Con Lory D va così. Va che perdi completamente il senso del tempo. Va che una chiacchierata a registratore aperto di ormai un bel po’ di tempo fa diventa un “Ok, settimana prossima la sbobino”, poi ti accorgi che sbobinare è più complicato del previsto perché presi dal gusto della chiacchiera non vi siete accorti che era partita la musica della serata, rendendo così molto più difficile capire quanto registrato). Va allora che rimandi di un’altra settimana; poi un’altra ancora; poi ti sembra che sia troppo tardi per recuperarla e poi… poi succede che finalmente ci torni sopra – ormai sono quasi passati secoli – e ti accorgi che non c’è nulla di datato, nulla di inattuale. Scopri che parlavi di Numbers (la riverita cricca scozzese che tanto amiamo e che di suo tanto ama Lory D) in quella chiacchierata, perché erano loro ad aver fatto uscire da poco “Strange Days”, volume uno e volume due; scopri che ne puoi parlare anche adesso: perché il volume tre è sulla rampa di lancio, quattro anni dopo il primo volume e tre dopo il secondo (e pare che un quarto stia per seguire molto a breve: ottimo!). Poi: con Lory D va anche che il discorso corre un po’ da tutte le parti, per tornare poi magari all’improvviso o al punto di partenza,o lì dove non pensavi si arrivasse; ma è un discorso sempre interessante il suo, di una persona che è senza compromessi, pura, che soprattutto non ha nulla del calcolato arrivismo manageriale che oggi troppe persone che si approcciano alla club culture hanno. E sì che lui potrebbe permettersi di tutto: perché è un genio assoluto. Incostante, incompiuto, impigrito, impreciso, quello che volete; ma Lory D è un genio. Ma un genio di quelli veri. E gli artisti per cui ci sentiamo di sprecare questa definizione – in qualsiasi genere musicale – sono dannatamente pochi. Nell’elettronica, Aphex e pochi altri. Per dire. E tra l’altro che Lory sia un genio sarà Aphex per primo a confermarvelo.
Eccoci qua, dai. Mettiamoci qua sotto la consolle, parliamo un po’ prima che inizi la serata vera e propria…
…prima che barman e dj diventino lupi mannari e vampiri! Sai, non ti sembra certe volte che l’inizio di una serata sia quasi una preparazione alla battaglia? Ma di quelle battaglie assurde del 1300, non so se mi spiego.
Eh beh. Il magico mondo della notte è un mondo pieno di avventure. E di personaggi strani.
“Harry Plotter”! (risate, NdI)
A proposito di cospirazioni e spiriti malvagi, un po’ di tempo c’eravamo visti a Torino e, parlando di varie cose, mi ricordo di te molto convinto nello spiegare come Facebook e i social in genere fossero un postaccio… anche peggio di lupi mannari e vampiri… praticamente, il “Male”. Con la “m” maiuscola.
Il “Male”? Per me il “Male” non esiste. Che poi, non sono preparato su questi argomenti così assoluti come “Male” e “Bene”. Però sì, se mi chiedi un parere ti posso dire che Facebook è un ricettacolo di idioti. Poi ognuno fa quello che vuole, ci mancherebbe. La cosa preoccupante è che ad un certo punto era sembrato quasi obbligatorio doverci essere. Perché se non si sei allora ti fanno il “cappottone”: non ci sei, non puoi controllare quel che si dice sul tuo conto… e allora se ne approfittano alla grande. Comunque io Facebook lo usavo essenzialmente come una chat, per parlare con gli amici – pubblicamente posti sul tuo wall due fesserie, giusto per il fare il figo, e finita lì. Comunque non mi pare il caso di parlare di Facebook, che ne dici?
Dico che hai ragione. Però ti chiedo che rapporto hai con le persone che ascoltano la tua musica? Non uso la parola “fan”, perché è proprio bruttina e quasi adolescenziale, ma comunque credo che tu sia consapevole di avere un tuo zoccolo di affezionati, gente che magari ti segue pure da tantissimo tempo.
Bisogna prima di tutto dire che io faccio una musica che viene fruita lì dove la gente non solo ascolta, ma balla anche. Credo che molto difficilmente la mia musica sia ascoltata in casa. Invece, viene ascoltata lì dove la gente va per ballare. Quindi ci sarebbe un discorso molto più vasto da fare, capisci? In ogni caso, non è che io sia una star o un musicista affermato. Non faccio parte di un gruppo rock. Non sono un cantante. Non sono un chitarrista.
