beatmeaker che escono sulla stessa etichetta, un etichetta che produce cose di gran qualità. Quando gli ho mandato il mio materiale, questa è una cosa che mi è piaciuta molto, mi hanno subito risposto che loro avevano il loro modo di fare le cose, senza seguire l’hype e per questo non badavano ai follower nella produzione di un disco. Loro stampano cinquecento copie e gli bastano quelle. Capisci che per come intendo io il progetto Koralle, è qualcosa con cui mi sono legato subito. Mi piaceva l’idea di entrare in questo circolo non dico di un collettivo vero e proprio, ma di entrare in una scena di persone che fanno le proprie robe e sentirmene anche parte. Considera che queste sono sensazioni che ad esempio con Godblesscomputers non provo, anzi Godblesscomputers è un prodotto che spesso faccio anche fatica a catalogare all’interno del panorama musicale italiano.
Koralle è un po’ una cosa da “Ricciardoni” del beat making no? Secondo me se uno fa beat making ha comunque questo sogno di fare un disco da duecento copie che magari gira solo tra gli stessi che fanno beat making…
È così infatti, hai colto.
Si parla spesso di dream pop, se ti dicessi invece dream hip hop? io lo trovo molto sognante come disco…
Forse l’aspetto dream del beat making lo vedrei più legato a quel filone lo-fi beats, quelle compilation di chill hop che girano ultimamente. Sicuramente c’è un aspetto dreamy in una maniera di fare beat making quando senti questi sample totalmente pitchati che suonano un po’ in lontananza. Questo secondo me è molto sognante, nel mio caso non lo so. Faccio molta fatica a definire la mia musica o i miei beats lo-fi. Cerco sempre di far suonare bene le mie cose, con una certa cura anche del suono, l’utilizzo di certe macchine. mi piace anche quel sapore anni novanta di quelle batterie come suonavano in certi dischi boom bap di quell’epoca.
Ha quel suono lì se era questo l’obbiettivo direi che è raggiunto…
Senza cadere in certi cliché, il mio vuole essere anche un omaggio a tanti dischi che ho amato e che amo tuttora, dischi che sono dei pilastri della musica hip hop di produttori come: Pete Rock, J Dilla o “Illmatic” di Nas, o gli Slum Village, quello è il suono che ho voluto omaggiare. Certo ci sono sempre questi suoni downtempo o un po’ più lenti.
Tra le altre cose siamo due del partito di JDilla changed my life. È interessante capire l’evoluzione dal modo di tagliare i campioni di Dilla al tuo modo di tagliare i campioni, che è molto diverso chiaramente, nel senso che tu raramente tagli sporco. Come ci sei arrivato, se è vero che come molti sei magari partito da “Donuts” o comunque dalle produzioni di Dilla.
“Donuts” è un disco secondo me già più tardivo rispetto alle cose che ho ascoltato di più di Dilla, per quanto sia un disco stupendo, parliamo di un Dilla già più sperimentale che osava molto di più a livello di suono o di ritmiche. Per me il vero capolavoro di Dilla è “Welcome To Detroit” un album dove si sente tutto il suono degli Slum Village che mette al primo posto le produzioni, dove lui campionava anche suoni piccolissimi e si lanciava su tutte queste batterie o bass line che in realtà erano scarne e minimali, ma avevano un groove per cui non riuscivi a star fermo. Lui poi lavorava in un’epoca in cui non c’era tutta la definizione che abbiamo oggi. Il suono di Dilla era figlio degli strumenti che utilizzava, anche perché era uno che spingeva al massimo la caratteristica delle macchine che utilizzava. Penso al suo uso dell’Akai Mpc che utilizzo anche io e con cui sono nati tutti i beat di Koralle. In realtà sebbene abbia sempre cercato la definizione la stereofonia soprattutto con Godblesscomputers, non reputo quella musica fredda anzi la trovo piena di colore. Koralle è più sporco, ed è un pochino più scuro come mix, proprio per il fatto che sono quasi tutti sample presi da vinili. Ho cercato almeno nella fase creativa di non toccare mai il computer.
Mi sembra anche ci sia ben poco di suonato, mi sembra sia molto sample e ricostruzione della batteria…
In realtà le cose che sono state suonate sono alcuni bassi, alcune chitarre e io ho suonato il pianoforte. A volte le partiture di pianoforte le ho volute trattare alla stessa stregua di un campione.
Sai e questo secondo me è un surplus di questo lavoro, io faccio davvero molta fatica a riconoscere le parti suonate. Questo secondo me è un grosso complimento, quando uno non riesce a distinguere il suonato dal campionato, secondo me vuol dire che si è raggiunto l’apice del beat making.
Mi fa piacere davvero questo. ovviamente come ti dicevo prima volendo fare un omaggio a tanti dischi che ho ascoltato, ho voluto costruire anche io i miei campioni creando parti da uno strumento e andandoli poi a suonare con il campionatore.
Su quanti vinili hai lavorato per fare Koralle?
Oddio non saprei darti un numero… a volte per cercare quel rullante ho sentito più di dischi fino a trovare il break che volevo. Oppure cercavo dei fiati e magari andavo ad ascoltare diversi dischi di Coltrane o Davis per cercare quello che mi interessava. Fortunatamente ho una collezione abbastanza vasta di vinili da cui attingere.
