La musica di Machweo, al secolo Giorgio Spedicato, classe ’92 – l’anno in cui, per intenderci, Bush padre e Yeltsin mettevano nero su bianco la fine della guerra fredda – è quella che ascolti la sera prima di uscire, sul balcone, sigaretta in mano e intanto guardi la città nera con le sue luci gialle, macinando ricordi e aspettando quello che verrà. Non si tratta solo di animi solitari, perché qui abbiamo a che fare con musica concepita per il piacere di ballare, come ci ricorderà più volte il nostro nel corso dell’intervista. Il ragazzo, di una umiltà a tratti disarmante, si rivela pieno di contenuti su cui varrebbe la pena scendere nel dettaglio, ma – come capita a tutti quelli che suonano – spiegati a parole non rendono come dovrebbero. Lasciamo quindi fare alla musica. Intanto cerchiamo di scoprire quello che sta dietro il progetto Machweo, nato caricando tracce su SoundCloud e sviluppatosi a colpi di EP, LP e tanti live. Da questa generazione di musicisti insomma possiamo aspettarci molto. Non perdetelo in particolare al Mengo Music Fest di Arezzo, dove proporrà un set al fianco dei colleghi Godblesscomputers e Shigeto, questo accade venerdì 11 luglio.
Machweo, Sunset, Tramonto… Ognuno hai il proprio immaginario, il tuo parla del tramonto, ovvero di un momento conclusivo, possibilmente solitario, malinconico, gli ultimi momenti di luce della giornata. Ci parli del significato che associ a questa immagine?
Il concetto di tramonto in realtà era un espediente per qualcosa di più complesso, cioè riferito alla circolarità del tempo. Nel mio concetto, non è qualcosa che finisce, è in realtà l’attesa verso qualcosa che sta per concludersi e per rinascere. È un momento molto malinconico, dal mio punto di vista, ma è anche il mio momento preferito della giornata. Da spiegare è difficile, funziona bene nella mia testa, ma quando cerco di raccontarla, non ci riesco benissimo… È molto legato al sentimento di malinconia è parla di qualcosa che non è effettivamente concluso. Con la mia musica però parlo anche di rinascita.
Un ciclo quindi, qualcosa che non termina, ma che ricomincia.
Un’attesa, meglio. A me piace attendere, ad esempio quando sono in tour, mi piacciono particolarmente i viaggi, l’attesa di cosa verrà dopo. Il simbolo del tramonto c’entra perché è un momento di transizione della giornata, che in realtà dura pochissimo. I momenti di attesa diventano occasioni di pausa, di riflessione. Anche la scelta di non usare parole nelle mia musica è derivata da questo motivo, rende il messaggio più universale.
Ci racconti come inizia la tua storia, nasci come chitarrista, se non sbaglio? Da dove arrivi quindi e, al di là delle influenze, con che cosa sei cresciuto nelle orecchie. Poi perché la scelta dell’elettronica, cosa ti permette di ottenere in termini estetici?
Il mio percorso di musicista nasce da una formazione classica, come autodidatta, sulla chitarra, ma in realtà il progetto Machweo nasce fondamentalmente dalla noia. Detto come va detto. Ero annoiato e volevo fare cose. Intanto avevo voglia di fare musica, avevo scritto qualcosa in passato, ma mi è sempre interessato di più farla che comporla. Per quanto riguarda le esperienze musicali che mi hanno aiutato a formare il concetto Machweo, questo è un argomento un po’ più complesso, perché non vengo dall’elettronica. È stata qualcosa che ho scoperto strada facendo. Probabilmente, uno degli avvenimenti che mi hanno portato a pensare all’elettronica come un genere che potesse comunicare in maniera particolare è stato (forse) il live di Shlohmo al Mattatoio di Carpi. Mi stavo avvicinando da poco al genere e mi ricordo che fu un concerto particolarmente interessante dal punto di vista della comunicazione. Non è uno che suona particolarmente tanto dal vivo, poi quello che fa è sempre un dj set, però sa comunicare così tanto, non solo con la musica ma anche con gesti, con una forma non convenzionale! Alla fine non è un vero e proprio concerto nel senso strettamente tradizionale del termine. Mi aveva stupito molto, poi da tempo avevo iniziato a bazzicare su Ableton, perché facevo il dj al Mattatoio e mi interessava molto il processo di creazione del suono. Era da tempo che, sempre da autodidatta, aprivo un progetto, ci lavoravo, cercavo di capire come funzionava, chiudevo, riaprivo.. Tra gli altri che mi hanno particolarmente colpito, ci sono nomi che non c’entrano niente tra loro, da James Holden, che mi ha devastato completamente, a Villalobos. Poi la precisione tecnica di Jon Hopkins, pazzesca! Questi sono i principali che mi hanno ‘fatto male’.