Non ti sarebbe mai piaciuto esserlo?
No. Perché a me è sempre piaciuto fare quello che ho sempre fatto. Anche a costo di affrontare alcune problematiche: il pregiudizio, la caccia alle streghe, la techno che è la musica del demonio…
In effetti quando hai iniziato, e per tutta una serie di motivi legati all’esposizione e alla stampa che aveva la techno nei media soprattutto negli anni ’90 ma anche oggi, queste sono cose che ti sei vissuto in prima persona, più di altri e da più tempo di altri. E non penso solo a quella roba surreale che fu l’apparizione nel programma di Ferrara.
Già. All’inizio era proprio: incomprensione totale. Quindi, a maggior ragione noi andavamo in giro fieri, a fare quelli strani, a fare i bastian contrari… Eravamo ragazzini dai. Vent’anni o giù di lì. E portavamo in giro questa musica completamente nuova, ecco. Una musica che andava in luoghi come discoteche, feste, feste, mica i posti dei concerti e della musica dal vivo, insomma non era vista come una cosa “seria”. Oh, non è che poi col corso degli anni l’atteggiamento verso un determinato mestiere, quello di dj, sia cambiato così radicalmente. Perché l’Italia è la nazione dove tutto deve essere fintamente “ordinario”, e fare il dj continua a essere un lavoro abbastanza poco “ordinario”. Diamo ancora noia. Questo in Italia; a Roma, poi, figuriamoci, è ancora peggio. Roma è una città particolare e fra le sue particolarità ci sta anche il fatto che questa tendenza dell’”ordinarietà” è esacerbata, è ancora più estremizzata – a Roma se non sei come gli altri, sei un problema.
Però dai, magari adesso questa faccenda del ballo e del clubbing è più entrato nel costume sociale, c’è più comprensione ed accettazione attorno ad esso. Non dir di no.
Beh. Dopo vent’anni. qualsiasi cosa almeno un minimo rientra nel costume sociale. Almeno un minimo. Che poi, non solo la techno è entrata nel costume sociale, ma in genere la musica da club si è anche fusa con altri generi di musica – cosa che un tempo sembrava impossibile. Che so, prendi l’ultimo disco dei Muse: spizzica a destra e sinistra nelle cose “nostre”, in quella che è la nostra piccola cultura. Sì: piccola. Attento all’aggettivo. Perché noi non facciamo parte di una “grande” cultura. La musica che facciamo noi, o almeno quella che faccio io, è musica che si ascolta dove la gente tendenzialmente balla… A casa te la puoi sentire al massimo se c’è una festa fra amici, alzando un po’ il volume. Però quello che faccio, insomma, devi godertelo in un certo modo: non è qualcosa che è normale, che ti puoi godere ovunque e in qualsiasi situazione. Non va bene per la normalità.
In questo momento sei soddisfatto di come vanno le cose, di come procede la tua vita e la tua carriera da artista?
Guarda, io queste domande non me le sono mai poste. Perché comunque – e lasciando perdere i discorsi più personali – ho una vita abbastanza complicata. In più non sono così fissato col lavoro, con la carriera, da voler sacrificare sul loro altare tutto il resto. Io sono un abitudinario, se il lavorare tanto deve togliermi alcune cose che… No aspetta, non entriamo in discorsi stupidi. Torniamo indietro. Andando molto più sull’essenziale: si lavora tanto quando ci sono tante cose che vanno bene. Ok. Per quanto riguarda me, che devo ancora trovare la giusta evoluzione per il mio suono, staremo a vedere.
Anche se sei bello abitudinario e romano uno dei link più forti che hai formato è quello con una realtà ben distante da Roma e dalla tua quotidianità: penso a Numbers, che sta a Glasgow. Come è nato tutto ciò?
Oh, è molto semplice. Sono venuti anche a Roma, ad alcune serate, si sono divertiti… Ma penso che nasca tutto dal fatto che gli piace la musica che faccio io. Gli piace il modo che ho di esprimermi in questo determinato linguaggio della musica elettronica, quello cioè più legato ai luoghi da ballo. In più, va detto che mi hanno poi invitato loro a suonare in varie situazioni e ho sempre riscontrato come fossero delle situazioni particolarmente adatte – nei limiti del possibile. Non so se prossimamente collaborerò anche con altre etichette che non siano loro; e in generale, non so nemmeno se deciderò di far uscire materiale con più regolarità…
Che sarebbe anche ora.
