Markus è considerato da molti il dj trance per eccellenza: merito della sua tecnica sopraffina, e di un gusto musicale tutto particolare, di cui fa bella mostra nei suoi lunghissimi set e che si ritrova nelle sue produzioni e nelle altre uscite della sua label Coldharbour. Abbiamo parlato di musica, djing, Stati Uniti e tanto altro…
Credi si possa ancora parlare di arte del djing, di questi tempi?
Spero proprio di si! Una delle cose che dobbiamo mettere in chiaro è che questo è un periodo estremamente eccitante, in cui essere coinvolti nella musica dance. Senza badare alle preoccupazioni che alcuni potrebbero avere, il fatto che l’elettronica diventi tanto imponente nella coscienza mainstream, è qualcosa di cui essere meravigliati. Sono cresciuto nel periodo in cui l’hip hop dominava il mondo, ma oggi, quando accendi la radio, senti tutte le grandi popstars cantare su basi decisamente influenzate dalla musica elettronica. Il maggior effetto collaterale di tutto ciò, è il fatto che esiste una crescente domanda di gratificazione immediata da parte dei fans, in parte dovuta al modo in cui si è sviluppata la società, con l’avvento dei social media, ma in parte dovuta anche alla struttura dei dj set di oggi. Grazie all’esplosione della scena, stanno prolificando, come mai prima in tutto il mondo i festival di grandi dimensioni, e come ben sappiamo, un tipico set da festival dura una o due ore. Quindi quando devi mostrarti in una vetrina tanto piccola, sullo in mezzo a tutti gli altri grandi nomi, ognuno è costretto a spingere il più possibile. Il problema è che molti dj portano questa stessa impostazione nei loro tradizionali set nei club, e non credo sia corretto. Dovrebbe esserci davvero una forma di arte nei dj sets, nei quali i fan devono veramente sentirsi accompagnati in un viaggio, piuttosto che buttare insieme una manciata di tracce a caso, senza filo logico. Per questo spero che maturando, questa nuova generazione di giovani sarà in grado di apprezzare e tenersi stretta l’arte di essere un dj. La mia più grande paura, in questo senso, è quella che magari, fra dieci anni, nessuno vorrà più essere portato in questi viaggi e ascoltare set lunghi.
Una delle caratteristiche per cui sei famoso, sono appunto i tuoi set lunghissimi, cosa non comune tra i dj trance: come affronti questi set particolari, da 12 ore o più?
Se per una notte mi dovessi mettere nei panni di un promoter, programmerei la line up in modo da avere un dj che apra le danze, un headliner e un closing act. Quindi quando mi presento con il compito di avere in mano il controllo musicale per tutta la notte, tendo a dividere il mio set in queste tre parti: un warm up deep e progressive, l’ora di picco con le hit del momento e tracce cariche di energia, mentre nella porzione finale vado più a fondo, con pezzi techno riadattati e qualche classico. Pensata in questo modo, l’impresa di suonare per tanto tempo non appare scoraggiante. E per me è un piacere farlo, perché mi da l’opportunità di esplorare ogni parte del ventaglio che è il mio gusto musicale, ed è ciò che amo fare.
Hai mai pensato di tenere un concerto tutto tuo in una grande arena o simili?
È sicuramente una cosa a cui penso e su cui sto lavorando, ma non ti svegli una mattina con la capacità di mettere in pratica una cosa del genere. Devi trovare i giusti promoter con cui associarti, devi essere sicuro di riempire di fans un’intera arena, per coprire i costi della produzione, e soprattutto devi essere in grado di presentare un prodotto che riesca ad essere ricordato dalle persone per il resto della vita! Ma credo che, in generale, alla Coldharbour siamo sulla buona strada: le Coldharbour Nights stanno cominciando ad essere più frequenti e il nostro rooster, allo Schulz Music Group, si sta allargando, ad esempio con gli ultimi due “acquisti”: il booking di Beat Service per l’America del Nord, e di Mike Push in tutto il mondo!
