Luca Bacchetti è ormai un’istituzione nel panorama elettronico italiano e mondiale. Impossibile inquadrarlo in uno specifico genere, le sue sonorità vanno dall’house alla minimal senza mai però conformarsi in maniera decisa a nessuna etichettatura. La sua musica rappresenta un viaggio tra suoni, voci ed elementi naturali. La varietà che è possibile ritrovare nelle sue produzioni lo erge sicuramente tra quei produttori di elettronica da ‘club’ che fanno di ciò una vera e propria arte. Espressività, sensibilità e musicalità caratterizzano le sue produzioni. Ormai nel pieno della sua carriera musicale, percorso che lo ha portato alla residenza di club quali il Tenax, oltre che dietro le consolle di tantissimi club e festival, pare non aver assolutamente esaurito la sua vena creativa, anzi sembra nuovamente destinato a stupire…
Una cosa che trovo sia sempre interessante sapere è quale background musicale e non solo, caratterizzi un determinato artista. Perciò vorrei ci raccontassi come ti sei avvicinato alla musica e all’elettronica in particolare, e quali credi possano esser definite le tue influenze o semplicemente i tuoi gusti in fatto di musica.
Il mio primo amore e’ stato l’hip hop che arrivava dagli Stati Uniti, 1987, una folgorazione! Pensa che il rap non veniva trasmesso alle radio in Italia, avevo un amico che aveva la parabola e riceveva il segnale di MTV america, ricordo che su VHS mi registrava YO MTV Raps… il programma per eccellenza! Questa e’ stata la rivoluzione per me, in un periodo dove tutti i miei coetanei erano “metallari” io amavo questi pantaloni larghi e questi introvabili baseball hats. Avevo degli eroi si chiamavano Public Enemy e Beasti Boys. Questo pezzo mi da ancora i brividi!
Ho sempre ascoltato molta musica, elettronica, black, soul, jazz, broken beats, house… dal 1994 con General Levy “Incredible” ho iniziato ad incuriosirmi al fenomeno chiamato Jungle, che poco tempo dopo tutti avrebbero chiamato Drum’n’bass. “Inner CIty Life” di Goldie mi cambiò nuovamente la prospettiva. I miei riferimenti erano artisti come Roni Size, Fabio, Grooverider, Bryan G… per 6 anni ho suonato d’n’b, un periodo magico che e’ durato fino al 2001 anno in cui l’house tornava a mescolarsi con un certo tipo di elettronica e breaks, vedi Chicken Lips. Non sono mai stato troppo legato all’House classica, a me sono sempre piaciute certe contaminazioni come nel caso di Carl Craig o Laurent Garnier. Ricordo l’ondata French Touch come un bel periodo. Comunque i dischi nel mio ipod non sono raramente dischi dance… Massive Attack, U2, Sade, Tricky, Antonio Jobim, Maxwell, Radiohead… scusami ma sintetizzare il mio viaggio musicale e’ veramente un’ impresa!
Entrando più nello specifico, riferendoci alla tua Hideout quando e perchè hai sentito l’esigenza di creare un tuo personale contenitore di suoni e che tipo di rapporto ti lega a Davide Squillace, come vi siete incontrati e cosa ha reso possibile la vostra collaborazione?
Hideout ha rappresentato un’ avventura, e’ stata una bella esperienza, ci siamo conosciuti nel 2007, ci legava il fatto di essere due dj’s italiani “emergenti” ed una certa simpatia reciproca. Hideout e’ stata una nostra sfida nel cercare di proporre musica e comunicazione in modo diverso, nel giro di poco si e’ messa in evidenza grazie al fatto che avevamo qualità distinte e complementari. Spesso si dice che tutte le cose belle prima o poi finiscono, per Hideout questo traguardo e’ stato prematuro, semplicemente perché ci siamo scoperti persone profondamente differenti e con obbiettivi diversi. Hideout e’ stata un gran miraggio che comunque ci ha tolto molte soddisfazioni.
Recentemente abbiamo saputo di un tuo progetto legato alle arti visive, ci puoi dare qualche anticipazione, raccontarci come è nata l’idea e se oltre alla musica coltivi qualche altra passione o ti dedichi a qualche altra forma di espressione?
Questo e’ progetto su cui sto’ lavorando… ma come in tutte le cose che faccio non mi muovo fino a quando non avverto un certo ordine. Sempre mi sono espresso con la musica e con la pittura, dapprima come writer poi cimentandomi con la tela… nella pittura c’e’ ritmo, energia, nel mio caso molta più’ provocazione… a me piace provocare… Durante i tours invece dedico sempre del tempo a scattare foto, ho la fortuna di vedere posti incredibili in giro per il mondo, spesso sento l’esigenza di fermare quella particolare emozione, quel particolare momento, un immagine che spesso racconta una storia che a me piace. Ho sempre pensato al fotografo come ad uno scrittore pigro. Il bello di un viaggio e’ perdersi, seguire solo l’istinto, e’ l’occasione per farti domande e trovare le risposte che spesso non hai.
Te che nelle tue produzioni hai esplorato anche sonorità minimal, cosa pensi dell’apparente appiattimento produttivo di questo genere, soprattutto in riferimento a ciò che si può ascoltare nelle classifiche di portali quali Beatport? Siamo di fronte ad un’involuzione? Ritieni il formato digitale abbia delle responsabilità in ciò?
