Un talk, i tre set live di Lorenzo Senni, Florian Hecker e Curtis Road nell’imponente scenografia dell’istallazione “The Seven Heavenly Palaces” di Anselm Kiefer all’Hangar Bicocca, vera, nuova e consolidata eccellenza del panorama artistico e un filo snob di Milano. Il tutto da un’idea e con la firma di Lorenzo Senni e presentato da Threes, quelli di Terraforma per intenderci, altra garanzia di qualità che presentavamo in queste righe. Una seconda parte dell’evento nei locali dell’Ex Striptease giù in Via Padova, con una lineup altrettanto interessante per quanto autarchica.
E’proprio quell’autarchia, elevata ad una certa visione elitaria della musica elettronica, a farla da padrona in una serata a Milano interessante, ma sicuramente difficile, probabilmente azzardato, per fattori e variabili che ormai nel capoluogo milanese sono incontrovertibili. Presentare un evento di non facile appiglio, in un venerdì sera meneghino ancora caldo, che proponeva feste mangia-pubblico e per lo più gratuite, poteva sulla carta diventare un suicidio o stabilire una netta linea di demarcazione tra: turisti dell’elettronica colta, presenzialisti fashionisti , veri conoscitori e affezionati di quanto è più lontano possibile dal dancefloor (almeno per la parte in Bicocca che abbiamo seguito) e che già avevamo sperimentato recentemente all’Heart Of Noise di Innsbruck.
Suicidio non è stato e questo è un bene, ma se in Austria di fashionisti neanche a cercarli con il lanternino e di presenzialisti pochini pochini, lasciando libero spazio ad un buon numero di affezionati conoscitori di un certo tipo di sound, a Milano è andata diversamente. Gli spazi dell’Hangar sono immensi e dispersivi sì, ma con severe restrizioni circa la presenza di pubblico: il rischio è di avere la sensazione di una serata vuota anche quando non è così. Non c’è il pienone, non è sold out, ma di gente ne abbiamo vista. La sensazione però rispetto all’Austria è che in questa come in tante altre volte a vincere siano i presenzialisti del vernissage, fashionisti per contratto della prima elitaria, quelli che sono vent’anni che campano di accrediti e che per non passare inosservati, proprio per ristabilire l’identità elitaria, riservano all’evento splendide mise verde acido.
Se questo sia un problema o un fastidio non è dato saperlo: questi giovani hipster milanesi under 35 schiavi del partecipare alle prime ed agli eventi più elevati altro non sono che i nuovi paninari fuori sede, ma dall’aria un po’ più snob, forse dovuta più all’insolita montatura degli occhiali che a un mero fatto culturale.
Viene da chiedersi quanto Milano abbia bisogno di tutto questo ed attenzione, perché la risposta non è scontata. Il trionfo di alcuni spazi, da Fondazione Prada allo spazio Maiocchi, passando per l’Hangar appunto, sono stati spesso se non vincolati almeno assuefatti da queste presenze, dal loro vociare, dal loro endorsare serate, défilé e dj set anche e spesso non sempre all’altezza di quello che veniva proposto sulla carta, nel nome di quel concetto per cui certa arte non è “accessibile a tutti“. Viene da chiedersi se, tolte le presenze degli accreditati, certi eventi destinati a un numero piccolissimo di pubblico riuscirebbero non solo a sopravvivere ma proprio ad esistere. Opinione nostra? No, non riuscirebbero. E allora di buon grado accettiamo anche i toast a gin tonic in plastica, disturbanti nel topico momento in cui Florian Hecker apre le valvole e travolge con un vento di frequenze questa cattedrale dell’arte moderno. Difficile, ai limiti dell’ascoltabile il suo set, ma ragionato studiato e indicativo; le stesse parole le possiamo spendere per Curtis Road, mentre diverse sono quelle che spenderemo per Lorenzo Senni.
Chi si aspettava il Lorenzo dei set del Sònar o del Teatro Principe a Milano, sarà rimasto spiazzato. Lorenzo suona seduto circondato da un’aura austera, da compositore classico, che fissa numeri nel buio di uno spazio vuoto. Ogni tanto un click sulla tastiera del laptop fa partire schegge trance, battiti hardcore, fiammate di elettronica da dancefloor, che dal dancefloor sono scappate, accusate ingiustamente di omicidio per aver assassinato il club. Visivamente bello, musicalmente bellissimo. Elitario? Forse, ma forse meglio dire per palati fini. Non c’è nulla di punk nell’esibizione di Senni, eppure l’ondata è quella ed è un piacere esserne travolti.
Per chi scrive la precarietà di un venerdì di ascolto e non di ballo finisce qui, ed è un peccato perché l’ex Striptease prometteva bene benissimo. Un ultimo punto, una considerazione a margine, una sottolineatura doverosa: mai ci era capitato ad un evento di trovare buttafuori così gentili, cosi professionali, così bravi tanto da cambiargli il nome in butta dentro. È stato un piacere, ed anche questo non era scontato.