Personalmente ritengo che la tua label Coldharbour abbia uno stile davvero unico, raro da trovare in alter label o in altri produttori: quali sono gli elementi o le caratteristiche che cerchi quando selezioni le tracce da pubblicare o da suonare nei tuoi set?
In genere vado alla ricerca dell’anima della traccia. Per me, il sound della Coldharbour, può essere paragonato al ragazzino che non si è mai adattato a scuola, o che nessuno capiva, che è un po’ quello che è successo durante la mia infanzia. Quando la mia carriera ha iniziato a crescere, la label si è allargata di conseguenza, ciò significa che i pezzi che abbiamo rilasciato sono diventati più eterogenei rispetto ai primi tempi. Ma mi piace pensare che se li ascolti abbastanza profondamente, riesci a percepirne l’anima che ne risuona sotto. Sono orgoglioso di aver pubblicato Apache di Fisherman & Hawkins tanto quanto lo sono di Blueberry di Probspot. Alla Coldharbour sono aiutato da un ottimo team, appassionato della nostra musica tanto quanto me, e abbiamo una fantastica famiglia di producers, in cui ognuno mantiene le sue particolarità stilistiche, ma è in grado di concepire melodie grandiose. La capacità di presentare una cosa come il Coldharbour Day – una grande maratona in radio (solitamente a Luglio, su afterhour.fm, ndr), in cui ogni membro della famiglia ha la possibilità di mettere in mostra il suo talento – è una cosa di cui sono molto fiero, e spero che sia qualcosa che permetta ai fan di venire a contatto con noi in modo speciale.
Da quali generi o stili credi che la trance debba trarre ispirazione, oggi?
Se devo essere sincero, non mi interessa particolarmente da dove vengano le influenze. Quando faccio le famose sessioni di Q&A su Facebook e Twitter, mi viene chiesto molto spesso “quale consiglio daresti a un producer alle prime armi?”. E la mia risposta è sempre di cercare di inventarsi uno stile che la gente riconosca immediatamente come tuo, anche se ascoltano una traccia di cui non conoscono titolo e autore. Prendi influenze da qualsiasi cosa tu voglia, e usale per creare un ibrido che sia solo tuo. Negli ultimi mesi, ad esempio, ho subìto molto influenze da tracce drum n bass, perché ho sempre ammirato quel tipo di bassline.
Chi è il tuo produttore preferito, al momento?
Sarebbe impossibile fare un nome solo, ma tutti quelli che sceglierei sarebbero comunque ragazzi della famiglia Coldharbour. Khomha ad esempio, sta continuando a fornire ottima benzina per i miei set, Beat Service ha avuto un’annata incredibile. Rex Mundi non ha mai smesso di inspirarmi, Grube & Hovsepian hanno fatto enormi passi avanti quest’anno, e l’hanno fatto mantenendo una certa diversità tra le loro produzioni, e sto apprezzando molto anche il lavoro dei Wellenrausch. Non vedo l’ora che finiscano il loro album, per ascoltarlo!
Parlami del tuo alias, Dakota, e del nuovo Marscela: senti il bisogno di “nasconderti” dietro nomi diversi, per sentirti libero di esprimere te stesso in stili differenti?