Parlando specificatamente di questo genere, gli anni d’oro sono stati dal 2003 al 2006, io non credo di aver mai fatto parte del genere, avevo sicuramente molti riferimenti a quel suono di cui sono stato fan, ma mi sono sempre sentito un ibrido, un brano minimal vive di pochi elementi, incredibile ma i miei dischi avevano 50 tracce! Utilizzavo una stesura pop e non lineare come succedeva nella techno. Come tutti i fenomeni musicali poi succede che implodono su se stessi, si passa inesorabilmente al surrogato, che diventa più accessibile al mercato e alle masse se poi supportato dall’esplosione del mercato digitale. Ma non darei la colpa al digitale, penso che molti degli artisti influenti abbiamo ceduto troppo a certe regole di “mercato”. Uno dei compiti importanti dei djs e’ quello di educare il pubblico e non solo pensare ad espandere il proprio business e a sviluppare ogni mese il “set up” più figo.
Visto che l’abbiamo citato, recentemente Beatport ha firmato un accordo di licenza con la EMI Music, uno dei quattro giganti della discografia, credi questo possa rappresentare una minaccia per un certo tipo di musica o vedi in ciò un’opportunità? Inoltre sembrerebbe che sempre più artisti cerchino di vendere autonomamente la loro musica, credi le due cose siano collegate? E’ questo lo scopo del tuo personale sito web di prossima apertura, raggiungere più direttamente il tuo pubblico aggirando certe logiche?
Sappiamo che il digitale e’ un arma a doppio taglio, da un lato favorisce la pirateria che indebolisce il mercato, dall’altro permette la circolazione di più musica che dovrebbe arricchire culturalmente l’ascoltatore. Trovare il catalogo dei Radiohead su Beatport onestamente non mi dispiace affatto.. credo si possano creare solo più opportunità. Ma i ragazzi devono comprare la musica, vinile o digitale che sia, oggi abbiamo gli strumenti per scovare qualsiasi cosa, e poi diciamocelo, “scaricare” non e’ per niente cool. Il mio sito non venderà’ musica, chissà forse in futuro.. al momento e’ una centrifuga di pensieri, immagini, video, news… racconterà tutto quello che succede quando mi trovo in tour e non solo, in quel momento magico in cui mi perdo ed inizia il vero viaggio.
Parlaci del tuo ultimo EP ‘On the Moon’ in uscita su Ovum Recordings, che anticipa anche tuoi altri lavori di prossima uscita. In cosa pensi possa esser considerato un elemento di continuità con le tue passate produzioni e sotto che aspetti invece ritieni si stia sviluppando il tuo sound rispetto al passato? Sembra di notare una più spiccata ricerca della melodia e della musicalità, sbaglio?
Solitamente mi annoio velocemente, mettersi alla prova per me e’ basilare, se confronti alcune delle mie produzioni alcune di loro sono veramente diverse, ma in comune hanno questo movimento, questo groove che mi porto dietro dai tempi dell’hip hop.. e’ il mio background musicale ad influenzarmi, per cui per me e’ naturale passare da techno a deep house, influenze latine, jazz, afro… da atmosfere scure a solari… “On The Moon EP” porta avanti il discorso iniziato con “Tango”, ovvero cercare di infondere di “passionalità'” la musica che faccio, questo cercavo, più musicalità, più passione, l’emozione. Il nuovo Culprit che ho in uscita a giugno ha accenni disco mescolati ad elettronica ed oscurità trip hop, un mondo ancora differente.
Adesso vivi a Barcellona, si è trattata di una scelta di vita indipendente dalla tua carriera musicale oppure è stato il naturale evolversi di essa, cosa ti ha portato a lasciare l’Italia e cosa pensi della situazione italiana in riferimento alla scena musicale ma non solo? Credi ci sia spazio per i giovani talenti di emergere? Quanto ritieni contino le conoscenze rispetto alle capacità nel nostro paese?
Barcellona è una città fantastica un’esperienza che volevo fare, dico sempre che Berlino e’ troppo fredda per me! Lasciare l’Italia e’ stato fondamentale per crescere sotto diversi aspetti, avvertivo un peso che adesso non ho più e che mai più riuscirà a mettermi. Ogni artista Italiano ha un rapporto odio-amore con lei, io ho sempre pensato che l’Italia dovrebbe essere il paese leader in Europa. Quello che impedisce la crescita e’ da un lato la mancanza di vere e proprie strutture manageriali capaci di far crescere sul mercato la scena locale e non meno importante alcune leggi che di certo non hanno aiutano la nightlife e gli operatori del settore. L’Italia ha bisogno di creare un network forte, maggiore interazione tra le agenzie esistenti, che dovrebbero prendersi cura degli artisti locali e crescere insieme, invece c’e’ l’effetto “scorciatoia” ovvero si fa prima a rappresentare quelli esteri che hanno fatto bene il proprio lavoro nelle LORO nazioni e insieme alle LORO realtà e che garantiscono ADESSO un risultato. Ho sempre sentito mille scuse, e’ una dinamica perversa se ci pensi… L’Italia ha talenti, ma non riesce a costruire intorno a loro la “macchina” e soprattutto dargli quella sicurezza di cui un artista ha bisogno. Io personalmente non mi sono mai affidato a conoscenze per ottenere qualcosa, ma alla musica, queste conoscenze prima o poi ti tradiscono la musica no.
E Miami? Cos’hai in programma per la WMC 2012?
Quest’anno il 21 Marzo suonero al party Ovum con Josh Wink, Steve Bug e Manik, il 22 al party della Bullitt, la mia agenzia, sarà un b2b con Tieschwartz, il 23 suonero’ al Carl Craig and Friends e sabato 24 all’attesissimo Get Lost con Damian Lazarus e tutta Crosstown Rebels.