Incredulo, son sobbalzato sulla sedia intrecciando freneticamente le mani sopra la testa. Preso dall’estasi del momento, ho alzato sempre più il volume finchè la prima vaga impressione non s’è sedimentata nella mia testa facendosi rapidamente certezza. “Machinedrum – Room(s)” su Planet MU non è solo uno dei migliori album che abbia sentito nel 2011 ma è uno dei pochi che sia riuscito a dare un coerente spaccato sulle declinazioni più innovative dell’elettronica contemporanea.
Non molto tempo fa, nel corso di un’intervista ad su XLR8R, web magazine inglese, il produttore americano Travis Stewart (Machinedrum) dichiarava: “Sento che, più tempo impiego a lavorare su di una traccia, più si disperde l’energia che cerco d’infondere in questa. Ho così iniziato ad esser meno attaccato ai miei lavori e questo esperimento ha portato come risultato che molte delle mie composizioni siano connesse sonicamente ed esteticamente.” Un album quindi che è il frutto di un processo di distacco, d’allontanamento da un clichè predefinito. Un processo che ha permesso all’artista di comporre sulle ali dell’ispirazione e dell’entusiasmo, proteggendolo al contempo da pericolose derive riflessive ed aiutandolo a sfociare in nuove ibridazioni sonore con Juke, Footwork, Bass, Post Dubstep ed Headz, tutti generi che han trovato nuova linfa nel crogiolo alchemico di Travis Stewart a.k.a. Machinedrum.
E cosi, se quanto fatto nel corso degli ultimi 2 anni sotto le vesti di “Sepalcure” (duo in cui è fiancheggiato da Praveen “Braille” Sharma) o nelle ultime settimane come Machinedrum (“Alarma Ep” su Lucky Me) non avesse ancora messo in chiaro ai più le sue doti, con “Room(s)” Travis Stewart torna a ribadire tutta la sua poliedricità artistica, seppur in questo caso lo faccia con un tocco in più. La capacità di flirtare contemporaneamente, nella stesura della stessa composizione, con varie forme di dance music, trova infatti la sua massima espressione in questo album, dove la commistione tra suoni ed atmosfere guida lentamente l’ascoltatore in uno stato d’ipnosi, di distacco dal resto.
A mio modesto parere “Room(s)” è l’apice dell’ascesi artistica di Stewart. Ed avete letto bene ascesi e non ascesa: ritengo infatti che quest’album sia più un tributo all’estensione di coscienza dell’artista e che il sunto dei suoi vezzi artistici. Quest’album m’ha colpito di primo acchitto per la sua personalità, per il suo “carattere” che denota esser scevro da ragionamenti commerciali o aspettative di vendita: è pura sinergia tra lo slancio creativo e le influenze del momento dell’artista. In poche parole, è il supporto fisico che Travis Stewart usa per mettersi in contatto con l’esteriorità e condividere con terzi la propria dimensione interiore. Che poi questa suoni a molti come il prodotto di un mix tra Burial, Four Tet e Hudson Mohawke è pura speculazione giornalistica.
Tracklist:
01 She Died There
02 Now U Know Tha Deal 4 Real
03 Sacred Frequency
04 U Don’t Survive
05 Come1
06 Youniverse
07 GBYE
08 The Statue
09 Lay Me Down
10 Door(s)
11 Where Did We Go Wrong