In verità Marscela l’ho creato solo per la compilation Buenos Aires ’13. Negli ultimi anni, per questa serie di compilation dedicate alle città, ho sempre fatto una serie di intro e outro come parte del progetto, e piuttosto che usare il mio nome, o Dakota, ho scelto di uscire con degli alias che fossero legati per sempre solo alla compilation. Quindi Marscela può essere accostato a Mikulas e San Andreas Soundlab, quelli che ho utilizzato gli anni passati. Viceversa, Dakota è il mio principale alter-ego, che ha creato i due album “Thoughts Become Things”. Il nome Markus Schulz, in relazione alle produzioni, è sempre stato accostato ai miei album, ciò implica aver intrapreso un processo di songwriting, piuttosto che il semplice buttar fuori roba da club. Nella scrittura delle canzoni, lavori con altre persone, chi scrive i testi, chi li canta, magari anche altri artisti con cui collabori, ed è un processo che assorbe molte energie, anche perché i fans e le label si aspettano canzoni vere e proprie. Con Dakota, invece, sono solo io, con l’unica intenzione di produrre roba figa, da club e strumentale. Non necessariamente pezzi da ora di picco o da festival, quindi ho anche l’opportunità di essere un po’ più deep e progressive, sound di cui sono ancora follemente innamorato. E’ fantastico avere la possibilità di fare qualcosa come “Apollo”, che è ancora una di quelle tracce che molte persone ascoltano ma non capiscono, o pensano che non vadano da nessuna parte per dieci minuti. Credo che dovrei anche spiegare da dove ho preso il nome Dakota: era il nome della strada in cui vivevo quando stavo in Arizona.
Quali sono i tuoi background musicali e le tue influenze?
In molti rimangono sorpresi quando lo dico, ma la maggior parte delle mie influenze viene dal rock classico. Band come i Pink Floyd e i Led Zeppelin. Dark Side of The Moon secondo me è uno dei migliori frammenti di musica mai prodotti. Mi piacciono anche band del presente come i Coldplay, e scavo molto tra i vecchi album di Lana Del Rey. Quando ero un teenager sono venuto a contatto con la breakdance. Come ti dicevo prima, la mia infanzia non è stata delle migliori, quindi fare breakdance era la mia valvola di sfogo. Ascoltavo la radio di notte e mi perdevo nella musica. Questo mi permise di scoprire dj come Mr. Magic, Red Alert, Tony Humphries e the Latin Rascals, di iniziare a collezionare dischi e di imparare la musica da quelli. Quando mi sono trasferito a Londra per un paio d’anni, a cavallo del millennio, vivevo in uno studio in Coldharbour Lane, a Brixton. L’aspetto migliore dell’essere li è stato il fatto di essere circondato da tantissime influenze musicali differenti. C’era un produttore di drum n bass, viveva lì anche Mike Koglin, che faceva già trance, e pure una rock band. Avere tutto ciò nella mia vita quotidiana mi ha permesso di riscoprire la magia della musica, anche dopo essermi bruciato.
C’è stato un disco o una traccia in particolare che ti hanno fatto innamorare della Trance e decidere di diventare un dj?
Non necessariamente solo uno, ma ce ne sono sicuramente alcuni che spiccano. Ho sempre ammirato i Kraftwerk, l’Electric Light Orchestra e i Depeche Mode, perché avevano già iniziato a buttare dentro melodie elettroniche, prima che il tutto venisse schematizzato. Parlando invece di pezzi trance veri e propri, posso dire che uno dei momenti seminali per me è stato caratterizzato da Stella di Jam & Spoon, che era molto in anticipo sui tempi. Era il tempo in cui iniziavo a sentire il desiderio di incorporare quelle melodie nella mia musica. E nel periodo che ho trascorso a Londra, in cui avevo bisogno di ritrovare me stesso e l’interesse per la musica elettronica, l’unica traccia che è riuscita in questo, cambiandomi la vita è stata Perception di Cass & Slide. Quel pezzo è l’unico che vorrei davvero aver fatto io! Fortunatamente ho avuto il privilegio di farne un remake qualche anno fa, per l’album “Do You Dream?”, con un vocal fornito da una delle mie cantanti preferite, Justine Suissa.
Attualmente vivi negli Stati Uniti: le persone laggiù hanno un approccio diverso, alla musica elettronica, rispetto agli europei?
