Martijn Dekjers, ai più noto come Martyn, è tornato nei primi di novembre con una compilation composta da sette tracce tutte sue, recentemente rieditate e rimasterizzate. Trattasi di materiale risalente a quasi una decina di anni fa, essendo i pezzi stati composti durante la realizzazione del suo album “Great Lengths” del 2009. In fibrillazione per la notizia secondo cui l’anno prossimo uscirà su Ninja Tunes un nuovo LP di Martyn, ci siamo messi all’ascolto di “GL Outtakes” – album uscito per la sua label, la 3024 con aspettative decisamente ottimistiche. Succede anche a chi si occupa di critica musicale, esatto. Perché tutti abbiamo del dannato sentimentalismo dentro, anche a non volerlo ammettere. Poi il compito diventa quello di sbarazzarsi preventivamente di qualsiasi preconcetto o aspettativa. E gettarsi nell’ascolto, senza lasciarsi condizionare.
Detto, fatto. E quello che ritroviamo nelle cuffie è una raccolta di brani di alta qualità a livello di produzione che però mancano fin troppo di incisività. È lo stesso Martyn ad affermare quanto le sette tracce dell’album siano “(…) più monotone che il resto della musica composta nello stesso periodo”. Però, dopo averle recentemente riscoperte, succede che il producer ritrovi in loro il seme della musica attualmente in fase di composizione e che vedrà luce l’anno prossimo in un album nuovo di zecca di cui accennato sopra.
Ciò che a Martyn preme sottolineare è quanto in “GL Outtakes” predomini una fusione di generi – tratto fondamentale del sound elaborato da lui stesso come da Peverelist, Appleblim, Headhunter e altri; gente formatasi stilisticamente sulle nobili basi gettate da personaggi come Kode9, Digital Mystikz, El-B o Big Apple Crew. Parliamo allora di un’amalgama di techno, dub, breakbeat, jungle, varie ed eventuali. Dunque, ci preme sottolineare come quello che ci ritroviamo ad ascoltare oggi nella compilation sia un qualcosa che nel 2009 avrebbe impattato dando sfoggio ad un suono ben più rivoluzionario e sferzante. Oggi, invece, sappiamo bene quanto nell’elettronica – e non solo – la fusione costante di generi sia quasi un dato scontato, lasciando scandalizzati solo i più ottusamente retrogradi, permetteteci il termine.
La prima traccia della compilation, “Latte Complexion”, funge da intro tipicamente martynesco con voce narrante e atmosfera tra l’attesa e l’abisso. Si passa a “Meaning Of Life”, pezzo dall’andazzo sornione reggae, finemente reso groovy da un basso seducente, prendendo forme sonore degne di un pezzo dub godereccio. Con “Ultra” ci facciamo quasi una pera di morfina, con jungle lievemente sussurrata, il sopraggiungere di una parentesi di sempre evocate atmosfere metalheadziane, pur sempre nell’ovattata atmosfera generale. “Matt Hensley” ci risveglia dal torpore con dell’ipnotica dub tribale, scivolandoci addosso ipnotico, ma forse troppo. Con “Kent And Atlantic” – il primo pezzo realmente melodico della raccolta, seppur tenuto sempre a bada col freno a mano, medesimo destino riservato alle distorsioncine presenti a un certo punto del pezzo. Al tutto si aggiunge un bel manto di synth che spennella di tinte fosche la faccenda.
Le ultime due tracce, “Brilliant Orange (Beat Version)”e “KJLFYE3024”, ci propinano della dubstep abbastanza scarna e poco seducente, ahimè. Insomma, c’è da dire che Martyn non ce la vuole proprio mettere la cilegina su una torta riuscita non come le nostre aspettative avrebbero desiderato.
Se pigliassimo una macchina del tempo e ritornassimo allo stato di post-sbarbini che si accingono all’ascolto di “GL Outtakes” ci esalteremmo non poco, trovando le sonorità fresche, inedite e dilettevoli. Visto che per sfiga o fortuna siamo nel 2017, ci accontentiamo di una buona compilation ma, sgarrando un poco col codice etico del critico musicale, attendiamo gongolanti e speranzosi l’arrivo del futuro album annunciato. Confidando in una di quelle botte à la “Ghost People” che ben ricordiamo grazie ai bernoccoli importanti lasciatici in (/nella?) testa.