Il termine underground ultimamente, come ci suggerisce il nostro caro amico Radio Slave, va trattato con le pinze, ma non si può prescindere dal giudicare tale il Berghain. Uno dei pilastri, da sempre al servizio del club di Berlino, è Marcel Fengler. Lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo primo album, “Fokus” uscito l’8 luglio su un’etichetta a lui cara, la Ostgut Ton. L’album può essere definito con un unico aggettivo: “sperimentale”! Nel corso dell’intervista abbiamo ripercorso le varie tappe della formazione musicale di Fengler, partendo dagli esordi, passando per le evoluzioni fino ad arrivare ovviamente a Fokus.
Intorno agli anni ’90, all’inizio della tua carriera da dj, hai iniziato con l’hip-hop. Come sei passato all’elettronica?
Da bambino ascoltavo molta musica hip-hop e suonavo alle festicciole di compleanno di amici. Devo il mio interesse per l’elettronica ad un film che vidi in quegli anni, chiamato Beat Street. Si tratta di un film abbastanza famoso degli anni ’80 che mostra l’essenza dell’hip hop, della break dance ecc. In quei tempi nel GDR non c’erano reali possibilità di entrare in quel genere di cose, cosicché, per me, divenne una sorta di ossessione. C’è una scena particolare di quel film, in cui un personaggio campiona delle gocce d’acqua aggiunte di effetti da un piccolo mixer; dopo aver visto quella scena mi sono detto: “Cosa?!” Quella fu la prima volta in cui pensai che l’elettronica poteva essere usata per fare musica sperimentale. Hip hop e techno comunque erano due generi distinti per me, c’erano differenti attitudini in Germania all’epoca. Nei primi anni ‘90 ho iniziato a frequentare, con i miei amici, party e club di Berlino e dintorni organizzati perlopiù segretamente, promossi solo attraverso il passaparola e questo è stato un periodo bellissimo. Poco dopo abbiamo iniziato noi stessi ad organizzare i primi parties. Beh, non c’era molta organizzazione, ci si riuniva a casa di amici ad ascoltare nuova musica su nastri, solo qualche anno dopo sono diventati più seri grazie alla presenza di veri djs. Eravamo davvero legati alla musica, ma naturalmente la nostra tecnica di mixaggio non era perfetta, ma la cosa più importante era ascoltare musica e incontrare amici.
Come è cambiata la scena techno dal tuo debutto ad oggi? Che cosa significa per te techno?
Questa è una domanda piuttosto complessa e posso rispondere solo dal mio punto di vista. Penso che per me la scena è cambiata perché nei dintorni di Berlino è cambiata. I club sono sempre più frequentati da gente internazionale e questo ovviamente ha influenza sulla scena. La musica techno è stata ristabilita ed è stato ristabilito anche il business, e questa tendenza si è diffusa fuori Berlino. La cosa che mi attirava di più delle prime tracce techno erano i synth, così universali, per me c’era sempre qualcosa di futuristico in quei suoni. D’altra parte la techno è la musica degli eccessi e le persone voglio sperimentare questo eccesso. Ballare tutta la notte in un club techno significa lasciarsi andare, perdere il controllo, non avere inibizioni. Comunque non è solo la musica che crea la scena, ma anche il club, la gente, l’energia che può rendere un’esperienza davvero speciale. L’atmosfera, le reazioni del pubblico, e la stimolazione audio-visiva è ciò che mi ha travolto nei primi anni ’90, quando ho iniziato ad andare alle feste. E’ stata una sorta di vibrazione “hippy techno” e ci sentivamo veramente parte di quel movimento, sperimentando cose nuove. Quella sensazione è difficile da trovare oggi, a causa della commercializzazione. Per me molto è cambiato da quando ho iniziato da quando ho iniziato a fare il resident al Berghain, la frequenza dei miei set e dei relativi viaggi sono aumentati molto e questo mi permette di incontrare persone nuove e conoscere nuove culture. Questi per me sono i più grandi benefici di questo lavoro.
Alcuni dicono che hai uno stile rozzo nel mixare le tracce, forse perchè ami mixare differenti sfumature di techno e ambient. Com’è il set perfetto di Marcel Fengler?