Senza dubbio bisogna tenere conto di un minimo di ritardo generazionale, quando si confrontano le due scene. I fans europei tendono ad essere più grandi e musicalmente maturi, e ad attaccarsi a ciò che piace loro. La più grande differenza che vedo tra l’Europa e gli USA non è solo l’età media, che negli states è decisamente più bassa, ma anche il fatto che qui la gente sembra amare incondizionatamente ogni sottogenere e stile di dance music. Non è inusuale, per la maggior parte di coloro che frequentano i festival negli states, di andare a sentire un set house di Hardwell, seguito da uno dubstep di Skrillex, e subito dopo uno trance, per esempio di Armin Van Buuren. A me preoccupa piuttosto l’attuale percorso della scena trance in Europa. I party non funzionano bene come qualche anno fa, a livello di affluenza di pubblico, e molti promoters non sono più disposti a prendersi il rischio di incentrare completamente gli show sulla trance. Spero sia solo per una ragione di ciclicità, e si tornerà presto ai livelli di un tempo. Ma ciò rende club come il Ministry of Sound a Londra, ed eventi come il Transmission a Praga, ancora più importanti da sostenere per far si che rimangano vivi.
Come mai sei soprannominato “The Unicorn Slayer”?
Che ci crediate o no, in realtà è stato un fan ad uscirsene con questo soprannome, non è stato qualcosa di programmato, non c’è stato dietro il lavoro di un team, non è una trovata pubblicitaria. Nonostante molte persone mi abbiano sempre definito, nella mia carriera, un dj trance, il genere di trance che suono e che ho sempre suonato non è mai stato il tipico stile a 138 o più bpm, caratterizzato dai synth supersaw. Per questo qualcuno, anni fa mi etichettò come “l’anti trance”. Col passare degli anni, quando la trance iniziò ad essere dominata da pezzi vocali e canzoni d’amore (non che abbia nulla contro queste, ma troppe in una volta sola non hanno sortito l’effetto desiderato), io tendevo ad evitare di riempire i miei set con quel tipo di canzoni, dall’effetto cosiddetto “arcobaleni e unicorni”. Da lì, una volta un fan mi ha twittato definendomi “the unicorn slayer of trance”. Io ho retwittato quel post, ed ha letteralmente preso fuoco! In poche settimane, un sacco di fan si fecero t-shirt personalizzate con la scritta “the unicorn slayer”, e le indossarono ai miei show. Ora la cosa è diventata talmente grande che non so dove possa andare a finire. L’anno scorso ho suonato all’Avalon di Los Angeles, ed avevano messo una statua di unicorno a grandezza naturale di fronte al club!
Che mi dici del progetto “New World Punx”? Come hai deciso di unire le forze con Ferry? E’ semplicemente il risultato dell’unione dei vostri sound o state pensando di sviluppare qualcosa di nuovo?
Io e Ferry siamo stati amici per tanto tempo, strada facendo. Ci vedevamo spesso ai festival e ci piaceva stare in compagnia l’uno dell’altro. Per il periodo dei closing party a Ibiza, nell’estate del 2011, abbiamo affittato insieme una villa, con le nostre famiglie, e da lì ci siamo conosciuti più a fondo e abbiamo stretto un legame. Dopo un paio di mesi,in occasione dell’Amsterdam Dance Event, ho passato un giorno nello studio di Ferry a Rotterdam, solo con l’intenzione di fare una sessione di full immersion. E quel giorno abbiamo finito per buttare giù la base del remake di “Loops & Things”. Poi lo scorso anno, alcuni promoters hanno iniziato a chiamarci entrambi nelle stesse line up, e anziché suonare in set separati abbiamo deciso di dare ai fans qualcosa di ancora più eccitante e di suonare back to back. L’abbiamo fatto in posti come il Godskitchen a Birmingham e il Tao Beach di Las Vegas, nel weekend dell’EDC. Dopo lo show all’Echostage a Washington DC dello scorso novembre, in cui abbiamo suonato back to back per 7 ore, sapevamo di essere coinvolti in qualcosa di speciale, quindi avevamo bisogno di venire fuori con un nome che sottolineasse lo sforzo collettivo. Da li è nato il progetto New World Punx. E’ molto interessante, perché seppur entrambi amiamo le nostre melodie trance, siamo influenzati da altri aspetti del genere. Ferry porta un sacco di influenze electro, mentre io dò un tocco più techno alle cose. Dopo la release di Romper, stiamo lavorando a nuove idee per dei singoli originali e remake dei nostri classici, per i nostri show insieme.