Infatti non ho più scusanti.
Perché il tuo output discografico è così rado? So che è una domanda un po’ del cazzo, un po’ fastidiosa…
No, ma ti spiego. Io ho un rapporto un po’ particolare con questo mestiere. Attenzione, non è che voglio fare lo “strano” a tutti i costi, o il prezioso: è che comunque ho una vita personale molto attiva. Vado poi molto a periodi: ci sono dei periodi in cui sto fermo, e dopo di essi mi torna voglia di andare molto in giro; poi, dopo che sono stato in giro per un po’, magari mi stufo. Magari un giorno mi stuferò completamente. Non sono uno di questi dj “star”, non è che per forza devo stare in giro. Poi sai, c’è il problema di cosa faccio, quando vado in giro: dj o live? Che spesso il live è un modo di esprimersi che non tutti ancora… cioè, ecco, la gente è perplessa che non sono lì a metter dischi. Ma sono stupidaggini: perché quando uno suona ciò che conta è quello che esce dalle casse e come la gente ci reagisce. Tutto il resto è inutile, viene in secondo ordine. Io comunque sento di avere ancora margine per sperimentare, per fare cose sempre migliori coi miei live. Anche perché, venendo al deejaying, purtroppo il vinile sta diventando una cosa per pochi. D’elite, ecco. Non “di nicchia”, per fortuna; ma “di elite”. Perché per il vinile ci sono delle spese, c’è bisogno di una conoscenza tecnica, di un amore proprio per l’oggetto. O lo si ama o lo si odia. O, detto in svedese, non te lo inculi, e basta. (risate, NdI)
Come artista, senti di avere dei compagni di viaggio, degli spiriti affini?
Sì! Da sempre.
A parta quelli storici, e fra di essi mi viene in mente che so un Andrea Benedetti, che si è ritirato dalle scene…
…si è ritirato dalle scene ma è sempre vicino a tutte quante le questioni. Io spero tanto torni a suonare: perché è bravissimo. Ma lui ora ha una famiglia, delle responsabilità, dei figli. Io no.
Altri spiriti affini?
Credo che ci sia una piccola scena di persone, sì. Magari meno conosciuta di quanto possa essere conosciuto io. Nel senso: io non sono uno famoso, per nulla, però in qualche modo sono uno diciamo conosciuto. Ma a me, come a queste persone che ti dicevo, piace rimanere nell’underground. Non so, forse vivere nel sottosuolo, nell’underground, è un’emozione troppo forte e fai fatica a rinunciarci? Io non ci riesco, a rinunciarci. Anche se poi magari mi si rimprovera poi di non essere abbastanza attivo, di non essere abbastanza presente sulla “scena”.
Di non essere, diciamo, strategico. Questo se vuoi lo aggiungo io.
Zero strategico, io. Se vogliamo parlare di “strategia”, potremmo impostare una intervista intera su questo argomento… Ma oh, pure tu, approfondisci meglio questo punto, scusa: cosa intendi per “strategia”? Perché vedi il mio obiettivo, il mio punto d’arrivo, non è certo quello della fama. Come sai negli anni ’90 avevo guadagnato un po’ di visibilità e beh, questa cosa mi è costata cara, molto cara. E’ che la mentalità è sempre la stessa: già sono uno che fa techno, per giunta divento pure famoso – finisce che fai la fine di John Lennon… e sto scherzando, ok, ma non del tutto. Comunque: facciamo che è un cinquanta / cinquanta, su questa mia assenza di “strategia”. Cinquanta sono io che sono un cazzaro che non prende mai davvero le cose sul serio; cinquanta perché se veramente questa cosa del deejaying diventa una cosa seria allora magari mi tocca cambiare abitudini, addirittura trasferirmi in un’altra città… lo voglio? Che poi chissà, forse questa potrebbe essere una soluzione, un buon esito. Il nostro è un mestiere dove sei in giro a tirare calci al pallone ma ad un certo punto ti ritrovi in panchina. Non si può mai sapere. E’ imprevedibile.
Una cosa che sta succedendo è che l’età media di ascoltatori delle cose “da ballo” è cambiata: non ci sono più solo i ventenni, ci sono anche quelli che erano giovani negli anni ’90 ma ora sono invecchiati, hanno vent’anni in più.
