Dal quel 22 dicembre 2007 sono cambiate troppe cose per poter fare un vero e proprio parallelo tra “Sex Gas” di Marco Effe, prossima uscita su Memento, e quell’ “Hasta La Baldoria Siempre” di Fabrizio Maurizi (noto a quel tempo con lo pseudonimo di Roger) che ha segnato l’esordio nel panorama internazionale della stessa label che divide il suo quartier generale tra Mantova e Bologna. Ai tempi il roster di Richie Hawtin era meno ampio e il mood musicale non aveva ancora avuto quelle due sterzate, la prima sulla deep house che a sua volta ha rilanciato il sound house proprio della scuola americana, che hanno finito per fare piazza pulita della minimale “made in Berlin”.
Pillole Elettroniche, come tutti i lettori di Soundwall sapranno bene, è morto e sepolto da poco più di un anno e con la nascita del nuovo portale è stato riposto in cantina il vecchio modo diretto e forse un pò troppo superficiale con il quale parlavamo di musica e con il quale è stata evidenziata l’efficacia del “disco con la voce di Fidel”. Forse è stata proprio la chiave del successo del blog, ma ora come ora trovo indispensabile soffermarmi con più attenzione su quelle sfumature che possono decretare il successo, o meno, di una release specie se questa è attesissima come “Sex Gas”.
Giunto al terzo ascolto dell’EP firmato da Marco Effe, giovane dj e produttore toscano che può vantare già delle riuscitissime release tra Cecille e Sci-Tec, non posso che convenire che tutti quelli che affermano che, in un modo o nell’altro, questa release ci accompagnerà a lungo durante tutto l’inverno, soprattutto alla luce di una serie di remixer di tutto rispetto.
La versione originale si poggia su tre elementi ben distini: il basso palleggiatissimo, un groove davvero ben costruito (dove un uso quasi ingombrate delle rullate la fa da padrona) e due synth (uno di tipo one-shot ed uno più “atmosferico”) che vanno di pari passo e che hanno il compito di prendere per mano la pista e condurla fino al break. Lì qualsiasi pista badi più alla sostanza che al colpo ad effetto non potrà che ringraziare.
Sul lato a, oltre alla versione originale, troviamo il remix di Paco Osuna, vera sorpresa dell’EP. Il suo lavoro (nato dalla collaborazione con Andrea Introvigne) non bada a troppi fronzoli: qui la cassa è più marcata, la marcia di fa più secca e quel sound housy tanto caro ai vari 2000 and One, Kabale und Liebe e Lauhaus e a tutto il clan olandese viene ricacciato indietro riconsegnando il palcoscenico alla cara vecchia minimale di “osuniana” maniera.
Sul lato b è il turno dei lavori di Arnaud Le Texier e di Lee Van Dowski, quest’ultimo talmente coinvolto nel progetto Vagabundos da accantonare il suo background ultra-undergound (perdonate l’infelice gioco di parole) che me l’aveva fatto amare per una notte al Rashomon non più di un anno e mezzo fa, per dar spazio a quell’house latina che ha visto, in barba agli scettici, nel Pacha la casa più accogliente.
Il remix di Arnaud Le Texier, invece, ci catapulta in pieno inverno, in un club scuro e duro. È vero, non c’è una ripartenza in grado di veder saltare in aria la pista, ma a mio avviso è proprio questa la sua forza. Il sound è sudato, proprio come piace a me, il synth ipnotico la fa da padrone e non c’è nessuna percussione invadente a rovinare i susseguirsi di tutti quegli elementi che danno “movimento” al pezzo: Arnaud bada al sodo e tira fuori una versione che non tradisce la calatura del personaggio. Io lo vedo dopo una hit, una di quelle che piace tanto ai nostri scienziati da studio di registrazione che fanno delle librerie della 909 il loro Vangelo. Arnaud, grazie del sali-e-scendi, grazie della boccata d’aria…e via verso il prossimo razzo.