Come hai deciso di andare in tour negli Stati Uniti con un pullman?
Sinceramente è una cosa che ho sempre voluto fare. Sono cresciuto ispirato dalle storie delle rock band che andavano in tour, e ho sempre immaginato che tipo di vita sarebbe stata in quelle condizioni. E non solo quello, è stata la prima volta in cui abbiamo effettivamente portato una produzione extra per enfatizzare lo show. Avevamo il nostro stage e i nostri visuals, e questo ha davvero apportato una nuova dimensione a tutta l’esperienza. Abbiamo viaggiato di notte, dopo la fine di ogni show, e una volta arrivati alla città successiva passavamo il giorno montando lo stage e preparandoci per la gig della sera dopo. E’ stato molto bello essere stati in grado di portare il concept in città che di solito non ospitano i grandi festival. E soprattutto, passare un mese senza avere a che fare con aeroporti, voli, jet-lag, è stato un grande incentivo!
E’ da poco uscita la tua compilation Buenos Aires ’13: questa serie di compilation è un modo per ringraziare, ogni anno, una città particolare che ti ha lasciato un segno speciale?
Quando ho iniziato ad avere tour internazionali, Buenos Aires è stata una delle prime città in cui la gente ha capito chi fossi e su cosa si basasse il mio sound. Col passare degli anni, le mie gig sono diventate sempre più grandi, e loro sono stati sempre felici di andare oltre i limiti di tempo imposti ai miei set e di darmi l’opportunità di intrattenere i fans sempre più a lungo. Ho fatto serate nei club, festival, ASOT, persino le celebrazioni del loro bicentenario, qualche anno fa, e posso dire onestamente che sono sempre state tra le più memorabili della mia carriera. Di conseguenza, Buenos Aires è stato davvero un caso di “quando”, non di “se…”, riguardo alla serie di compilation dedicate alle città. Credo che gli episodi che mi hanno convinto definitivamente siano stati i miei solo set al Mandarine in Giugno. Ma una cosa che ci tengo a specificare è che questa compilation vorrebbe celebrare la passione dei fans nell’intera America del Sud, perché la scena laggiù merita davvero di essere evidenziata.
Ho sentito dei rumors a proposito di un possibile follow up del tuo ultimo album “Scream”, sono fondati?
Certo, assolutamente! L’album sarà intitolato “Scream II” e la release è in programma per l’inizio di Febbraio 2014. Molte delle tracce sono già nella fase di mixdown, ma ho ancora qualche idea in mente, che voglio esplorare prima di completare definitivamente il progetto. Alcuni pezzi sono già stati testati sul campo nei miei set quest’estate, e continuerò a farlo per il resto dell’anno. Quindi chi di voi verrà a uno dei prossimi show, potrebbe essere il primo a sentire queste tracce, in anteprima sul resto del mondo.
English Version:
A lot of people see Markus as the trance dj par excellence, because of his great technique, and his original music taste, that he showcases during his extended sets, and that we can find in his production and in the others releases by his label Coldharbour. We had a talk about music, djing, United States and much more…
Can we still talk about “the art of djing”, nowadays?
I certainly hope so! One of the things that we have to make clear is that it is an incredibly exciting era to be involved in dance music. Regardless of what worries people may have, electronica becoming so prevalent in mainstream consciousness is something to be marvelled. I grew up in the era where hip-hop ruled the world, yet now when you turn on the radio all of the big pop artists are singing on elecronic-fused beds. However, the biggest side effect to it all is that there is a demand of instant gratification from fans – partly down to how society has developed with social media outlets, but partly down to the structure of DJ sets. Because of the explosion of the scene, there are more huge-scale festivals taking place around the world than ever before, and as we all know, a typical festival set ranges between one and two hours. So when you are showcasing yourself in that small shop window, on the same bill as all the other top-tier guys, everyone is compelled to cram in as much as possible. The problem with that though is that DJs are taking this same festival formula into their traditional club sets, and I don’t think that’s right. There genuinely should be an art form attached to a DJ set, where fans can truly believe they are being taken on a journey, rather than just a random bunch of songs being thrown together for no cohesive reason. So that’s why I hope that as the new generation of kids begin to mature, that they will be able to cherish and appreciate the art of DJing. My biggest fear is that in ten years nobody will want to be taken on a journey or listen to long sets anymore.