Quindi tutto da autodidatta?
Assolutamente, mi iscriverò solo adesso a musica elettronica in conservatorio.
Ah bene! L’approccio del conservatorio sappiamo essere diverso rispetto al mondo del clubbing. Cosa cerchi in realtà, perché una scelta del genera è motivata necessità di muoversi con altri criteri.
In realtà si discosta molto dall’ambito clubbing se consideriamo la musica elettronica come qualcosa a sé stante, ma in fondo non lo è. Nel senso che alla fine è musica come altra. La mia scelta è motivata dal fatto che ho bisogno di accrescere competenze tecniche a tal punto da riuscire a fare precisamente quello che voglio. Mi sono quindi iscritto in conservatorio perché voglio imparare per me e per il progetto Machweo, qualcosa in cui credo e su cui voglio scommettere. Dal punto di vista classico si discosta molto dalla musica da club, ma secondo me no.
Senz’altro, è una cosa che pensa anche chi scrive. Se non fosse che siamo in ritardo e che non abbiamo l’intero pomeriggio a disposizione, avrei a questo punto fatto una violenta virata per affrontare con il nostro un’argomento che trovo centrale. Non è stato oggi, ma sarà per la prossima. Penso comunque che succederanno cose interessanti nei prossimi anni, dall’incontro tra la generazione di musicisti di cui Machweo fa parte – che vengono dal djing, dal gruppo rock o in ogni caso da contesti non accademici – e dagli insegnanti – quelli di musica elettronica, che sono stati a contatto con le avanguardie di allora e che oggi sono molto aperti nuovo – si libereranno energie nuove e sarà un beneficio per tutta la produzione musicale. Sono pronto a ritrattare, ma abbastanza sicuro che andrà così. Però adesso torniamo sulla terra. Mentre parliamo di nomi, l’altro giorno avevo in cuffia Holy Other, finito è passato il tuo No Way Out e, ti assicuro, non mi sono accorto del passaggio. C’è qualcosa che arriva anche da quelle parti?
Eh tanto! Della Tri Angle mi piace molto l’estetica che si portano dietro i progetti, oltre che alla musica, quindi sì, Holy Other, ma anche The Haxan Cloak e particolarmente Forest Swords, che si è creato un progetto a metà tra immagine e musica, eccezionale! Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di suonarci insieme, un ragazzo fantastico! La stessa estetica l’ho poi ritrovata in Fatima Al Qadiri, che secondo me non avrebbe sfigurato per niente anche su Tri Angle.
Decisamente! Mentre riguardo all’uso dell’immagine, ultimamente ci occupiamo sempre più spesso di musicisti che lavorano al fianco di artisti e video maker, per abbinare al suono una componente visiva complementare. Come mai adesso sentiamo questa esigenza di dare un aspetto alla musica sperimentale?
Questo è un aspetto particolare per il progetto Machweo, infatti nei live mi sono sempre portato dei visuals che in realtà non sono ancora come vorrei, cioè non sono ancora riuscito a costruire un’immagine adeguata perché aspetto che la cosa maturi anche dal punto di vista musicale. Per ora sono ancora in una fase di ricerca e il lavoro sulle immagini è qualcosa che mi interessa tantissimo portare avanti. Come dicevo, adoro quei progetti che associano a se stessi anche un’estetica, che non deve essere necessariamente quella teatrale di Forest Swords, ma oggi ogni grande artista riesce ad associare un’immagine alla propria musica. Uno che mi ha colpito è James Holden, magari non ha dei visuals fantasmagorici o forse sì… È una cosa tra le tante che sto cercando di raggiungere dal punto di vista artistico.
Chiaro, immagino che sia un percorso in divenire, liquido come la tua musica…
Sì, poi io ho l’innamoramento facile, insomma trovare una strada non è così semplice. Invidio quelli che ci riescono in poco tempo, o in ‘apparente’ poco tempo, ma personalmente la vivo in modo – anche forse – troppo complesso.