“Invecchiare”… perché usare questo verbo? “Vecchiaia” è avere ottant’anni. Oh, ok, io a vent’anni vedevo quelli di quaranta come se fossero dei vecchi; ma oggi che no ho quaranta e mi vedo esattamente come quando ne avevo venti.
Sei uno di quelli che ascolta molta musica nuova e si tiene super-aggiornato, o hai perso questa ansia?
Come ascoltatore, io sono il primo della classe! …l’unica materia in cui posso essere il primo della classe! Ascolto musica di tutti i tipi, farlo è in assoluto la cosa che più mi fa stare rilassato. Conoscere musica nuova, sì. Non solo quella che faccio io, di quel tipo lì, attenzione: perché ascolto tanto rock, molto hip hop… anche se in quest’ultimo caso mi piacciono i capostipiti, ovvero ciò che dà origine ad un filone particolare, tutto il resto lo lascio ai pischelli che vanno a ballare l’hip hop nei club più generalisti e commerciali.
Per quanto riguarda la musica più prettamente dancefloor, qual è l’etichetta di cui ti fidi di più?
Numbers: perché sono amici. E quindi mi fido di loro.
Domanda molto stupida: qual è il primo disco che hai comprato?
E chi se lo ricorda! Il primo album o il primo mix? Perché se parliamo di album… ecco, non vorrei essere banale, perché poi sembra la classica risposta “fatta apposta”, ma il primo album acquistato è stato uno dei Kraftwerk, quello con “We Are The Robots” dentro.
Sai che in effetti ti avevo fatto questa diversa perché magari invece avresti tirato fuori una risposta sorprendente…
Ma infatti! Mi secca quasi doverti dare una risposta così prevedibile. L’album dopo che comprai era quello di… come si chiamavano quelli di “Video Killed The Radio Star”?
The Buggles!
Loro!
Il gruppo dove c’era pure Trevor Horn…
Già, quando faceva prima di tutto il musicista invece che il produttore. Poi dopo loro comprai… mmmh… Diciamo che principalmente compravo colonne sonore, moltissime colonne sonore, ecco. Quelle di Guido e Maurizio De Angelis ad esempio le avevo tutte: “Sandokan”, “Il corsaro nero”… E’ che io sono un grande appassionato di cinema. Mi piace molto vedere film fatti bene.
Non posso non chiederti quali sono, a questo punto.
“La guerra del fuoco” prima di tutti: bellissimo. Ricordo che mi fece star male, perché guardandolo mi sembrava proprio di essere tornato all’epoca degli uomini delle caverne. Tra l’altro lo stesso regista, Jean-Jacques Annaud, fece poi anche “Il nome della Rosa”.
Continuiamo.
Uhm, grandi classici come, che so, “Natural Born Killers”.
O un “Guerrieri della notte”, no?
Così così, guarda; preferivo “Bad Boys”, con Sean Penn ed Eric Gurry. Poi santiddio, come non citare “La febbre del sabato sera”: da ragazzino ci sono stato male, a chi non è successo? Il ballo finale, il bacio… fantastico. Altro nome da citare è assolutamente Carpenter e in generale tutto il filone dei b-movie molto spettacolari: “Essi vivono” è un film bellissimo, anche incredibilmente attuale. Infine, citazione d’onore per Hitchcock. Obbligatoria.
In tutto questo ti piacerebbe tornare a firmare colonne sonore per il cinema, come ti è successo in passato con “Scarlet Diva” di Asia Argento e “Almost Blue” di Alex Infascelli?
Mi è successo perché lo feci con persone con cui ero amico, con cui si girava assieme, eravamo tutti a modo nostro degli emergenti: Asia Argento, Alex Infascelli, io. Con Asia mi conoscevo da tantissimo tempo, e Alex è stata lei a presentarmelo. Però ecco, sai meglio di me che il cinema in Italia non è il cinema che c’è in America, Francia o Inghilterra (tra l’altro credo che questo sia un periodo particolarmente positivo per il cinema inglese)…
Quindi ok, non ci resta che aspettare delle release, per sentire nuova musica tua. Le tue rare release.
