Prima di tutto una serie di doverose premesse: non siamo stanchi, non abbiamo smesso di essere curiosi e, perché no?, crescendo le nostre possibilità economiche ci permettono di goderci più (e meglio) i nostri meritati svaghi. Se solo lo volessimo. Certo, dividere la stessa stanza con centinaia (talvolta migliaia) di ragazzi ben più giovani di noi può metterci a disagio, ma non è questo il vero problema. Non è nemmeno quel falso mito che superati i trent’anni ci vogliono tre giorni per riprendersi da una serata a tirar mattina.
La verità è che ci annoiamo da morire.
Va bene, anche questo va detto: siamo diventati una generazione di attention whore. Non è esiste una e una sola volta che le nostre “azioni social” non siano mosse dal semplice intento di generare like, cuori e interazioni di ogni sorta. “Ma basta con Berlino! Berlino non è più la stessa da quando si è riempita di italiani!”, “la trap fa cagare: quando noi avevamo l’età di questi ragazzini qui, sì che ci divertivamo”, “a ballare? Non scherziamo, piuttosto pizza, divano e Netflix!”. E giù luoghi comuni a non finire, sempre gli stessi. E ancora giù con la pioggia di consensi, sempre delle stesse facce.
Sì, anche tutto questo ha ampiamente stancato, ma oggi il punto non sta qui. Il punto è che certe volte questi incurabili brontoloni hanno ragione: prima era meglio. Almeno in una certa misura.
Anni fa – non troppi, per carità – per tanti giovani andare a ballare era in qualche modo una sorta di conquista. Esisteva una selezione alla porta (con annessa possibilità di restar fuori, alla corda, per ore senza poi riuscire ad entrare nel club), esistevano delle pubbliche relazioni volte a far conoscere il club e scoprire la sua musica. Esistevano pure dei dj che nella vita “facevano i dj” e il cui talento veniva misurato in base al divertimento del pubblico e non sul numero di nomi segnati in lista prima che il party cominciasse. Ma soprattutto si aveva la sensazione che i promoter – e quindi i diversi club – fossero pronti ad accettare la sfida che, settimana dopo settimana, li vedeva come attori principali nella costruzione di un percorso stagionale dove l’identità della loro festa veniva prima di tutto (insieme ai conti a fine serata).
Tutto ciò, almeno questa è la sensazione diffusa, è andato perso perché il mondo della notte è cambiato. Riuscire ad ospitare un artista prestigioso – cosa che comunque non garantisce in alcun modo un ritorno economico proporzionale all’investimento e al rischio d’impresa iniziale – è diventato più importante che dare al proprio progetto coerenza e lungimiranza. Le agenzie l’hanno capito, cavalcando un sistema che oggi conosce un solo vincitore: l’interesse loro e degli assistiti che rappresentano. Gli artisti, raggiunto un certo livello di popolarità smettono di osare, rifiutando qualsiasi sfida che possa minare una confort zone fatta di date a ripetizione e pennette USB piene di dj set tutti uguali.
E i club? La maggior parte di loro conosce una sofferenza fino ad oggi sconosciuta, costretti alla rincorsa di collaborazioni impensabili fino a pochi mesi fa. Sinergie furbe solo sulla carta, il cui unico risultato è l’inevitabile logoramento di quella meravigliosa eterogeneità che rendeva la nostra scena unica, viva e colorata come pochissime altre al mondo. Il risultato, pertanto, è semplicissimo: tante feste che sembrano fatte con lo stampino, in cui pure i flyer cominciano ad assomigliarsi.
Oggi i club si riempiono veramente sempre e solo coi “soliti” nomi che si esibiscono dinnanzi a ragazzi che, inconsapevolmente, vivono la notte senza la minima curiosità. Se si pensa a un dj, oggi come oggi conta più una storia di Instagram che un disco ben fatto prodotto e pubblicato da una label rispettabile – ah, gli influencer!
Ma allora dovete scusarci se a noi “vecchietti della scena” non ci interessa più (o ci interessa meno) tutto questo, noi che abbiamo visto suonare tanti di questi big della scena prima che il business prendesse il sopravvento sulla musica. Scusateci se certi grandi festival non fanno più per noi o se preferiamo un dj bar free entry con un ragazzetto bravo – e sottopagato – a quei club in cui le guest timbrano il cartellino, inesorabilmente, ogni anno. Siamo annoiati e tocca a voi, voi tutti, convincerci che fare mattina ha lo stesso sapore di qualche tempo fa.