[tabgroup layout=”horizontal”]
[tab title=”Italiano”]Il suo nome compare in cataloghi sempre più importanti (Cadenza, Freerange, Be As One, Trapez, Suara, Rotary Cocktail), è simpatico a pelle dopo un minuto di conversazione, contorna il suo lavoro studiando psicoacustica e musicoterapia, non sopporta le mode. Classe ’86, cresciuto a Reggio Emilia, di stanza a Berlino. E’ uno spasso intervistare Francesco Spaggiari (nome anagrafico, ndr); da come si pone si percepisce la passione vera per tutto ciò che si possa considerare suono. Risponde d’impulso, senza filtro, diretto e illuminante, non sai mai cosa aspettarti e alla fine ti rendi conto che c’è solo da farsi stupire, proprio come quando ascolti un disco. Bevetevela d’un fiato, tanto avrete voglia di rileggerla ancora.
In base a ciò che tu vivi in quanto parte della scena elettronica, al momento quali sono secondo te le strade da intraprendere per un ipotetico talentuoso quanto sconosciuto produttore di musica?
Molti di quelli che guardano questo settore da fuori sognano di stare in consolle con un botto di gente davanti, migliaia di followers, date ovunque, etc… (è anche quello il bello no?). Se uno vuole arrivare a suonare nei suoi locali preferiti, quelli dove va a ballare il venerdì e il sabato, si metta uno o due anni a produrre e ad aumentare il proprio livello qualitativo. Se riesce a stare all’interno di un certo genere dopo questo periodo scelga i prodotti migliori, li mandi a qualche etichetta forte e con un paio di EP avrà la possibilità di fare il salto. Il segreto che ho capito tardi, oltre a tenere alta la qualità delle produzioni, è quello di tenere un trend, anche se io non mi sento di seguire questa linea a cuore aperto, per me c’è una componente etica importante nella mia musica. E ti parlo ancora di produttore, non di artista. L’altra strada è quella dell’artista che prova, che cerca, che fa musica più complicata. Ecco, questo non paga nel breve termine, anche perchè l’artista non punta a fare diecimila milioni di copie. Fa venti uscite sbagliate, una giusta, trenta sbagliate, una giusta. Scorreggia arte, gli viene continuamente, spinge la musica e un giorno avrà un riconoscimento. Sono quelli che non fanno musica per un mercato, che spesso hanno la preoccupazione di arrivare a fine mese, ma che la sentono dentro, il marketing non conta (come tra l’altro penso che dovrebbe essere in generale per le arti, ma si dovrebbe parlare di sovvenzioni statali).
Il giovane dj/producer che si trasferisce a Berlino cerca in genere quell’ambiente stimolante pluricelebrato e mitizzato fatto di top club, top label e artisti da tutto il mondo, insomma un luogo di cultura che sulla cultura continua ad investire. Tu come la vivi? Cosa ti ha spinto al tempo? Quali sono tuttora i vantaggi di viverci?
Al tempo fu la possibilità Erasmus a farmi venire qui. Io onestamente per come ero ignorante sulla scena elettronica cinque anni fa avevo puntato Francoforte semplicemente perché c’era il Cocoon; ma Francoforte non era tra le possibilità, mentre c’era Posdam, una città vicino Berlino. Conoscevo Ellen Allien e la connettevo con Berlino, mi piacevano i Digitalism, così ho detto “Toh, andiamo a Berlino che c’è un po’ di musica da ballare”. I miei primi coinquilini avevano entrambi studiato musica, io per dirti arrivavo da Gigi D’Agostino; c’è stato quindi un cambio tremendo, ho iniziato a interessarmi alla musica sperimentale e mi sono avvicinato sempre di più a quell’atmosfera di ricerca che c’è a Berlino, ho giovato della tolleranza che c’è rispetto a chi tenta e fallisce, verso chi prova a fare cose nuove. Questo non c’è in Italia, sicuramente non a Reggio Emilia, la mia città. Qui sei incentivato a provare, non c’è il dover ottenere un risultato lì sul momento. Puoi fare qualsiasi cosa e c’è qualcuno da qualche parte che dice “questa potrebbe essere arte”. Certo, come punto di partenza sembra sbagliato, perché così tutto diventa arte e il concetto di arte si annulla; piuttosto è un fattore che accompagna la creazione, sei rassicurato che per qualcuno potrebbe essere arte e che quando avrai finito ci sarà qualcuno a giudicare il tuo lavoro.