Pensi che con Tramonto sia cambiato qualcosa rispetto a Sunset, vero che è un singolo, ma mi è sembrato di avvertire più beat da subito rispetto alle produzioni precedenti. È una volontà precisa?
Se posso essere sincero, il fatto che prima ci fosse meno beat, meno cassa era perché ci stavo ancora lavorando, non era – diciamo – una scelta vera e propria. Ho sempre giocato un po’ in difesa da quel punto di vista. Adesso che sono riuscito a trovare una strada che mi convincesse musicalmente, con anche la fortuna di avere il supporto di Andrea Sologni [owner di Igloo Audio Factory] durante la produzione, ho potuto realizzare qualcosa di più maturo, come Tramonto. Questo – intendiamoci – è quello che voglio fare rispetto al passato, anche se ci sono cose che terrei comunque. Ci sono tracce che non sono passate minimamente agli ascoltatori, nell’EP No Way Out c’era un pezzo che, non dico fosse minimal, ma erano 7 minuti di cassa dritta. Non se l’è filato nessuno, ma in realtà era una delle cose che volevo fare, ma che non ero ancora esattamente in grado di affrontare. Adesso, sempre con l’aiuto di Andrea Sologni, sto lavorando ad un nuovo disco che sarà sicuramente più complesso dei lavori precedenti, sia dal punto di vista acustico, perché si lavora con altre macchine e quindi con la possibilità di avere suoni migliori, sia dal punto di vista di una struttura del pezzo. Più pensato, mentre le uscite precedenti, come quelle per Flying Kids, sono state più ‘di pancia’, ora invece c’è molta ricerca. Infatti i lavori si stanno prolungando nel tempo in maniera esasperante, ma spero che qualcosa esca allo scoperto a breve. Comunque sì, dal vivo faccio molte tracce nuove, che ancora non sono state rilasciate perché ancora dobbiamo trovare la formula giusta. Visto che ci sto impiegando tempo e sto facendo sforzi dal punto di vista economico, sto calibrando tutto, ecco non vorrei sprecare il risultato troppo facilmente.
Diciamo che è cambiato qualcosa anche in termini di consapevolezza, no?
Fondamentalmente prima era un ‘hobby’, facevo musica perché avevo semplicemente voglia di farlo, poi è capitato che qualcuno ne parlasse – di questo ne sono felice – e quindi adesso parto con la consapevolezza che da una parte c’è qualcuno che mi ascolta e dall’altra ci sono io che ho imparato qualcosa in più e non vorrei sprecarlo. Preferisco metterci più tempo, pesare di più, quindi..sì, sono più consapevole!
Dici che alcune cose le hai fatte di pancia, ma pare che il tuo sia stato un approccio particolare: lavori nel silenzio, mantieni un profilo basso. Immagino faccia parte del tuo carattere, della tua personalità, che si riflette in termini musicali…
Per essere spudorato, ti dico che oggi la maggior parte di quello che ho fatto in passato non mi piace, o meglio molte cose non mi piacciono più, però sì, sono riservato.
Si parla tanto di una scena italiana, soprattutto in riferimento alla tua generazione. E mettiamoci pure parte di quella precedente. Cosa pensi stia succedendo in questo momento? Esiste secondo te una scena vera e propria italiana oppure molti guardano (troppo) all’estero?
Guarda, c’è stata la convention dei beat maker italiani a Firenze, credo che quello sia un buon punto di partenza per la scena italiana. Il problema è che non mi sento tanto di far parte di quella scena, perché in realtà io non sono precisamente un beat maker. Penso che quella scena sia estremamente presente e forte e, per quanto ci conosciamo tutti – c’è gente bravissima come i miei amici Godblesscomputers e Go Dugong – io in realtà prescindo un po’ da quel genere. Per prima cosa non mi sento molto all’altezza di quegli artisti, ma anche per quanto riguarda i canoni di genere. In realtà non saprei che genere faccio..