You’re famous for your extended set: it isn’t a common feature, among trance dj’s, to play for 12 or more hours, or doing open to close solo sets in clubs or festivals. How do you approach those long sets?
If I was put in the shoes of a promoter for a night, I would program the lineup so there would be an opening dj, a headlining dj, and an afterhours dj. So when I am presented with the task of being in entire control of a night musically, I tend to split the overall solo set into three – deep progressive warmup, the peakhour with all the hits and big moments, then the afterhours portion where we delve into the rabbithole with some techno reconstructions and classics. Thinking of it like that means that the task of playing for a very long period of time doesn’t feel as daunting. And for me I relish doing them, because it provides me the opportunity to explore every portion of my musical palette that I love and am passionate about.
Have you ever thought about hosting your own solo concert in a big arena or similar?
That’s something I think ideally I would be continuing to work towards, but the ability to execute it doesn’t happen overnight. You have to find the right promoter to partner with, you have to have the confidence that you would be able to fill an entire arena with fans to cover the production costs, and you have to be able to present a product which wilil leave people remembering it for the rest of their lives. But I tihnk that collectively at Coldharbour, we are on the right path. The Coldharbour Nights are beginning to become more frequent and our booking roster at Schulz Music Group is increasing, including the recent signings of Beat Service for North America and M.I.K.E. Push worldwide.
I think that you and your label Coldharbour have a really unique style, rare to find in other producers or labels: which element and features do you look for, selecting the tracks to play or to release?
Generally, it comes down to the soul of the track. The Coldharbour sound for me can always be related to the kid that never fitted in at school or nobody understood, which is largely a reflection of my own childhood. As my career has grown the label has broadened along with it, meaning that the tracks signed over the years have become more diverse than its earliest days. But I would like to think that if you listen to the tracks deeply enough, there is a soul underneath that resonates. I am as proud of signing Fisherman & Hawkins’ Apache as I am of Probspot’s Blueberry. Where I am helped with Coldharbour is that I have a team around me who are as passionate for the songs as I am, as well as an amazing family of producers who may have their own unique twist on productions, but still possess that soul and ability to deliver amazing melodies. The abiility to present something like Coldharbour Day – a huge radio marathon where all of the family get to showcase their talents – is something I’m proud to do, and hopefully is something that allows the fans to connect with us in a special way.
From which genre or style should trance be influenced, in your opinion?
I don’t particularly mind where the influences come, to be honest with you. I get asked a lot by fans when I am doing the Q&A sessions on Facebook and Twitter during Global DJ Broadcast “what advice can you give a producer that’s starting out”. And my answer always is to try to concoct a style where people will instantly know it’s you if they heard a track and didn’t know the name. Take as many influences from wherever you want, and make them a hybrid of your own. Over the past few months alone, a lot of my influences have been taken from drum n bass tracks, because I have always admired those basslines.
Who’s your favorite producer at the moment?
Would be impossible to name just one, but the names I would pick would all be guys from the Coldharbour family. KhoMha is continuing to deliver great fuel for my livesets. Beat Service has had a great year. Rex Mundi never ceases to inspire me. Grube & Hovsepian have made strides this year and have done so while being diverse in their productions, and I’m really enjoying the work from the Wellenrausch boys. I’m looking forward to hearing their new album when it is finished.
Tell me about your pseudonyms Dakota and the new one, Marscela: do you feel the need to hide yourself under different names, to be free to express yourself in different styles?