In effetti in Italia è difficile trovare chi investe su di te, i locali ad esempio sceglieranno sempre chi fa il pienone piuttosto che un artista da far crescere nel tempo.
E’ vero, ma parli di un fattore puramente economico, presente anche a Berlino. La differenza è che qui la gente a ballare nei locali ci va comunque. Se un giorno i gestori dei locali berlinesi si svegliassero a Milano farebbero due serate, piacerebbero a qualcuno, poi basta.
Come si è arrivati secondo te a questo livello di attenzione collettiva nella capitale tedesca?
Dopo la caduta del Muro la città ha avuto un tremendo desiderio di libertà, che ha raggruppato artisti da tutta Europa e col tempo da tutto il mondo. In un luogo dove si crea uno strato di persone preselezionate con un focus che non è nell’apparenza del bicchiere di champagne, allora che sia house, techno, sperimentale o classica, un prodotto artistico è trattato come se fossimo tutti in un grande centro sociale.
Parliamo in generale della figura del dj di oggi: quali capacità e caratteristiche deve avere?
Penso che un dj per essere considerato un artista debba mixare i suoi dischi nella maniera meno strutturata possibile. Come dire, una parata militare è estremamente anti-artistica, mentre in qualsiasi evento disordinato è più facile trovare arte. Così se fai due ore di set tutto uguale hai molto meno spazio per creare qualcosa di esteticamente bello. Mentre se fai come Ben UFO che parte dalla disco e finisce house-techno puoi riuscire ad esprimere un linguaggio. Ovviamente dipende da quanto ti fanno suonare, è impossibile creare un’opera d’arte da una selezione di dieci dischi per un’ora di set; in quel caso è tenere la pista e basta.
Quindi tu come ti comporti quando metti i dischi?
Quello che cerco di fare io è partire semplicemente dall’obiettivo di far ballare la gente stando in linea con la situazione, ma posso metterci di tutto. E’ capitato di aver messo dischi particolari, magari senza cassa per sei-sette minuti; la salsa ad esempio non ha la cassa ma è super ballabile, come tanti altri generi musicali. Invece c’è sempre più cassa ovunque, anche di pari passo con le droghe. Quando sei in discoteca sei un cervello che deve sottostare alle leggi della memoria, dell’attenzione e tante altre; prendi la musica soulful, la soulful house newyorkese, cantata, strumenti veri: c’è tanta roba da seguire, è più articolata della musica di Arpiar, super minimale, o di quella techno tutta uguale. Ci sono droghe come la ketamina perfette per questo tipo di musica (altro esempio Villalobos), che ti rendono più stupido, con la memoria talmente corta che per essere a tuo agio devi avere musica tutta uguale, con piccole variazioni, che gioca sull’estetica del loop, sulla situazione. Uno non sente più la musica. La techno è veloce e un giro di loop breve che si ripete. Se ti prendono dalla pista techno e ti mettono a ballare house con il cantato ti prende male perchè il cervello non riesce a star dietro ai suoni.
Chi per te è al livello migliore di tutti?
Ti dico tra quelli che ho sentito: Nick Höppner e Ben UFO sono stati tra i più interessanti. E anche Gilles Peterson; alla BBC ha iniziato lui a fare ricerca in modo sperimentale, nel suo primo programma spaziava tra musica elettronica, musica etnica…
Ti chiedo ora i tuoi tre brani preferiti di sempre.
“Clair De Lune” di Debussy, “4’33” di John Cage, “Come Together” dei Beatles.
In un tua intervista di qualche tempo fa, alla classica domanda “come definiresti la tua musica?” rispondevi “faccio due cose: musica d’ascolto e musica da club”. Qual è la discriminante tra i due mondi?
