La Permanent Vacation l’ha fatto ancora: esattamente come con John Talabot l’anno scorso, l’etichetta di Monaco ha preso un talento emergente della scena deep house e gli ha fatto fare il gran salto di qualità, rilasciando un album di livello stellare e trasformandolo così da “quello bravo che conoscono solo gli addetti ai lavori” a “il nome nuovo sulla bocca di (quasi) tutti”.
Prima di quest’album, infatti, il buon Mano (che all’anagrafe si chiama Nial Mannion ed è uno dei tanti berlinesi d’adozione) aveva stampato giusto qualche ep e qualche remix, tutti validissimi e nelle borse di molti dj importanti e non, per carità, ma non si può certo dire che fosse un artista affermato: con questo “Changing Days”, invece, ci sentiamo di dire che i tempi sono maturi per vederlo sui palchi dei grandi festival della prossima estate e di sentirlo citare come uno dei grandi breakthrough del 2013.
Lo stile dell’album è molto particolare, e si può dire senza troppi problemi che è un perfetto compromesso tra quello che Mano ci aveva già fatto sentire e il solco già tracciato dalla Permanent Vacation, anzi musicalmente è un proseguimento più che degno della strada già intrapresa col suddetto album di John Talabot, uno dei più grandi successi dell’anno appena passato: squadra che vince non si cambia, ma si evolve seguendo punti di vista diversi, e il punto di vista di Mano sul tema deep e ipnotico è estremamente interessante.
Pad morbidissimi, battuta piuttosto lenta e spinta emotiva predominante in tutte le tracce sono la cifra stilistica di tutto l’album e di Mano in generale, che qui si concede anche di prendere il microfono e cantare in alcune tracce, come “Cannibalize” e “Primitive People”, il che aumenta ulteriormente il fattore earworm facendo sì che già dopo il primo ascolto vi troviate a canticchiarle tra di voi, scuotendo lentamente la testa come il mood dell’album prevede: astenersi fan dell’headbanging violento e dello sculettamento, qui siamo in zona “occhi chiusi e ondeggiamento delicato”.
Il problema degli album così emotivi è che spesso lo spettro di emozioni che coprono è molto limitato e, fondamentalmente, li si può ridurre a un mucchio di tracce da buttare sulla pista al momento adatto per scatenare le mani al cielo e gli occhi lucidi, ma Mano e la Permanent Vacation non sono gente da dj tool e anzi, lo studio e la cura per il percorso emotivo dell’intero album è evidentissima: certo, le tracce da mani al cielo e occhi lucidi ci sono e sono di altissima qualità (“Nothing Good Gets Away”, in particolare), ma c’è spazio anche per momenti più intimi, quasi introspettivi, come in “Please” che, volendo continuare il parallelismo con “ƒIN” è un po’ la “So Will Be Now” della situazione. Lenta, leggermente cupa e splendida.
La traccia migliore dell’album però, almeno secondo chi scrive, è la chiusura: in “The Sea Inside” c’è tutto Mano Le Tough, c’è l’abilità di descrivere un intero paesaggio usando solo tre-quattro suoni, come pennellate di un impressionista che guidando l’ascoltatore attraverso le emozioni racconta storie appena accennate; in questo caso il tema è la piccola città sul mare dov’è nato lo stesso Mano, ma siamo sicuri che sarebbe in grado di raccontarci qualsiasi cosa col talento che ha dimostrato in quest’album.