Ricordo come fosse ieri la mia prima volta allo Space. Era il 26 Luglio, una domenica, ed io e mio fratello eravamo appena arrivati sull’isola con uno sgangherato volo serale. Inutile dirlo, giusto il tempo di lanciare le valigie in hotel ed eravamo già a zonzo per Playa d’en Bossa in cerca di qualcosa che potesse placare la nostra sete di adrenalina. Al tempo la Domenica ad Ibiza voleva dire solo una cosa: We Love Space. Non ricordo esattamente l’ora, ma quando varcammo finalmente le porte della Terrazza dissi la frase che, nel corso della mia vita come clubber, ha sempre distinto i momenti di massima estasi: “Ma dove cazzo siamo finiti?”. Sopra al muro di pietra della consolle svettavano baldanzosamente gli Hot Chip (nella già non più insolita veste di dj) ed in pista si viveva un’atmosfera di festa che mai prima di quel momento mi era capitato di vivere. Era edonismo, era libertà di espressione, era semplicemente il Paradiso. E poi la sala Discoteca con quegli enormi palloni gialli con lo smile disegnato a dominare una pista bollente come il sole di mezzogiorno a Cala Tarida. Quella sera, fra gli altri, sentimmo tali Steve Lawler, DJ Pierre, Felix Da Housecat, Ewan Pearson ed Abe Duque, in un valzer di emozioni che ancora oggi mentre scrivo mi regala una discreta “Ola” ai peli delle braccia.
La notizia che in questi giorni sta però rimbalzando per tutti gli avamposti della rete è di quelle che non vorreste mai leggere. In un’intervista al media australiano InTheMix, Carl Cox ha annunciato le motivazioni dalle quali è scaturita la decisione di terminare (dopo 15 anni) la sua recidency del Martedì. Pare che dal 2017 la proprietà del terreno in cui è sito il celeberrimo club di Playa d’en Bossa passerà dalle mani dello storico proprietario Pepe Rosello, ormai 80enne, a quelle del management dell’ormai famosissimo nuovo Ushuaïa, ubicato esattamente sul marciapiede opposto a quello dello Space. Il dj inglese ha detto che la sua relazione col locale è stata come un matrimonio quasi senza litigi e che in nessun modo accetterebbe di continuare la collaborazione senza coloro che l’hanno sancita fin dal suo inizio. Non contento, ha rincarato la dose dicendo che l’unica maniera per cui potrebbe pensare di suonare per i nuovi proprietari sarebbe venire pagato 1 milione di euro a serata per suonare la Top10 di Beatport, far riempire più tavoli possibile e fare buon viso a cattivo gioco. Ma non è il suo stile. Si vive insieme, si muore insieme.
Ora però bisogna fare il punto su cosa riserverà il futuro alla struttura. Le parole di Carl sono un brutto campanello d’allarme, considerato che Ushuaïa è senza dubbio il concept che più ha seguito il trend commerciale che ha parzialmente cambiato le regole del gioco sull’isola. Dunque, cosa dobbiamo aspettarci riguardo al futuro dello Space? Solo il tempo ci darà la risposta, nella speranza che sia il più vicino possibile ai valori originali che lo hanno reso il locale leggendario che è oggi.
Da quella sera di Luglio sono tornato molte volte allo Space e ne ho vissuto, anno dopo anno, le diverse anime ed i tanti e continui cambiamenti; quella gay friendly di Cafè Olè, l’intramontabile Be Yourself di Danny Tenaglia, gli albori di Kehakuma, la rivoluzione musicale di Carl Cox e diversi closing di stagione. E prima di me ci sono state centinaia, migliaia di altre storie che comunque non basterebbero a rendere l’idea di ciò che lo Space ha significato per generazioni di giovani (e non) da quando ha aperto i battenti nel lontano 1989. Non senza aver attraversato (e superato) momenti di grande cambiamento, come la copertura della terrazza e lo stop agli afterhour. Speriamo che il tempo gli dia ancora una volta ragione.