Essere punto di rottura, essere rivoluzione, diventare icona, non è affar semplice. Si tratta di una di quelle imprese in cui riesce solo un uomo su dieci. Don Buchla ci è riuscito, è stato una di quelle personalità. Mercoledì 16 settembre si è spento in California, lasciando un eredità incommensurabile: filosofia e tecnologia fuse in un unico individuo, che rimarrà immortale.
Spesso, per convenzione o superficialità, si tende a ricondurre il merito unico dell’invenzione del primo sintetizzatore modulare a Robert Moog. Ed è vero. E’ così, soprattutto per la East Coast. Ma nello stesso anno, in quello stesso 1963, dall’altra parte della costa un certo Donald Buchla stava rendendo reale la sua intransigente visione della synthesizer music.
Ma qual era il suo esoterico progetto? Cosa lo differenzia(va) da Moog? Buchla, portò una ventata di anti conformismo nel mondo delle tecnologie musicali, dando vita a quella che ora viene definita “la filosofia della est West Coast”; radicalmente diversa, soprattutto ideologicamente.
Sia le invenzioni di Robert Moog, sia quelle di Donald Buchla, nel corso degli anni ‘60 hanno rimodellato e teorizzato le più disparate possibilità di creazione di paesaggi sonori. Uso il termine paesaggio per sottolineare le loro divergenti prospettive, come se, stessero guardando lo stesso paesaggio, ma da angolazioni opposte.
Punto in comune è che, entrambi gli approcci, sono stati sostenuti dalle rivoluzioni sociali: nel 1960 New York era un luogo di sconvolgimenti politici e sociali. Le lotte sindacali si alternavano agli scioperi avviati dalla Transport Workers Union of America e dalla United Federation of Teachers, in oltre i violenti scontri di Stonewall Riots stavano irrimediabilmente modificando il tessuto sociale. In un certo senso, l’approccio pratico della East Coast incarna questi contesti nelle sue aspirazioni verso efficienza e affidabilità con il fine di emulare gli strumenti orchestrali nel modo più veritiero possibile.
Nel frattempo, sulla costa occidentale, Buchla lavorava al suo strumento elettronico tra la nascita e l’espansione di diverse contro-culture: tra quelle che tendevano a sperimentare tramite “la coscienza espansa” e quelle d’influenza hippy che sceglievano stili di vita alternativi.
Viene da se che, i suoni non-tradizionali e ultraterreni, prodotti dalle sue macchine potrebbero essere interpretati come estensione e riflessione di questa trama sociale.
La filosofia di Don Buchla sembra concedere alla tecnologia elettronica un volto più umano, cercando non solo le più svariate combinazioni e interazioni tra uomo e macchina, ma il loro preciso punto d’incontro.
Così oggi, Buchla, non rappresenta solo l’inventore di una macchina in grado di creare paradisi musicali artificiali mescolando materia grezza e misticismo, ma passa alla storia come l’individuo che più scelse di rappresentare il rifiuto alla conformazione della tradizione. Ha inventato un nuovo paradigma d’interfaccia con l’elettronica, poiché – a suo avviso – è la sintesi stessa ad esplorare l’oscuro, piuttosto che aderire ad una struttura fisica. Ha sempre scelto di seguire strade non battute, col fine unico di stimolare la creatività dei musicisti. In che modo, vi chiederete. Dietro ogni scelta tecnica di Buchla sembra esserci un pensiero ben strutturato, un ragionamento metafisico. Chiaro esempio fu la sua decisione di non legare necessariamente gli strumenti ad una tastiera. “Una tastiera è dittatoriale”, disse. “Quando hai una tastiera in bianco e nero, è difficile suonare qualcosa che non sia della keyboard music.” Una scelta che sembra voler incoraggiare il pensiero non convenzionale dei musicisti. Moog, scelse invece un approccio più classico, inserendo l’ausilio della tastiera per facilitarne la praticità grazie all’immediato impatto visivo dei tasti.
Si, la parte tecnica è importante certo, ma quanto? Quanto davvero è importante parlare dei diversi aspetti tecnici in un articolo che altro non vuole essere che un’umile commemorazione? Credo che in questo contesto, la cosa migliore sia riuscire a ricordare Buchla per la sua genialità e potenza creativa: “I always figured that if I made something that was too popular, that I was doing something wrong and had best move on”, disse. “And I’ve always enjoyed being on the edge”. Questa citazione racchiude il cuore della sua filosofia. Il suo “manifesto della sintesi” può quindi vantare un’affermazione autentica di quelle “parole d’ordine” ormai abusate: pioniere, anticonformista, sperimentale e innovativo. Ha rappresentato una rivoluzione musicale così come un punto di riferimento scientifico, nonché un trofeo per le controculture Californiane.
Trovo sia affascinante, vedere musicisti contemporanei abbracciare idee innovative di 50 anni fa con lo stesso entusiasmo, come se il tempo non fosse passato, perché è così che funziona: Buchla sembra aver prodotto strumenti elettronici in grado di non diventare mai obsoleti.
Qui nel video a seguire Alessandro Cortini mentre si esibisce al fianco del Maestro.
Essenzialmente la sintesi moderna è una fusione di entrambe le filosofie e di molte altre influenze overword. Con la crescente popolarità di nuovi formati modulari, come l’Eurorack, i musicisti sono ormai totalmente liberi di plasmare il loro suono come meglio credono con l’uso di uno strumento composto da singoli componenti (moduli) destinati a dare le svariate funzionalità desiderate. Questi moduli possono essere combinati in vari modi per ottenere una gamma diversificata di suoni. In questo senso, Moog e le intenzioni divergenti di Buchla progrediscono fianco a fianco: i sintetizzatori continuano ad essere utilizzati in sincronia per rispondere alle ambizioni musicali classiche e contemporaneamente per contestare tutto ciò che è ritenuto “impossibile”.