The Marscela alias was a one-off really for the Buenos Aires ’13 compilation. Over the past few years for the city series compilations I have made a string of intros and outros as part of the project, and rather than use my own name or Dakota, I come up with an alias that will be forever attached to the compilation at that time. So Marscela can be filed alongside the likes of Mikulas and San Andreas Soundlab. Dakota on the other hand is my main alter-ego, which has yielded two full Thoughts Become Things albums. The “Markus Schulz” production name has always been attached to my artist albums, which means undertaking the process of songwriting, rather than just knocking out material for the clubs. With songwriting, you are working with other people – lyric writers, singers, maybe even other artists for collaborations, and it’s quite a draining process because there is an expectancy from fans and labels to deliver “songs”, if that makes sense. With Dakota however, it’s just me with the sole intention of making cool, clubby, instrumental material. They are tracks that I don’t necessarily need to be “peak hour” ready or festival ready, and gives me the chance to be a little bit deeper and more progressive, which is a sound I’m still madly in love with. It’s great to be able to make something like Apollo, which again is one of those tracks most people will listen to and not understand, or think that it doesn’t really go anywhere for ten minutes. I suppose I should clear up how I got the Dakota name too. It was the name of the street I lived on when I used to be based in Arizona.
What are your musical backgrounds and influences?
A lot of people will be surprised when I say this, but most of my influence comes from classic rock. Bands like Pink Floyd and Led Zeppelin. The Dark Side of the Moon album for me is one of the greatest pieces of music ever made. I admire modern day bands like Coldplay too, and digging Lana Del Rey’s album from the past year. When I was a teenager, I got into breakdancing. As I mentioned earlier, my childhood wasn’t the greatest, so breakdancing was my form of escape. I would listen to the radio at night and get lost in the music. This would allow me to discover DJs such as Mr. Magic, Red Alert, Tony Humphries and the Latin Rascals, and eventually I would begin to collect records and start learning the music behind them. When I moved to London for two years at the turn of the millennium I lived in a studio on Coldharbour Lane in Brixton. The great thing about being there was that I was surrounded by so many different musical influences. There was a drum n bass producer, Mike Koglin lived there too producing trance, and there was even a rock band. Having all of that in my daily life allowed me to rediscover the magic of the music after burning out.
Is there a record or a track in particular that made you fall in love with trance or decide to become a dj?
Not necessarily just one, but there are a few that stand out. I always admired the likes of Kraftwerk, ELO and Depeche Mode, because they were bringing in electronic melodies before it became the cool thing to do. In terms of actual trance tracks, one of the seminal moments for me was Jam & Spoon’s Stella, which was so ahead of its time. It was at that point where I felt the desire to start incorporating melodies into my music. And during my time in London, where I needed to find myself and the desire for electronic music again, the one track which changed me was Cass & Slide’s Perception. That track is genuinely the one tune I wish I could have been the one to originally make. Thankfully I had the privilege of remaking it a few years ago for the Do You Dream album, with one of my favorite vocalists Justine Suissa providing the vocals.
You live in the U.S.: do people down there approach to electronic music in a different way than Europe?
There definitely is a bit of a generational gap when comparing both scenes. The European fans tend to be older and more mature musically, and they tend to stick to what they like. The biggest difference I see between Europe and the US, not just the average age being a lot younger, but the US fans seem to love absolutely any subgenre of dance music. It’s not uncommon for the majority of fans at US festivals to go see a house act like Hardwell, follow it up with a dubstep act like Skrillex, then go see a trance DJ like Armin van Buuren. I do worry however about how the trance scene is going in Europe. Parties aren’t selling as well as they did before and a lot of promoters aren’t willing to take the risk in putting on full scale trance only shows. Hopefully it’s just a cyclical thing and it will get back on top again. But it makes clubs and events like Ministry of Sound in London and Transmission in Prague even more important to support so they remain alive.
Why did people start to call you “the unicorn slayer?