Fondamentalmente, mi piace variare stilisticamente nei miei set. Proporre un set dove tutto è già pre-formulato e predisposto non fa per me e proprio non mi interessa. All’inizio della mia esperienza al Berghain, ho spesso suonato alle aperture delle serate, cosa che mi piace ancora molto perché posso spaziare con ambient e techno. E’ un modo per sperimentare mix con generi differenti e creare qualcosa di veramente unico, uno stile veramente mio. Per i set più lunghi, preferisco avere una selezione musicale ampia con me, perché c’è tempo per mixare diversi stili. E’ bello disporre di 4 o 5 ore per un mio set, ma purtroppo non è sempre così. In ogni modo un buon set di 2 ore è altrettanto efficace e piacevole.
Come sei diventato resident del leggendario Berghain?
Prima del mio approdo al Berghain ho praticamente suonato ogni volta che ho avuto l’opportunità. Volevo solo esibirmi e vedere le reazioni che avrei avuto dalla gente. In un certo periodo suonavo solo sporadicamente, e a volte, sono sceso a compromessi per la musica, cose che oggi mi farebbero esclamare: “Oh mio Dio!”. Ma sono state tutte esperienze di crescita che mi hanno aiutato ad arrivare dove sono ora. Quando il Berghain ha riaperto nel 2004, invece di investire su dj affermati, era alla ricerca di nuovi talenti e quell’occasione è stata perfetta per me. Mandai loro un mio mix e pochi giorni dopo ottenni un incontro e così è andato il mio primo gettone da dj al club e da allora suono una volta al mese. Al tempo, nessuno di noi sapeva come si sarebbe evoluto il club, ma adesso sono molto grato per come è andata e per come si è rivelato il tutto. Il djing al Berghain per me è stato il punto di partenza ed è dove sono tutt’oggi.
Il Berghain è chiamato “Techno mecca” teatro talvolta di un sound che si avvicina alla techno “old school”, altre volte di un sound più vicino ad una sorta di “new school”. Tu come definisci il sound del Berghain?
E’ esattamente quello che hai detto tu. Si tratta di un mix totale di stili ed influenze. Non credo che ci sia uno specifico “Berghain sound” in quanto tale. I djs descrivono il “Berghain sound” scuro, cupo, minimal techno ma in realtà questo è solo uno stereotipo che non da giustizia al club e alla sua atmosfera. Quando passi tanto tempo al Berghain senti più di una sfumatura musicale, perché nel corso di una sessione puoi sentire differenti forme di techno e house. Penso che alla fine definire il “Berghain sound” è solo un modo per etichettare il club e chiuderlo in una scatola.
Il Berghain Mix #5 è stato mixato da te. Come hai avuto l’opportunità di farlo? Quanto è stato difficile scegliere le tracce?
Per me l’approccio al mix di un CD è piuttosto diverso rispetto ad un podcast. Con un podcast ti puoi semplicemente sedere per mezz’ora e lasciare che il set vada, come un club mix, mentre con il mix di un CD la storia è diversa. Volevo che si avvertisse la mia presenza sin dalla prima traccia. L’idea era di combinare stili differenti – parti heavy e ipnotiche con sezioni leggermente più groovy. Inizialmente non volevo metterci molta musica inedita, la mia intenzione era di inserire roba che mi aveva ispirato dal passato, ma poi mi sono ritrovato con un mucchio di nuova musica davvero bella e mi sono ritrovato con una dinamica completamente differente rispetto a quello che mi aspettavo. Ho chiesto anche ad alcuni artisti se potevo campionare la loro musica per il CD come Convextion. C’è una storiella dietro i campionamenti di Reagenz (Jonah Sharp e Move D): avevo incontrato entrambi in Giappone nel 2010 per il Labyrinth festival, ero sul dancefloor la mattina, mentre suonavano questa traccia e pensai che era davvero notevole. Quando tornai a casa trovai un video della festa su YouTube in cui c’era proprio quella traccia che mi aveva emozionato tanto, perciò contattai i ragazzi pensando che l’avessero già pubblicata, ma non era così. Perciò reagii dicendo loro che ne avevo assolutamente bisogno.
Hai lavorato al progetto “Masse”, su Ostgut Ton, creando con Efdemin (Phillip Sollmann) l’alias “DIN”. Come nasce questa collaborazione? Che cosa significa DIN?
