Un disco educato. Umile. Incredibilmente rispettoso. E, proprio per questo, piuttosto bello. Piuttosto tanto. Travis Stewart alias Machinedrum con questo “Vapor City” è riuscito a fare contemporaneamente sia un passo in avanti che uno indietro. Con le due cose che, magicamente, si sovrappongono, coincidono. Mai come stavolta infatti è stato essenziale, equilibrato, attento a calibrare ogni singola nota ed ogni singola dinamica, senza caricare mai nulla eccessivamente. Essere più leggero per essere più profondo. Un trucco che non sempre riesce, anzi; spesso invece di essere più profondi si è semplicemente – più noiosi.
Stewart ha dalla sua però una “felicità” in certe soluzioni melodiche ed armoniche, anche quelle più inclini alla malinconia, che non gli fanno mai perdere il contatto col calore, con quella che verrebbe da definire umanità e che soprattutto, più che sensualità, è un educato ed affettuoso abbraccio sensoriale. In questo modo non ti annoi mai. Ti intorpidisci, forse, ma col sorriso. Perché sì, ci sono alcuni passaggi in cui “Vapor City” sfiora la noia, ma sono assolutamente minoritari: la stragrande maggioranza del materiale che compone questo album pare fatta veramente per stare bene e stare a lungo nei vostri lettori (nel pre-serata, nel post-serata, nelle prime domeniche autunnali).
Faranno sorridere i più esperti i bei riferimenti a certa intelligent jungle di metà anni ’90 o ai Boards Of Canada e la capacità di innestarli perfettamente in visioni a metà strada fra Burial e i Moderat, li faranno sorridere molto. E’ un sorriso di felicità, la dimostrazione di come esista veramente un filo rosso che parta dai 4 Hero prima maniera e arrivi al meglio dell’elettronica dance attuale di matrice berlinese. Un filo che bypassa completamente chi non ha mai ritenuto opportuno occuparsi di progressioni armoniche…
Parere decisamente positivo, insomma. Senza ricorso ad effetti speciali produttivi, senza “urlare”, Machinedrum ha fatto decisamente centro. Dà a prima vista l’aria di essere un disco solo gradevole e un po’ troppo semplice, “Vapor City”, non un capolavoro che cambia la vita. Ma soprattutto chi non si è vissuto un certo tipo di anni ’90 (quelli dell’Intelligent Dance Music più atmosferica) potrebbe (ri)scoprire un altro approccio possibile alla musica elettronica: non proprio un mezzo per spingere fisicamente la gente in mezzo alla dancefloor, ma sicuramente un modo perfetto per spingere i pensieri a ballare, a lungo, con dolcezza, grazia e malinconia.