La musica da club è utile, è un prodotto fruibile; meno utile dei gabinetti di un club e più dei cocktail. C’è da vedere quali sono i suoi elementi principali, tante volte diventa un corollario e viene presa come baluardo. La musica d’ascolto è quello io sento di voler fare. E’ terapia. E’ qualcosa che alcune persone devono fare perchè ce l’hanno dentro. E non ci sono limiti. Tempo fa ho provato a fare un pezzo chiamato “Materiale estetico libero dalle strutture”, in cui ho cercato di dimenticare tutto il resto. Uscire dalla ripetizione e tentare un approccio diverso è stato un allenamento per capire i miei limiti: da quando ho fatto quel pezzo ho smesso di fare copia/incolla di patterns e mi chiedo ogni volta: “che cosa starebbe bene qui?”. Ultimamente mi sto interessando proprio al concetto di musica, espresso dalla musica sperimentale, ovvero guardo il processo, più che il prodotto. Grazie a questo, senza dover entrare nello sperimentale astratto, riesco ad aprirmi a diverse strade, a uscire dalle regole. Ho cominciato a fare musica senza cassa, live usando un cactus e una radio, ho fatto un intero album campionando voci e suoni di alcuni miei rapporti occasionali. Oppure ho provato a fare dei pezzi in cui i tempi sono dati dai semafori: mi metto i microfoni ai piedi e corro da una stazione all’altra cercando di stare a tempo con un ritmo che ho nelle cuffie, in maniera che ogni passo sia la cassa; quindi per dire se becco tutti verdi viene fuori un pezzo senza pause, solo cassa. Voglio riuscire ad abbattere qualsiasi barriera, tenendo come unico limite il fatto che quello che produco debba uscire dagli speaker.
Lo scopo di utilizzare live dei non-strumenti come la radio e i cactus è quello di differenziare la tua performance o ha un valore preciso in termini di timbro?
Per l’uso del cactus mi sono ispirato a John Cage e Diego Stocco. E’ un’idea nuova e rende il tutto molto scenico. Avevo microfonato un violino, ma siccome non lo suonavo veramente l’ho poi tolto, tenendo solo l’archetto per suonare il cactus. La radio ha invece un significato, diciamo che è una protesta nei confronti della musica house stessa; noi siamo abituati a voler trovare differenze tra due pezzi, che so, della Saved Records, ma in realtà è sempre la stessa roba, è ripetitiva, tutta uguale. Così io preparo un loop che funziona (per cui basta solo un po’ di esperienza) e aggiungo campioni random dalla radio, dimostrando che posso sbattere dentro qualsiasi materiale e ne verrà fuori qualcosa di bello. Addirittura nel nuovo live segherò un violino ad ogni performance, per esprimere il concetto di “musica schiava del tempo”: lo vedi intero all’inizio e distrutto alla fine. In più il suono della sega sul legno è davvero bello, è caldo.
Per quello che riguarda la tua esperienza, è davvero così irrinunciabile la macchina analogica? Perchè i produttori si riempiono lo studio di synth?
Da un lato è una moda, dall’altro è sintomo di quanto sia difficile avere chiaro in testa ciò che si vuole produrre: ci si appoggia a una macchina per trovare un suono che però è uscito in modo per così dire “accidentale”. Mentre se tu avessi in testa esattamente quello che vuoi fare (che è difficilissimo, io non ce l’ho) vai direttamente al risultato, come ha fatto Beethoven. Quello dovrebbe essere l’ideale a cui puntare.
Com’è quindi il tuo approccio alla produzione?
Ci sono tre situazioni in cui posso iniziare a produrre. Una è partendo da un concetto che voglio esprimere, un messaggio. Un’altra può nascere da una melodia che ho in testa o meglio ancora un intreccio melodico. Oppure se mi trovo in un mood particolare; quello è il momento migliore per produrre, perchè appena tocchi un suono capisci subito “è questo”, o meglio “questo mi basta”. Alla fine il discorso non è trovare il suono, è l’insieme che fa il suono, e se sei ispirato capisci subito cosa vuoi e cosa ti manca e non ti metti a fare il muratore anziché l’artista.
Secondo il tuo gusto quale artista riesce meglio ad esprimere forza nel groove quanto nell’aspetto emozionale?
Four Tet.
Sapresti indicare un talento attuale che a tuo avviso meriterebbe più attenzione?
E’ una bella domanda. Mi viene in mente Grischa Lichtenberger: riesce ad uscire dai canoni strutturali come non ho mai sentito prima, mantenendo il tutto ritmico e melodico. E poi Funk E, proprio bravo.
A gennaio suonerai a Milano, come vedi questa data? Che tipo di set hai in mente per l’occasione?