È un acronimo tedesco che significa “Deutsche Industrial Standard”, che è l’autorità tedesca per gli standard di qualsiasi cosa, dai fogli A4 ai container per le navi. Poiché volevamo che il nostro progetto andasse oltre qualsiasi catalogazione, non necessariamente nel contesto dei club, abbiamo usato il nome come una sorta di satira. Il progetto MASSE è stata la nostra prima collaborazione, ovviamente avevamo già suonato assieme nei dj set e ci conoscevamo da prima, ma durante la produzione di MASSE ci siamo accorti che i nostri sound si fondono davvero bene assieme. Abbiamo ricevuto supporto per l’idea anche da Ostgut Ton e abbiamo deciso che faremo altra musica insieme in futuro. Il progetto MASSE è stata un’esperienza incredibile, abbiamo lavorato con dei veri professionisti dello Staatsballett Berlin, in particolare la nostra coreografa Xenia Wiest, che è una persona davvero impressionante e di talento.
L’8 luglio è uscito il tuo primo album, “Fokus”, su Ostgut Ton. Raccontaci come nasce e quali sono le influenze.
Le idee e i concetti sono stati sviluppati prima del processo di registrazione e produzione che è durato tre mesi. In primo luogo per me era importante trovare esattamente quello che volevo esprimere con l’album. Penso sia meglio pensarci un pò su per realizzare una cosa del genere. È un processo lento e difficile creare un album che ti soddisfi, soprattutto se è il tuo primo album, così non potevo davvero sapere quanto sarebbe durato tutta la fase di realizzazione. Una parte del lavoro per il Ballett Masse ha impiegato più tempo di quello che mi aspettavo e ha rubato del tempo che volevo destinare alle altre tracce di Fokus, così ho dovuto lavorare all’album durante la mia vacanza in Tailandia. Alla fine si è rivelato utile come ispirazione per alcuni suoni che ho incorporato al prodotto finale. Il mio lavoro di produzione per l’ultima uscita su Ostgut Ton era al limite tra house e techno ed è proprio quella la direzione che avevo pensato di intraprendere per Fokus, ma alla fine è venuta fuori una cosa diversa per tutte le nuove idee e gli approcci che ho usato poi nel processo di produzione. Inizialmente non ero sicuro se avrei dovuto renderlo un progetto completamente nuovo e indipendente o se continuare con vecchie idee da incorporare al lavoro. Il risultato è probabilmente un misto di entrambe le cose, in cui le tracce “da club” e quelle più sperimentali trovano posto allo stesso modo.
Che cosa ne pensi dei festival techno che si svolgono oggigiorno in quasi tutti i paesi rispetto all’ambiente underground da cui provieni?
Penso che entrambe siano sempre esistite dall’inizio. I festival e i club sono parte integrante dell’intera scena musicale e si ispirano a vicenda. Ma sai com’è, la domanda crea risorse e in essa vi sono interessi commerciali vari, come in ogni industria. Penso che si debba considerare ogni evento individualmente. Sono entrato in scena tramite il contesto dei club e non smetterei mai di andarci come dj o come ospite, ma ho suonato anche in fantastici festival che non dimenticherò mai. Perciò credo che non sia questione di scegliere, nessuno dei due aspetti è esclusivo, né dovrebbe esserlo.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Nella seconda parte dell’anno lavorerò sicuramente alla mia etichetta IMF. Fino ad ora ho pubblicato solo una parte del mio materiale per IMF e sono stato talmente occupato con Fokus da non avere tempo per altri progetti. La cosa bella a riguardo è che non c’è pressione o limite di tempo. Ho già delle idee per la prossima uscita e ci saranno nuove facce sulla mia etichetta, ma non voglio rivelare troppo! Phillip (Efdemin) ed io sicuramente continueremo la nostra collaborazione come per DIN, abbiamo da poco prodotto una traccia per una compilation in uscita su Ostgut Ton. Ci sono altri progetti per il teatro e per Ostgut Ton, perciò vediamo che ne viene fuori. Continuerò anche il lavoro con il mio compagno di studio Peter van Hoesen. Abbiamo idee simili per i live-show e spero di lavorare con lui a qualcosa di concreto in futuro.
English Version:
As our dear friend Radio Slave suggests, we’d better be careful with the use of the word “underground” lately. However, we can’t define otherwise the Berghain. One of its pillars, who’s always been at the service of the club in Berlin is Marcel Fengler. We interviewed him at the release of his first album, “Fokus” released on July 8th on his beloved label Ostgut Ton. The album can be defined with a single, appropriate adjective that is “experimental”! During the interview, we went over the various stages of Fengler’s musical education, starting from the beginning, through the evolutions in order to arrive, of course, to Fokus.
