Un santone della dubstep originale, quella più spirituale e rigorosa, quella che vive prima di tutte nelle lacche, negli acetati, e che è lontana mille anni luce dall’edonismo superficiale e commerciale che pare aver contagiato il genere, o almeno una sua parte: questo è Mala. Ecco. Cosa ci fa allora alle prese con la musica latinoamericana, col latin-jazz cubano? Tutta colpa di Gilles Peterson. Mala ci racconta come e perché (e con quali difficoltà) è nata una delle più interessanti uscite discografiche del 2012.
Partiamo, banalmente, dagli inizi: come è nato questo progetto? Un progetto molto particolare e per nulla scontato, almeno a livello di idee…
Nasce tutto da Gilles Peterson. Una nota marca di rhum lo aveva invitato a farsi un po’ di giri a L’Avana, per raccogliere materiale per fare una compilation. Ad un certo punto, decise di portare pure me. Era il 2011, l’anno scorso quindi. Secondo lui dovevo assolutamente esserci, vedere, sentire…
E secondo te?
Secondo me, non avevo la più pallida idea di cose aspettarmi, e se la cosa avesse senso. Davvero: nessuna. Senonché dopo averci riflettuto su ho compreso che proprio questo era il punto, e credo che proprio questo fosse alla base di questa decisione Gilles: la scoperta. Mettere in contatto mondi musicali che, di loro, non si parlano e non si parlerebbero.
Un gran rischio. Ci sono stati dei momenti, durante la lavorazione di questo progetto, in cui hai pensato che in realtà era tutto un azzardo e non si stesse andando da nessuna parte?
Moltissimi. Anche perché, sinceramente, non mi ero mai ritrovato a lavorare in condizioni come quelle: di mio non ho mai voluto lavorare ad un album, e in più sono anni che lavoro quasi esclusivamente da solo, senza collaborazioni, men che meno collettive. E’ stata una sfida grossissima, insomma. Ma i momenti in cui mi sembrava che questa sfida fosse insensata o comunque impossibile da vincere sono stati tanti. Veramente tanti. Pure dolorosi, perché fa male sentirsi improvvisamente non all’altezza. E lì, ci tengo a dire una cosa…
Vai.
I musicisti cubani. Fantastici. Sono stati meravigliosi con me. Hanno avuto una pazienza, credimi, incredibile. Mi hanno dato una totale libertà di azione, dimostrandomi una fiducia che io per primo non sapevo se meritare o meno.
Tra l’altro tu venivi da un mondo per loro musicalmente alieno: non credo che strumentisti di vaglia del jazz latinoamericano a Cuba abbiano molto a che spartire con la scena dubstep dura e pura, quella di cui tu sei un portabandiera.
Sì, ma non credere: essendo musicisti di altissimo livello, hanno girato molto per il mondo e – di conseguenza – hanno ascoltato tantissima musica nei loro viaggi. Non erano insomma a digiuno di elettronica.
Però la tua elettronica è particolare, molto particolare…
In effetti erano meravigliati per il tipo di frequenze basse che riuscivo ad ottenere. Vedevo veramente sorpresa e stupore nei loro occhi. Così come apprezzamento.
Ma invece quale pensi che sarà la reazione della scena dubstep, magari quella più rigorosa di cui tu sei uno dei massimi rappresentanti?
Se questo disco ad essa non piacerà, beh, pazienza. Io sono comunque grato al destino di avermi riservato un’esperienza creativa come questa. E’ stato un accrescimento per me, come artista e come uomo, eccezionale. Comunque ti posso dire che almeno un paio di tracce le inserisco ormai regolarmente nei miei set, penso a “Changuito” e “Tribal”, e la reaizone del pubblico – del “mio” pubblico – è sempre ottima. Ci tengo però a dire una cosa: quando io creo una traccia, non mi pongo il problema se essa debba essere fatta per stare nei dancefloor o invece negli ascolti personali, casalinghi. No: l’unica cosa che mi interessa davvero sono le frequenze, la loro profondità, la loro intensità. Le frequenze, per me, sono tutto.
English Version:
An original dubstep maestro, and we mean the most spiritual and rigorous dubstep, the one the lives first and mostly through dubplates and that is thousands of miles away form the superficial and commercial hedonism that has seemingly affected the genre, or at least a part of it: this is Mala. Right. So, what the hell is he doing with latinoamericana music, with Cuban latin-jazz? What’s the deal? It’s all Gilles Peterson’s fault, actually. Mala tells us the what and why (and the how hard it was) of one of the most interesting released in this 2012.
It may be banal, but let’s start from the very beginning: how was this project born? Sure it’s an unusual project…
It was all Gilles Peterson’s fault. A famous rhum brand invited him to hang out at Havana, as it asked him to collect some stuff in order to make a compilation of latin-jazz music or so. Suddenly, he decided to bring me with him. He was like “Mala, you defintely have to come with me, see, hear…”.
And you were like…?
I was like, I didn’t have a clue. Didn’t know if there was a point in it. Really. But, after thinking about it, I realised that this is what it was all about: being clueless. It was all about discovering – guess that was Gilles’s intention… Putting together musical worlds that never spoke to each other, and never ever meant to do it.
Risky enough. Have you ever had any moment, during the work in progress, where you were like “No, this is not going to work, we’re going nowhere”?
Many of them. Many. Also because, honestly, I was never in the position to work on something like that: never worked on a proper album, plus it’s years I mostly work alone, no collaborations and stuff. It has been a great challenge, actually. Had many moments when I felt this challenge was pointless, or simply leading nowhere. Loads of them. It was even harmful, because it hurts when you suddenly feel not adequate enough. But then, there’s one thing I really want to say…
Please.
The Cuban musicians. Amazing. They’ve been wonderful with me. They were so patient, believe me. Unbelievable. They gave me complete freedom, showing a confidence in me that I didn’t even know if I was deserving it.
Plus you were coming out, in their perspective, from a really alien music environment: guess latin-jazz musicians from Cuba are not likely to be familiar with the purest and most rigorous dubstep scene, the one you represent the best…
Yeah, but bare in mind: they’re top level instrumentalists, they’ve travelled the world, heard so many different stuff in their journeys. They were no strangers to electronic music, actually.
Right, but your electronic music is really peculiar.
I see… Actually, they were really amazed by the low frequencies I was coming out with. They were really surprised, I saw that in their eyes. Surprised, and amazed.
But what about the hardcore dubstep scene? What will be its reactions, to such a diverse musical effort?
Well, if it doesn’t like it, no problem. I’m so grateful I’ve had such an experience, it was so creative, it was mindblowing. I grew up a lot, as artist but even as human being, really. Anyway, I regularly play in my sets tracks like “Changuito” and “Tribal” and I have to say that crowd reactions – and I mean “my” crowd – are great. But let me tell you one thing: when I produce a track, I never and I mean never think if it’s suitable for clubs or home listenings. I simpy don’t care. All I care are frequencies. How low they are, how intense. Yeah man: frequencies, to me, are everything.