Penso che sarà una pista non troppo aperta alla sperimentazione, per cui spazierò meno e mi adatterò alla situazione. Ci saranno momenti senza cassa, ci sarà house e techno, non ci sarà disco nè troppa soulful house. Poi devo sentire anche chi suonerà prima e come reagirà la gente.
Perché non la disco? Potrebbe funzionare visto il pubbilco “modaiolo” che avrai di fronte…
Ogni pezzo deve essere coerente con quello che ho appena suonato e con quello a cui voglio arrivare, per cui puntando ad un groove più pesante escluderei la disco.
Parlando sempre di suolo italiano, come vedi il passaggio dalla discoteca al club underground, se capisci cosa intendo?
L’Italia è famosa per la moda e questo bilancia il poco interesse per l’avanguardia. Nel senso che ad esempio una città come Milano può e deve dedicarsi alla moda, non deve per forza eccellere anche nella musica underground. Il mondo è vario. Per me discoteca e club sono la stessa cosa, magari impostata in maniera diversa. Ho sentito da poco una teoria per cui il club sarebbe quello piccolo, più intimo, ma non sono d’accordo. Il discorso è che intorno alla parola clubbing si cerca sempre di aggiungere un valore di altro tipo, con quelle espressioni da vocabolario hipster “salviamo il clubbing”, “il clubbing è speciale” come se fosse qualcosa di elitario. Ci sono mille esempi: Loco Dice, un dj “da rave” che suona all’Under300, quindi in generale i party privati o su invito; la Boiler Room che ti fa vedere che ci sono solo settanta persone dietro la consolle… Sono tutti modi per buttarci dentro dell’etica, in qualcosa che dovrebbe essere molto più tranquillo, dovrebbe essere casse, musica e basta. Non c’è bisogno di renderlo così sacrosanto.
Mi accennavi che ti capita di lavorare come ghost producer, cosa pensi di questo fenomeno?
Dal mio punto di vista ci sta perchè devo arrivare a fine mese. Non penso di rovinare il mercato, anzi paradossalmente potrebbe essere un modo per rivalutare la figura del dj. Da Napster in poi i dj hanno perso sempre più visibilità mentre i produttori affacciandosi a un mercato globale hanno raggiunto il successo. Oggi ci sono molti dj forti che guadagnano poco perchè non fanno produzioni. Potremmo ritornare ad una situazione con bravi dj che suonano i pezzi di quelli che sono produttori o ghost producer. E’ il pubblico che decide, è il pubblico a volere il dj/producer, mentre dovrebbero poter essere due figure separate.[/tab]
[tab title=”English”]His name appears in increasingly important label catalogues (Cadenza, Freerange, Be as One, Trapez, Suara, Rotary Cocktail), he’s enjoyable after a minute of conversation, he rings his work with psicoacustic and music-therapy studies, doesn’t stand trends. Born in 1986, grown up in Reggio Emilia, stationed in Berlin. Talking with Francesco Spaggiari (legal name, Ed.) is a hoot, cause of how he arises you can detect his real passion for whatever could be considered sound. He replies in one go, no filtering, directly and so enlightening, you never know what to expect and in the end you realize you just have to let go, just like when you listen to music. Drink this in one shot, you’ll need to read again.
Basing on what you live as electronic scene member, what direction do you think a talented and unknown producer has to pick to have success?
Many of those that watch this trade dream about standing on the decks facing a lot of people, thousands of followers, gigs everywhere, etc (this is nice too). If someone wants to play in his favourite clubs needs to produce music for a year or two to increase his own quality level. If he’s able to stay into a certain genre after this periodo he has to choose best products and send to some good labels and with a couple of Ep he could make the leap. Over maintaining an high production level a secret I learnt late is to keep a trend, but I don’t follow that lightly, cause I care about an important ethical component in my music. And I’m talking about producing, not making art. The other way is just the artist that tries, searches, makes more complicate music. Well, this doesn’t pay immediately because he doesn’t work for ten thousands millions sold copies. He publishes twenty wrong releases, one good, thirty wrong, one good. He farts art, he’s constantly stimolated, pushes music and one day he’ll get a tribute. They are those who don’t make music for business, often be worried about making ends meet, but feel it inside; marketing doesn’t count.
