Ritorno in grande stile per Mr. Mathew Jonson, tra i pionieri del sound elettronico fra i meandri della techno. Fondatore di una nota etichetta e del gruppo musicale Cobblestone Jazz, non capisco perché non abbia scelto proprio la sua label per la pubblicazione di “Her Blurry Pictures”, a vantaggio della popolarissima Crosstown Rebels. Un’idea possiamo farcela ma non comprendere appieno sembra abbastanza arduo, almeno per me.
Otto pezzi di un iptnotismo raffinato e minimale compongono questo mosaico di emozioni sonore e non solo che, in certi momenti, mi riportano indietro di dieci anni – buon segno, mi dico: quello è stato un periodo di grande creatività musicale. La traccia d’apertura è strutturalmente assimilabile ai percorsi di “Marionette”, forse il pezzo che ha reso celebre lo stesso Jonson. La differenza fra questa “Level 7” e l’amatissima “Marionette” è nell’anima: il nuovo pezzo non è una traccia da dancefloor, non è un disco concepito con quello scopo. Poi magari ci si arriva, perché no, ma è techno adulta, intrigante e sofisticatamente rude. Balliamo, ok.
“Touch The Sky” propone controtempi e tanto ritmo in “levare”, vociare chiassoso e sincopato e ventate di un jazz che non esiste, jazz d’oltremillennio: un mix di gusti musicali e tributi a mio parere involontari (dentro ci vedo Primal Scream, Gold Panda e l’ultimo John Tejada). Insomma, semaforo verde per quella che voglio definire semplicemente come una bella idea.
Una spremuta d’arancia e siamo alla fine. L’impronunciabile “Lightwieght Champion” è perfetta per un viaggio verso gli angoli più reconditi della mente, un respiro di paura da sei minuti e mezzo. L’inspirazione dura tutta la canzone, l’espirzione sembra non arrivare mai. Roba da Indagatore dell’Incubo, che pure con la musica ha qualcosa a che spartire. Infatti questa splendida traccia, se potessi rinominarla, la chiamerei “Un altro trillo del diavolo, anche in omaggio ai momenti di clarinetto del già citato Dylan Dog. E fra una divagazione e l’altra, sempre in compagnia di buona musica, siamo alla fine. La chiusura porta il nome del disco, e lo porta con grandissimo onore perché i punti di profondità di “Her Blurry Pictures” – sia pezzo che disco – sono notevoli. Magari manca l’acuto, ma ad un musicista con la carriera di Mathew Jonson non mi sento di fargliene una colpa. Le idee ci sono, il disco c’è. Buon ascolto, e buona “visione”.