E’ che non sono mai soddisfatto. Sto sempre aspettando di comprare qualche simpatica macchinuccia nuova, che faccia espandere certe idee che ho in testa, che mi faccia scoprire nuovi segreti… O aspetto di avere l’opportunità di andare in qualche studio grosso, per poter registrare.
No ma scusa, vale ancora la pena cercare gli studi grossi?
Certo che sì. O meglio: ne vale la pena se a te piace un determinato tipo di suono ed è quello che stai cercando. So bene che oggi anche con un semplice software puoi fare delle cose buone, eccetera eccetera. Ed è vero. Ma esiste ancora una differenza tra produzioni grosse e produzioni fatte in casa, nel risultato finale. Vanno bene entrambe, eh. Ma non sono la stessa cosa l’una rispetto all’altra. E la produzione grossa è stata comunque reimmessa anche nelle faccende di elettronica, occhio: ad esempio io credo che Guetta le sue produzioni le faccia con un SSL o un Neve, sono mixing board che ancora riconosco a orecchio, in studi potentissimi, studi che fanno la differenza. In Italia magari non ci sono più studi così, almeno per le cose “nostre”, ma in America sì – e stai tranquillo che i pezzi grossi non si fanno produrre i dischi da un ragazzino in casa armato di digitale. E’ questione di gusti, alla fine. I due approcci possono coesistere e possono dare entrambi buoni frutti.
Ok. Ora però ti chiede di smettere per un attimo di essere dj e producer e di tornare semplice frequentatore di serate: quali sono quelle che ti sono rimaste nel cuore?
Io sono riuscito a farmi due anni di fila andando all’Heaven, a Londra, alla serata Rage, che era di giovedì. Una cosa pazzesca. E’ stato un momento fondamentale per tutto e per tutti. Ci andavano tutti, ci incontravi chiunque: i Prodigy che suonavano e in mezzo alla gente, CJ Mackintosh e Dave Dorrell (che all’epoca erano coinvolti in M/A/R/R/S, quelli di “Pump Up The Volume”), A Guy Called Gerald, Aphex Twin, Derrick May, chiunque! Davvero: la musica elettronica di oggi è nata in quel club e in quella serata. Eravamo anche diventati amici di Fabio e Grooverider, che erano i resident – li abbiamo anche fatti suonare alle nostre feste a Roma. E quando ci arrivavano, loro restavano impressionati: perché all’epoca Roma era una piccola Londra. Al Rage, davvero, andavamo quasi tutte le settimane… eravamo un gruppo… non sto a citarteli tutti, perché sennò poi si entra in quei discorsi anticpatici su chi c’era e chi non c’era, chi ha fatto e chi non ha fatto… Ma ricordiamo il grande Mauro Tannino, che purtroppo non c’è più; poi Leo Anibaldi, Paolo Zerletti, Andrea Prezioso, suo fratello Giorgio… ah ecco, mi fai spiegare una cosa?
Vai.
Ci sono due errori giganti che girano nel web, da sempre. Errori che vorrei sfatare. Primo: io non sono un campione mondiale DMC, e nemmeno campione italiano. E’ un’inesattezza che scrivono in tanti. Io vinsi la semifinale a Roma, arrivai poi terzo a Milano, alle finali. Finali che terminarono in quest’ordine: primo Francesco Zappalà, secondo Giorgio Prezioso, terzo io. L’altra cosa, un po’ più un principio generale, è che non bisogna per forza essere dei dj famosi alla Guetta per fare il mestiere che faccio io. Tutto qua. Puoi essere tranquillamente uno che resta nell’underground, con tanto orgoglio e tanto entusiasmo. Ecco: l’entusiasmo. E’ questa la cosa più importante. Le scelte sono personali, c’è chi si trova bene in alcuni contesti, chi in altri, chi è portato ad essere iper-attivo e sempre presente, sempre in giro, sempre in mezzo a mille cose; e c’è invece chi come me si trova bene a fare le cose a cui si è affezionato – gli bastano. Cose per cui provo ancora emozioni forti. Poi, probabilmente, quelli della nostra generazione non rivivranno mai più una cosa così sconvolgente come quella del Rage di cui ti dicevo, un’emozione così diretta; e mi spiace per le generazioni di oggi, che non sono riuscite a vivere sulla loro pelle una faccenda così incredibile. Oh, che ci dobbiamo fare. Arriveranno altri fenomeni, altre generazioni, altri momenti fondanti. Noi abbiamo avuto il nostro. Teniamocelo stretto.