La notizia è che, dopo una carriera ormai ventennale costruita soprattutto come Harmonic 33 o 313, e come parte dei progetti Africa Hi-Tech e Global Communication – ma non solo: aggiungere anche Troubleman, Link, M. Meecham, N.Y. Connection, William Parrot, Reload e mille altri – Mark Pritchard avrebbe deciso di riunificare tutto sotto nome e cognome, a cominciare da una serie di singoli che questo “Ghosts” è chiamato a inaugurare.
Una semplificazione che, per fortuna, non va a incidere sulla sua musica, che resta materia vibrante e sempre aperta a nuove contaminazioni. In questo caso, partendo dalla mistura ghetto d’avanguardia degli Africa Hi-Tech e pompando il fattore footwork (ok, non il massimo dell’originalità come scelta a questo punto del 2013, ma l’uomo è uno di quelli che c’è arrivato prima di quasi tutti, da questa parte dell’Atlantico), e suonando più libero e potente di quanto non facesse nella più cerebrale coabitazione con Steve Spacek di cui sopra.
“Manabadman” apre con una botta di dancehall futurista, la rude voce giamaicana di Spikey Tee piazzata su sincopi e frenesie ritmiche da Chicago, e bassi gommati a mezza velocità. Una discreta bomba, ma tutto sommato canonica rispetto a quanto arriva in seguito. Tipo “Ghosts”: titolo ripetuto a oltranza fra echi, nuvole di synth e accordi delicati, mentre sotto pulsano linee insistite di basso a frequenze variabili e un beat dimezzato percorso da mitragliate di rullante; un dualismo riuscito fra etereo e fisico, visioni ‘purple’ e concretezza ritmica, che tiene in scacco la traccia per tutti i suoi quattro fascinosi minuti.
Ancora più densi i quasi otto minuti di “Duppies”, la Giamaica che ritorna evocata dal titolo e da brandelli vocali sparsi, in mezzo a un fuoco incrociato di sintetizzatori da rave anni ’90 e break da jungle vecchia scuola. Pare davvero di essere circondati dagli spiriti malevoli della tradizione prima africana e quindi caraibica, e si esce fuori di testa. Suonano al confronto più rassicuranti persino i toni lugubri di “Get Wyld”, esercizio trap di nuovo abbastanza canonico, ma non per questo meno gradevole.