Mi hanno detto che hai una grande collezione di vinili, me l’ha detto più di una persona, sono invidioso…
Sì ne ho tanti ne ho collezionati tanti nella mia vita, tutti dischi organizzati e ordinati.
Dimmi che hai un archivio sul pc…
No, però devo dire che ho un’ottima memoria e so dove sono e quali sono i dischi che possiedo. A volte però mi dimentico dei dischi che ho comprato e mi capita di ricomprare il doppione.
Riesci ancora a metterti a sentire un disco e a non partire con il loop del: “ecco questo suono qui lo potrei campionare, ecco questo suono qui è quello che cerco”?
(ride ndi) Entrambe le cose, un disco me lo godo sempre, c’è sempre un momento giusto per ascoltare i dischi che voglio. Le mie giornate, le mie routine iniziano sempre scegliendo un disco che metto su mentre mi bevo il caffè, per ispirarmi e magari mi viene in mente che potrei campionare qualcosa di simile. La parte di ascolto è fondamentale per l’ispirazione sicuramente, o per entrare in un mood per quello che sto per fare.
Tu sei uno di quei tre quattro producer italiani di musica più o meno elettronica che riescono a vivere di musica nel senso che non fai altri lavori. Come si vive? è una vita difficoltosa? E ‘una vita che tu ritieni soddisfacente. Ascoltando Koralle ho pensato che se vivessi ancora in Germania probabilmente, economicamente sarebbe andata in maniera ben diversa magari…
Diciamo che rispetto alla mia posizione personale sono contento, molto contento. Sono molto contento prima di tutto di riuscire a vivere della mia musica e grazie a dio riesco a vivere bene la mia vita. È chiaro che non è avere un lavoro dipendente per cui qualsiasi scelta fatta all’interno del tuo percorso, quando va a mischiarsi con la tua vita, hanno ovviamente un peso ed un impatto maggiore. Grazie a dio sono sempre stato abbastanza fortunato ho sempre fatto tanti concerti ho visto sempre tanto interesse anche con Koralle sto ricevendo ottimi feedback. Da questo punto di vista non ho recriminazioni, mi do da fare non tanto sotto un punto rivista di business anzi quello è l’ultimo dei miei problemi. Cerco sempre di reinventarmi più per un discorso di felicità e appagamento personale. Se ci penso, quando è partito Godblesscomputers ero un ragazzino che viveva a Berlino e nella sua stanzetta faceva i suoi primi esperimenti e i suoi primi pezzi che raccontavo attraverso il mio blog. Mi rendo conto che sono passati tanti anni sono passate tante cose, tante mi hanno fatto crescere tante mi hanno deluso è cambiata tanto anche la musica. sono sicuramente una persona più matura.
E se fossi nato in zone più feconde per fare un certo tipo di musica?
Non saprei, io mi reputo una persona fortunata. In Italia per la musica elettronica, o per la musica che faccio io sicuramente non è proprio il posto migliore, magari perchéé viene considerata di nicchia, anche se mi è capitato di fare concerti con tanta gente rimanendo sorpreso io stesso. Certo non sono nato Londra o a New York, però comunque le persone ascoltano le mie cose. Io ho sempre dato molta importanza al rapporto umano, certo a volte mi deprimo quando mi trovo a mandare queste mail di collaborazioni con gente che magari vive a Londra e non posso vedere. Poi però quando penso a quello che ho creato e che creo, quando penso ad esempio ai visual che sto preparando insieme ad altre persone per portare live Koralle e che si mischieranno con i miei beats, penso che anche in Italia le cose possano girare nel modo giusto.
Quanto è importante Bologna nella musica di Koralle e anche di Godblesscomputers
Moltissimo, devo dire Godblesscomputers è magari un progetto più slegato da Bologna perché mi sento che potrei essere ovunque. Per Koralle, Bologna è entrata in maniera preponderante, credo soprattutto per il suono che ha Koralle, questo Boom bap anni novanta in cui Bologna era la capitale italiana dell’hip hop. Bologna ha sempre avuto quello spirito di partire dal basso dall’underground. Considera poi che ancora a Bologna ci sono tutti i veri maestri dell’hip hop gente come Deda o Lugi ad esempio.
Avresti voglia di produrre un disco rap?
Mi piacerebbe un sacco, penso che ad esempio una delle evoluzioni di Koralle potrebbe essere con delle collaborazioni con alcuni mc che mi piacciono, producendo un certo tipo di Hip Hop legato al suono di cui abbiamo parlato.
So che anche il disco di Godblesscomputers è praticamente pronto…
Sì, lo sto mixando, diciamo che è pronto il concept l’idea ma c’è ancora un bel lavoro dietro da fare.
Ti sei dato una data? non entri nel circolo: disco, un anno in tour, un anno per scrivere e al secondo anno nuovo disco?
No, ma anche perché rispetto a “Veleno” o a “Plush And Safe” la musica è molto cambiata, e sono cambiate molte le logiche anche rispetto alla promozione penso ai video clip o a quelle cose lì ad esempio, o ai concerti d’inverno nei club e in estate nei festival. Voglio anche capire come provare a valorizzare in maniera diversa un certo tipo di prodotto.