It was actually a fan that came up with it, believe it or not. It wasn’t something where I had a team in the background actively trying to come up with a marketing gimmick. Even though most people would associate me as being a trance DJ throughout my career, the type of trance I’ve played wasn’t the typical 138+ supersaw formula. Somebody years ago tagged me as the “anti-trance trance guy”. As years went on and trance started to become dominated by vocals and love songs (not that there’s anything wrong with them but too many in one dose doesn’t have the desired effect), and I tended to steer away from overloading my sets with those tracks, or the “rainbows and unicorns” feeling. So one night a fan tweeted me and described me as being “the unicorn slayer of trance”. I retweeted it and it really caught fire. Within weeks people were making their custom unicorn slayer t-shirits and wearing them to shows. Now it’s gotten so big I don’t know where it’s going to end. I played a show at Avalon in Los Angeles last year and they had a full life-size unicorn statue at the front of the club!
What about the “New World Punx” project? How did you decide to join the forces with Ferry? Is it just a combination of his sound and yours or are you thinkin about developing something new?
Ferry and I had been friends for a long time on the road. We’d see each other at festivals and enjoy each other’s company. For the Ibiza closing parties in 2011, our families rented and shared a villa, so we got to bond and get to know each other closer. Fast forward a couple of months to Amsterdam Dance Event, and I spent a day at Ferry’s studio in Rotterdam, only with the intention to have a geeky session. And in that day we ended up starting on the remake of Loops & Things. Then last year a few promoters started booking us on the same lineup, and rather than us playing seperate sets, we decided to give something even more exciting for the fans and play back to back. We did it in places like Godskitchen in Birmingham and TAO Beach in Las Vegas (during EDC weekend). After the show at Echostage in Washingon DC last November (where we played 7 hours b2b), we knew we were on to something special, so we needed to come up with a name to highlight the collective efforts. And New World Punx was born. The project is pretty cool because even though both Ferry and I love our trance melodies, we are influenced by other sides of the genre. Ferry brings a lot of electro influence where I bring a bit more from the techno side of things. After the release of Romper, we are working on more ideas for new original singles and more remakes of classics for our shows.
Why did you choose to have a USA tour by coach?
To be honest, it’s always something I have wanted to do. I grew up inspired by all the stories of rock bands touring; and always imagined what life would be like in that sort of environment. And not only that, it was the first time where I actually brought along extra production to enhance a show. We had our own stage design and visuals, and it really added an extra dimension to the experience. We would travel overnight after a show was finished, arrive at the next city, and spend the next day setting up the stage and preparing for the next gig. It was exciting to be able to take the concept into cities which don’t host the blockbuster festivals. And to be able to go a month without having to deal with airports, planes and jetlag was a welcome bonus.
Your compilation Buenos Aires ‘13 has just been released: is this compilation series a way to be thankful to a particular city that gave you something special during the year?
When I started touring internationally,Buenos Aires was one of the first cities where the people embraced who I was and what my sound was about. As each year passed, my gigs would become bigger and bigger, and they were happy to go beyond the limits of my set time and have the opportunity to entertain the fans even more. I’ve done clubs nights, festivals, ASOT celebrations, Boombox nights and even their Bicentennial celebrations a few years ago; and I can honestly say that they have been among the most memorable in my career. So Buenos Aires was very much a case of “when” and not “if” regarding the city series family. I think the final dealbreaker that swung it was doing the two back to back solo sets in Mandarine back in June. But one of the things I want to say is that this compilation should celebrate the passion of the fans throughout South America, because the scene there overall deserves to be highlighted.
I’ve heard rumors about a follow up of your last album “Scream”. Are they true?
Yes, they are indeed true. The album will be called Scream II and is scheduled for release in early February 2014. Most of the tracks are at the mixdown stage but I sill have a few idas in my head that I want to explore before finally completing the project. Some of the tracks I have been roadtesting in my sets throughout the summer, and will continue to do so for the rest of the year. So for those of you who are going to a show, you might be the very first to hear these tracks before the rest of the world does.