You began as a dj around the 90’s with hip-hop music. How did you shift your taste to electronic?
As a kid I listened to a lot of hip hop music and played it at small birthday parties for friends. I got into electronics through a movie I saw around this time, called beat street, a pretty famous movie from the 80’s showing the essence of hip hop, break dancing etc. At that time in the GDR there was no real opportunity to get into that kind of stuff, so I got pretty obsessed with it. There is one special scene in the film where a character is sampling water drops, adding effects with a small mixer… and I was like “What?!”. It was the first time I thought that electronics could be used to make experimental music. But Hip Hop and Techno were two separate genres in my mind since there were different attitudes at this time in Germany. In the early 90´s I started to go with friends to parties and clubs in and around Berlin, which were secret and mostly organized by word of mouth. This was a pretty exciting period. Sometime later we organized our first parties by ourselves – well, there wasn’t much organization; first we met at someone’s place and listened to some tapes and new music, then more people came and it would just turn into a party. It took one or two years until it became more serious with real DJs. We were really connected to the music – of course our mixing technique wasn’t perfect but the whole thing was mainly about listening to the music and meeting friends.
How did the “techno scene” change from your debut till now? What does it mean for you techno?
That’s a pretty complex question, and I can only answer from my point of view. I think the scene has changed for me because the surroundings in Berlin have changed. The crowds in the clubs have become more international and that has an obvious influence on the scene. Techno music has been re-established and that also affects the club business, and this trend has spread outside of Berlin. The first thing that really grabbed me with earlier techno tracks was the raw synth sounds that were so tight and totally universal – there was always something futuristic about it for me. On the other hand Techno is music of excess and people want to experience that. Dancing all night in a techno club is all about letting go and losing control – having no inhibitions. But it’s not just the music alone that creates the scene; it’s also the club, the people, the energy that really makes it a special experience. The atmosphere, the crowd reactions and the audio-visual stimulation is what overwhelmed me in the early 90’s when I first started going to parties. It was a kind of hippy techno vibe, and it felt like a movement that we were a part of, experimenting with new things. That feeling is hard to come by today because of the over commercialization of certain parts of the scene. A lot has changed for me since I started my residency at Berghain; the frequency of played sets and related travels increased a lot. But I really do love to travel meanwhile. Meeting different people and experiencing other cultures are some of the biggest benefits for me on this job.
Some people say that you have a rough mixing style, maybe because you like mixing different genres of Techno and ambient. How would you describe your perfect set?
Basically, I like playing stylistically varied sets with many genres mixed in. To play a set where everything is pre-set with a pre-formulated idea just doesn’t interest me. In the beginning of my residency in Berghain I played the opening set a lot, which I still like doing because then I get to play some ambient and also some “peak-time” techno. It’s also a really good way to find out what works and experiment with the methods to mix the different sounds and create something that is unique and truly my own style. For longer sets, I prefer to take an extensive selection with me because then I have more time to work different genres and sounds into the mix. I think it’s great to have more time for my sets, but I won’t be playing a 4 or 5 hour set every time – a good compact 2 hour set can be just as effective and is just as challenging.
How did you become a resident of the legendary Berghain?
Before my residency at Berghain, I basically played whenever I got the opportunity. I just wanted to get out there and see what kind of reaction I would get from people. I was playing kind of sporadically and sometimes I made compromises to the music that today would just make me say “Oh my god!”, but they were all learning experiences that helped me get to where I am now. It was just a perfect situation for me when Berghain reopened in 2004 and was looking for new talent instead of investing in already established DJ’s. I sent them a mix and a few days later got a meeting. I got my first DJ slot at the club and since then I play once a month. At the time, none of us knew the journey the club was about to go through, and I am so grateful for how everything turned out. DJ’ing in Berghain was the starting point for me and where I am today.
Berghain is defined as the “Techno mecca”. Its sound looks like the “old school” techno at times, other times like a kind of “new techno”. How do you define Berghain’s sound?
It is exactly what you said. It is a total mix of styles and influences. For me, I don’t really think there’s a specific “Berghain sound” as such. If you’re travelling around as a dj and refer to the Berghain sound, they assume you mean dark, gloomy minimal techno, but that’s really just a stereotype that doesn’t do justice to the vibe in the club. When you spend some time in Berghain, you get more than one impression from the music, because over the course of a session you hear so many different forms of techno and house. I think in the end the “Berghain sound” tag is just an attempt to label the club and put it in a box.