A young dj/producer who moves to Berlin is searching for an exciting, over-celebrated and mythicized ambient composed of top clubs, top labels and artists from all over the world, a culture place that continues to invest on it. How do you live it? What did lead you there? What are the pros today?
I moved here in Erasmus. Honestly I was so ignorant of electronic scene five years ago that I had aimed Frankfurt just because Cocoon was there; but it wasn’t possible while Posdam does, a city near Berlin. I knew Ellen Allien and I connected her with Berlin, I liked Digitalism, so I said “Come on, let’s to go to Berlin to listening some dance music!”. Both of my first flatmates had studied music, while I was coming from Gigi D’Agostino; I had a crazy change, I started to follow experimental music and get increasingly close to that Berlin’s researching mood, I enjoyed the tollerance to who attempts and fails and tries to produce new stuff. This isn’t there in Italy, surely not in my city Reggio Emilia. You are pushed to try here, aren’t forced to get immediate results. You do whatever you want and somebody somewhere saids: “This could be art”. Obviously it’s a wrong starting point, cause everything becomes art in this way and art concept is cancelled, after all it’s a factor that inflences creation, you feel comforted that could be art to someone and when you’ll finish your work will be judged.
Rather it’s difficult to find someone who invests in you in Italy, for example clubs always choose who makes a full house in lieu of an artist to grow over time.
Right, but you’re talking about a purely economic factor present in Berlin too. The difference is that people anyway get in the clubs to dance, here. If one day berliner club managers woke up in Milan they would plan two gigs and stop.
How this collective attention in the German capital has developed?
After Wall’s breakdown the city got a terrible freedom wish that has been regrouping artists from all over Europe and then all over the world. In a place with a layer of preset people not focused on champagne flute’s appearance artwork is treated like if we were all in a big social center, regardless it’s house, techno or classic.
Let’s talk about today’s dj figure: what skills and features he should have?
To me a dj should mix his records in most unstructured possible way to be considered artist. A military parade is definitely anti-art, while you could more easily find art in anything untidy event. So if you play a set that it’s all the same you got very less space to create something good. Otherwise if you play like Ben Ufo, who starts with disco and finishes house-techno, you’re able to express a language. It obviously depends on how much you are allowed to play, it’s impossibile to create an artwork from ten records in one hour selection; in that case it’s just keep the dancefloor.
So how do you behave in djing?
I always try to start with the simple aim of making the people dance, being focused on the situation, but I could play anything: it has happened with some particular records, maybe without kick for six-seven minutes; salsa for example hasn’t got kick but it’s super dancing, like many other musical genres. There is more and more kick anywhere, hand in hand with drogues. When you are in a club you are a brain under memory, attention and many other laws; take for example NYC soulful house, sang and real instrumented: there is much more stuff to pay attention, it’s articulater than Arpiar music, super minimal or that kind of all-the-same techno. Drogues like ketamine are perfect for this kind of music (Villalobos other example), they make you stupider, so short mindful that to be fine you need little variations, loop aesthetic’s jokes. You don’t listen to the music anymore. Techno is quick, with a repetitive loop. If someone took you from a techno dancefloor a put to dance sang-house you’ll feel bad cause your brain isn’t able to follow the sounds.
Who is the best to you?
Talking about those I heard: Nick Hoppner and Ben UFO are most interesting to me. And Gilles Petterson too, he started to research experimental music on BBC, in his first show he has been spacing between electrinic music, ethnic music.
Now I ask you your three favourite ever pieces.
“Clair De Lune” by Debussy, “4’33” by John Cage, “Come Together” by The Beatles.
In a past inverview answering classic question “How do you define your music?” you said: “I make two things: “to listen to” music and club music”. What is distinctive between them?
Club music is useful, it’s a usable product; less than club’s toilets and more than cocktails. It’s important to see its main features, many times it becomes corollary considered as the main important thing. Music “to listen to” is that I feel to make. It’s therapy. It’s something some people must do because they have it inside. And there aren’t limits. Time ago I have tried to make a piace called “Aesthetic structure-free material”, in which I tried to forget all the rest. Going out from repetitions and attempting a different approach has been a training to understand my limits: since I did that I have been stopping just copy/paste my patterns and now everytime I ask myself “What would be appropriate here?”. Recently I’m interested in music proper concept, expressed by experimental music, so more the process than the product. Thanks this, with no entering abstract experimentalism I succeed in open several ways in front of me, to valicate the boundaries. I started to make no-kick music, to play live with a cactus and a radio, I produced an entire album sampling voices and sounds from my one night stands. I’ve tried to extract song times from traffic signals: I run with microphones on my feet following a rhythm in my headphones, so that every step is the kick; so if I meet only green light I’ll get a non-stop track, only kick.