Figurati, non mettiamo paletti! Ma quel sottobosco nutrito di musica – occhio che lo dico – sperimentale di cui fai parte, ci fa ben sperare, tra producer ed etichette direi che ci sono ottime capacità…
Beh, un nome italiano come Vaghe Stelle – a me fa impazzire – uno che sicuramente a Firenze non ci sarebbe mai andato. Però probabilmente è uno che all’estero è visto molto meglio che in Italia. Ma questo è un problema tutto italiano: siamo così abituati al testo, diamo troppa importanza alle parole, che non esiste ancora un terreno fertile di ascoltatori per questa scena. Spero che prima o poi arrivi, voglio dire, facciamo parte del mondo no? Sarebbe ora.
Ospite a Musical Box, trasmissione che non sceglie i nomi a caso, invitato al Festival Filosofia, selezionato per la portata ‘spirituale’ della tua musica. Un immaginario esoterico che si ritrova anche nei ritmi tribali spesso ricorrenti.
Assolutamente! Machweo significa tramonto in lingua swahili e io avevo scelto l’esoterismo tribale – per quanto lo conosca poco – perché quella cultura mi aveva da sempre molto affascinato. Probabilmente si sente molto adesso e si sentirà sempre di più. È come se avessi fatto delle cose che mi sono poi sfuggite di mano. All’inizio, quando le mie produzioni sono piaciute alle persone che mi hanno lanciato – persone che ringrazierò sempre, come i ragazzi della Flying Kids – probabilmente non ero ancora pronto per fare tutto ciò. Però mi ci sono ritrovato in mezzo! Adesso ho acquisito le competenze tecniche per portare quel messaggio e prima o poi arriverà.
Avevi accennato alla dimensione live, quando vai a sentire un live set che cosa vorresti ricevere e quindi cosa vorresti che il pubblico si portasse a casa da una tua performance?
La questione live è questa: all’inizio avevo un po’ di timore ad uscire dal vivo, appunto perché era qualcosa che non ero mai riuscito a preparare al massimo. Fino a qualche mese fa i miei live erano orribili [non ci crediamo, esagerato] perché non avevo acquisito delle conoscenze utili a divertirmi personalmente sul palco. Adesso magari le cose sono un po’ cambiate, quello che mi aspetto dalle persone è tutto tranne che arrivi un particolare messaggio. In realtà è qualcosa che si basa di più sull’intrattenimento, vengono a vedere il mio live perché vogliono ballare su qualcosa su cui non è usuale andare a ballare. Mi aspetto che si instauri un rapporto di empatia particolare che, magari con altri generi, non è così immediato che succeda. È una questione di rapporti tra le persone, come se io dicessi qualcosa e gli altri si divertissero a sentirmele dire. Mi aspetto che la gente si diverta, fondamentalmente.
Si parla tanto dei tua ossessione per la campionatura dei suoni – fonti riferiscono che hai campionato pure un lavandino – che cosa vuol dire per te fare ricerca sul suono?
Ci sono tipologie di suoni che nella mia testa funzionano molto bene e che cerco di portare in tutto quello che faccio. Mi piacciono molto di più i suoni morbidi rispetto a quelli acidi e quindi, se voglio suonare uno strumento, faccio ricerca su un suono che rientri nei miei canoni. Ricerca per me significa che ‘perdo’ un’intera giornata per trovare un suono giusto che poi non sarà mai neanche pubblicato. È un lavoro piuttosto pratico, proprio da martello e scalpello.
Siamo nella stagione in cui fioriscono i festival indipendenti, sarai sul palco del Radar a Padova e al Mengo di Arezzo.
Al Radar ci sono stato l’anno scorso ad aprire i Suuns, quest’anno però a Padova portiamo la formazione con la band e credo che sia quella che abbia l’impatto maggiore dal vivo. Ci sono chitarre, tastiere, basso e batteria, mentre io mi occupo principalmente delle strutture dei pezzi e di Ableton. Fornisco la base su cui gli altri suonano sopra con gli strumenti, su cui faccio poi manipolazioni e filtraggi vari, oltre a suonare anche su chitarra e tastiere. Al Mengo invece è la prima volta ed anche in questo caso sarò con la band. Poi con Shigeto e Godblesscomputers andiamo a Lecce al Fuck Normality, dove suonerò da solo e proporrò il live che sto provando adesso. Saranno principalmente pezzi nuovi e farò quello che faccio con la band, ma senza la band: suono tastiere, synth, pad e tutto il resto. Poi ci sono un sacco di date… [le trovate qui]