You presented the Berghain Mix #5 on 2011. How did you get the opportunity to make it happen? How difficult was choosing the tracks?
For me, the approach to mixing a CD is somewhat different than say, a podcast. With a podcast you can sit back for half an hour and let the set play out, like a club mix, whereas with a CD mix the story is quite different. I wanted to be present from the first track. The idea was to combine the different styles – heavy and hypnotic parts with light groovy sections. At first I didn’t want to put much unreleased music on it, instead I wanted to put more stuff that has inspired me from the past, but then I got a whole bunch of new music that was really awesome and I ended up with a totally different dynamic as I expected. I also asked some artists if I could sample their music for the CD like Convextion. There’s a little story behind the samples from Reagenz – Jonah Sharp and Move D; I met both of them in Japan in 2010 for the Labyrinth festival. I was on the dance floor in the morning as they were playing this track that I thought was really impressive. When I was back at home I found a random YouTube clip of the party with that exact track that I loved, so I contacted the guys thinking they had already published it, but they hadn’t. So of course I responded immediately and told them that I needed it.
You worked on “Masse” project, on Ostgut ton, creating the alias “DIN” with Efdemin (Phillip Sollmann). How does this collaboration born? What does it mean DIN?
It’s a German acronym for “Deutsche Industrial Standard”, which is the German authority for standards of everything you can imagine from A4 paper size to shipping containers. Since we wanted our project to be something outside the box, not necessarily in the club context, the name was used as a sort of satire. The MASSE project was the first time we had collaborated – of course we’d played DJ sets together and knew each other before, but during the production of MASSE we found that we compliment each other’s sound really well. We also got some support on the idea from Ostgut Ton, and we’ve decided to make more music together in the future. The MASSE project was such a great experience, we worked with some real professionals from Staatsballett Berlin, especially our choreographer Xenia Wiest, who is a very impressive, talented person.
On 8th of july has been released your first album called “Fokus” on Ostgut Ton. Won’t you tell us the way Fokus was born and what are its influences?
The ideas and concepts were developed before the actual intense 3 month recording and production process. Firstly it was important for me to find out for myself what I wanted to express with the album and how it should feel. I think it’s better to take some time to figure that stuff out. It’s a difficult and lengthy process to create an album that is satisfying to yourself, especially when it’s your first album, so I couldn’t really plan how long the process would take. Some of the work for the Ballett Masse took a bit longer than I expected and overlapped into time I had planned for other tracks on Fokus, so I had to work on the album while I was on holiday in Thailand. That worked out great as an inspiration for some of the sounds I incorporated on the finished product. My production work on the last release from Ostgut Ton was on the border between House and Techno, and that’s the direction I thought Fokus would go in, but the outcome was quite different because of all the new ideas and approaches that were used in the process. Initially I wasn’t sure if I should make this a self-contained completely new project, or continue with old ideas incorporated into my work. The result is probably a mixture of both of those things, the club tracks and the more experimental tracks both find their place.
What do you think about all these kind of techno festivals existing nowadays in almost every country, compared to the underground scene which you belong to?
I think they have both existed since the beginning. Festivals and clubs are an integral part of the entire scene and they inspire each other. But you know how it is – Demand creates supply and then there are commercial and profiting interests mixed in there – as with every industry. I think you have to judge each event individually. I came into the scene through the club context, and I would never want to give up going to clubs as a dj or as a guest, but I’ve also played at some amazing festivals that I will never forget. So I think it’s not a question of “either, or”, I think neither side is exclusive, nor should it be.
What are your plans for the future?
In the second half of the year I’ll definitely be working on my label IMF. Up until now I’ve only released some of my own material on IMF, and as I’ve been busy with Fokus I haven’t had any time for further releases. The best thing about it is that there’s no pressure or time frame. I already have some ideas for the next release in mind and there will be some new faces on my label, but I don’t want to give too much away! Phillip (Efdemin) and I will definitely continue our collaboration as DIN – we recently produced a track for an upcoming compilation on Ostgut Ton. There are other projects currently in the works in the theatre and for Ostgut Ton, so we will see how that plays out. Also I’m going to continue to work with my studio-mate Peter van Hoesen. We have similar ideas for live-shows and I hope that we’ll work on something concrete in the future.