Quante volte in questi anni la retromania è diventata una cortina fumogena, o una coperta di Linus per chi non ce la fa più a stare al passo coi tempi? Sì: cortina fumogena, perché dietro all’imbellettamento di “citare” generi musicali passati, che fa tanto intelligente&consapevole, si cerca in realtà di azzeccare la moda del momento, il riciclo giusto che ti insomma posiziona fra chi è attuale e “figo”, in un meccanismo tipico della fashion industry che ormai ha infettat… pardon, coinvolto anche l’industria musicale. Ma anche coperta di Linus: perché soprattutto negli artisti (o dj…) più stagionati il fatto di essere cocciutamente legati a determinati suoni – che guardacaso sono quelli che andavano per la maggiore e che hai usato quando sei diventato importante – è spesso solo un modo per nascondere una mesta realtà. Ovvero, che ‘gna fanno più. Sono aggrappati alle certezze ed alle vittorie di un tempo, e non hanno saputo rinnovarsi, attualizzarsi, evolversi, restare attaccati all’ispirazione più che alla celebrazione del proprio successo.
Ecco. Questa premessa è molto necessaria nel momento in cui vi diciamo: ci sono tantissimi anni ’90, nel “Vesuvia” che segna il ritorno di Meg sulle scene con un album a distanza di sette anni da “Imperfezione” (che a sua volta arrivava sette anni dopo “Psychodelice”). Sì. Tantissimi anni ’90. E degli anni ’90 ben precisi: quelli dell’esplosione del clubbing “intelligente”, alternativo, della drum’n’bass, del breakbeat, di Bristol, soprattutto del pop “alieno” (ma molto, molto, molto clubbare anni ’90) dei Lamb, una reference presentissima in questo disco e chissà se intenzionale o acquisita inconsciamente.
Uno dei singoli estratti da “Vesuvia”. Continua sotto
Sì: era negli anni ’90, tra Lamb, Massive Attack, Portishead, Sneaker Pimps e quant’altro, che sembrava possibile unire forma canzone e sperimentazione breakbeat, voce ed atmosfere da sordido clubbing centrosocialista, cantautorato ed iperfuturo. E’ in questo contesto che è diventata “grande” Meg, perché il suo fulminante arrivo nella 99 Posse spostò direttamente ed indirettamente gli equilibri della band dal cazzutissimo ragga-rap da sound system politicizzato a realtà sfaccettatissima e modernista, capace di arrivare a più pubblici (…e infatti, questo successe).
Bene, quasi trent’anni dopo Meg sta ancora lì? Sì, e no. Sì: perché mai come in questo disco – grazie all’incoraggiamento sfrenato di Frenetik alla co-produzione, che pure lui da “quegli” anni ’90 arriva – si è rappropriata dei suoi mondi e delle sue radici sonore di quando aveva vent’anni e c’era l’illusione che l’underground potesse diventare pop senza svendersi, e potesse addirittura cambiare un po’ il mondo (o, almeno, il suono delle radio, oggi diremmo il suono delle playlist di successo e delle views su YouTube). Ma anche, no: perché “Vesuvia” è un disco che non suona per un cazzo datato o nostalgico. Sarà che la nuova leva di producer internazionali più di grido e più iconici è da un po’ che si diverte a ripescare dagli anni ’90 “intelligenti” (da Arca alla compianta Sophie, da Burial a… la lista è infinita), sarà che l’indirizzo sonico dato da Meg stessa assieme a Frenetik – hanno coinvolto partner in crime notevoli, come Tommaso Colliva dei Calibro 35 o i fratelli Fugazza – è assolutamente eccezionale per competenza e sostanza, quello che abbiamo è un album che è perfettamente conficcato nella contemporaneità, grazie a tutta una serie di attenzioni, di cure, di finezze produttive.
Anzi: ci va pure un po’ oltre, se uno considera il contesto italiano. Visto che negli ultimi anni c’è stata, con l’eccezione forse di Cosmo, la dominazione assoluta dell’universo indie, che ha colonizzato i gusti e l’immaginario popolare con degli arrangiamenti carini, didascalini, appropriatini, inutilini mutuati dal pop italiano battistiano (che, di suo, era molto più originale e tagliente dei suoi emuli arrivati decenni dopo), un album come “Vesuvia” suona come un colossale atto di coraggio. E’ pop, in ultima analisi, perché ci sono le melodie, ci sono le canzoni; ma quanta distanza siderale da quello che è diventato il pop di casa nostra, la nuova Repubblica dell’Indie, in cui quest’ultimo, per prendere finalmente il potere negatole nei secoli dagli eterni baglioni, si è alla fine ripulito ed annacquato.
Belle cose, bei discorsi. No? Ma non reggerebbero se le canzoni non ci fossero davvero. Invece, ci sono. Meg non ha perso il gusto un po’ barocco di “complicare” le cose (ma almeno non è caduta negli abissi björkiani, che a furia di voler complicare è diventata invece semplicissima e prevedibile), però si ferma sempre un passo prima del perdere il filo del discorso. Ed è anzi più incisiva, sulla durata complessiva dell’album, rispetto a tutti i suoi LP precedenti. E’ un disco molto compatto, “Vesuvia”, non ha cadute di tono, non ha brani che sono molto meglio (o molto peggio) di altri. Per dire: ascoltandolo, è difficile individuare quale potrebbe essere il singolo di punta.
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Magari non ce ne sarà nessuno, di singolo di punta, e questo ritorno non lascerà una traccia enorme. Certe volte ci vuole anche culo. DI sicuro però lei ha fatto veramente bene stavolta, probabilmente come mai in passato, e veramente bene hanno fatto Frenetik ed Asian Fake tutta: non è certo una scelta facile&scontata, puntare su Meg oggi. Perché appunto: tutti pronti ad impallinarla ed a stabilire che il suo tempo è stato quello di fine anni ’90 ed inizio 2000, e mo’ basta, passiamo oltre, anche perché lei sarebbe “rimasta lì”. “Vesuvia” è la prova provata che lei è rimasta lì come radici, perché ne è orgogliosa, ma è andata come qualità ed attualità tanto avanti rispetto a se stessa e tantissimissimo avanti rispetto al resto del pop italiano. Che poi abbia usato più il trip hop che le trap, come reference, è una colpa? O una mancanza? Vedete un po’ voi.
Ottimo lavoro, davvero. Merita tutto il vostro ascolto e la vostra attenzione. Se Meg vi piaceva allora, oggi con “Vesuvia” dovrebbe piacervi altrettanto se non di più; se semplicemente non la conoscevate, beccatevi questo approccio particolare al pop, approccio molto poco percorso in Italia; e se invece già all’epoca la trovavate leziosa, vabbé, ci sta. Ma peggio per voi: vi perdete un lavoro oggettivamente interessante, in questo 2022. E comunque, nota a margine, sempre più i dischi pop con personalità in Italia li stanno facendo le donne. Come notavamo già.
Foto di Mattia Guolo