Is the aim of using not-instruments like radio and cactus to make different your performance or it has a precise merit about timbre?
About the cactus I was inspired by John Cage and Diego Stocco; they made music from plants. It’s a new idea and make everything much spectacular. I sampled a violin, but because I really didn’t play it I removed it and only left the bow to play the cactus. But the radio has a meaning: we can say it’s a protest againt the same house music; we used to find differences between two pieces from Saved Records for example, but it’s actually always the same stuff, repetivive, all the same. So I prepare a nice loop (for that it’s enough a bit of experience) and add random samples from the radio, demonstrating that I can drop whatever sound and the result will be good. Even in my new live set I will saw a violin in every performance, to express the “music as time slave” concept: you’ll see it entire at the beginning and destroyed at the end. Besides saw on the wood’s sound is very beautiful, it’s warm.
To you is analogue machine so really undeniable? Why producers cover their studios with synths?
On the one hand it’s a trend, on the other it’s symptomatic about how is difficult to have clear in your head what you want to do: producers rely on a machine to find their sounds but they actually went out “accidentally”. While if you know exactly what to produce (much difficult, I don’t) you go directly to the result, like Beethoven did. That should be the ideal to follow.
So how is your approach to production?
There are three situations in which I can start to produce. One is starting from a concept that I want to express, a message. Another one could start from a melody in my head or even better a melodic phrasing. Otherwise if I feel a particular mood: this is the best moment to produce, cause just touching a sound you realize if “it’s that” or “that’s enough”. Anyway the underpinning is not finding the sound, but the ensemble makes the sound and if you feel inspirated you know immediately what you want, what you miss and don’t work as builder but as an artist.
To your taste, who is the best to give strongness to the groove as much as to the emotional layer?
Four Tet.
Can you indicate a present talent who would deserve more attention to you?
Nice question. I think Grischa Lichtenberger: he succeed in going out from structural rules like I never have heard before, keeping all rhythmic and melodic. And Funk E too, he’s very good.
You’re playing in Milan in January, how do you consider this gig? What set style are you preparing?
I think it would be a dancefloor not too much open to experimentalism, so I’m spacing less and adapting to the occasion. There will be no-kick moments, there will be house and techno, not disco or too much soulful house. Anyway I’ll have to listen to who’s playing before and how the crowd will react.
Why not disco? It could be perfect seeing “fashioned” audience you’re facing…
Every track has to be congruent with just played and with that I want to arrive to, so pointing a stronger groove I keep out disco.
Again in the matter of Italian scene, what do you think about the passage from the “discoteque” to the “underground club”?
Italy is famous for fashion and this balances the lacking interest to avantgarde. In this sense a city like Milan is able and has to dedicate to fashion, it’s not forced to shine in underground music too. World is various. To me discoteque and club are the same thing, maybe set in two different way. I recently heard a theory so that the club is small, more intimate, but I’m not agree with it. Around “club” word everybody tries to add another values, with hipster-dictionary expressions like “save the clubbing” or “clubbing is special”, as if it was something pretentious. There are many examples: Loco Dice, a “rave dj”, plays at Under300, so then in general privat or by invitation parties; Boiler Room that shows you just seventy people behind the decks… All these are ways to insert a sort of ethic into something it’s just speakers, music and nothing else. It’s not necessary to make it so sacrosanct.
You was showing me signs that you sometimes work as ghost producer, what do you think about this freak?
From my point of view that’s good because I have to make ends meet, I dont’ think to ruin the market, rather it could be paradoxically a way to reconsider the dj role. From Napster then on djs have been increasingly losting visibility while producers have got success facing a global market. Today djs earn thin ‘cause they don’t produce. We could return to that situation with good djs that play tracks by producers or ghost producers. Audience decides, it has wanted the dj/producer, while they should can be two different figures.[/tab]
[/tabgroup]