Avete presente quello che vi diciamo riguardo certi festival, circa quella sensazione di libertà che non vi forza a seguire una scaletta ben precisa ma vi permette di girare guidati dall’istinto, scoprendo luoghi e nomi che non erano a piano? Beh, se andate al Melt! questa sensazione scordatevela. Non esiste proprio. Al Melt! non si sgarra, perché sgarrare anche solo di un quarto d’ora significa perdersi cose che sono imperdibili. Non puoi permetterti di cazzeggiare al Melt!. Gli stage alla fine sono solo cinque, ma la qualità dei nomi che si susseguono ogni anno in parallelo non consente errori. Devi guardare la scaletta ogni 15 minuti. E dimenticare per tre giorni i normali bisogni fisiologici, che tra le sette di sera e le quattro di mattina diventano di colpo un lusso.
Come quando il pomeriggio del venerdì, quando la calura se n’era andata e prima che i colpi grossi iniziassero, una doccia rinfrescante di preparazione non sarebbe guastata. Solo che già alle cinque il festival sfoggiava come nome d’apertura del primo giorno “Modeselektor Beach Set” e tu no, non puoi resistere alla curiosità di scoprire cos’è un set di riscaldamento firmato Modeselektor (risposta: due ore di droni che ti hanno preparato la testa ad apprezzare l’inaspettato). O come quando domenica mattina, dopo tre giorni passati dormendo non più di quattro ore a notte, una quarantina di ore di sonno in più te le saresti fatte, ma guarda caso alle nove avevi mezzo occhio sinistro aperto e lo Sleepless Floor situato prima dell’ingresso del festival dava DJ Tennis fino alle 11:30. Che fai, ti giri e ti riaddormenti? E ti perdi uno dei momenti di riconciliazione col mondo più netti di tutto il festival? No. Alla fine al Melt! i bisogni del corpo diventano secondari. Infatti il momento-simbolo di tutta quest’edizione stavolta è stato prima ancora che il festival iniziasse, nel Melt! Mixery Train preso il giovedì, quando alle cinque del mattino una povera ragazza implorava in corridoio i reduci dal party wagon di parlare piano perché lei aveva bisogno (“bisogno!”) di dormire e uno dei ragazzi le ha risposto tranquillo e convinto: “Non arrabbiarti, dolcezza. Love is the answer. Always.”
Love. L’amore al Melt! si percepisce. Ha le forme della sintonia che i ragazzi hanno con i luoghi, i suoni, le varie dimensioni dell’esperienza festival, che può essere sì uno dei festival dall’offerta più variegata e autorevole d’Europa, ma anche weekend di camping con gli amici o mattina in spiaggia. L’abbiamo visto, l’amore, più volte. L’abbiamo visto nella risposta di pubblico tutte le volte che in questi tre giorni è venuta fuori la disco, nei set di un Jamie xx come nei ministage dedicati con tanto di palla appesa (sì, è un suono di nuovo amato, e si porta dietro tutte quelle libertà espressive che celebrano il rapporto libero con la musica, inclusi maschietti con le paillette e occhiali improbabili; e no, Moroder non c’è entrato proprio nulla, ve lo ripeteremo più sotto). L’abbiamo visto quando sono emersi i set più emotivi e il pubblico non si è tirato indietro, lasciandosi trasportare in tutta sensualità e celebrando il fatto di essere tutti parte di un momento da condividere, lì, in quel momento (è successo con Dorian Concept sabato pomeriggio, il mood potevi toccarlo, ci siam quasi commossi). L’abbiamo visto nell’energia presente allo Sleepless Floor, che 24 ore su 24 ha raccolto in comunione chi non ne aveva mai abbastanza, sfoderando nomi che di seconda categoria non avevano proprio nulla: Pete Tong, Ellen Allien, Massimiliano Pagliara, Dekmantel Soundsystem, DJ Tennis, Hot Since 82.
E son cose che al Melt! non cambiano mai, anno dopo anno. Son sempre conferme. Al Melt! passa sempre di tutto, dai momenti di energia scatenata alle parentesi più emotive, dai set più curiosi a quelli in cui eri lì per avere qualcosa e quello hai avuto. Dalle cose più esplicitamente dance agli act indie e pop, così da accogliere e far divertire il pubblico più ampio possibile. Con quel paio di nomi blasonati che creano sensazionalità, il giusto quantitativo di act minori che ti invoglia alla scoperta e lo zoccolo duro di professionisti che non sbagliano mai. Tutto accompagnato da un’organizzazione sempre perfetta e pure una bella scelta in area food. È tutto questo che fa prendere così bene i ragazzi al Melt! e li fa tornare gli anni dopo, rendendo anno dopo anno il pubblico un mix sempre più bello di vecchi conoscitori e nuovi arrivati. Non delude mai, il Melt!. Resta sempre un’esperienza provante e selvaggia, ma ne vale sempre la pena. Grazie ai singoli, che ora vi andiamo a raccontare, ma più in generale grazie all’insieme di tutti gli elementi, a generare un’armonia e un mood difficili da replicare. E, cosa più importante di tutte, è solido come la pietra, non ti dà nessunissima sensazione che le cose possano cambiare negli anni a venire, come invece sta accadendo ad altre realtà in giro per l’Europa. Almeno questo è l’auspicio di tutti.
I momenti di amore puro
Dorian Concept: Il suo brano era stato scelto come soundtrack del trailer del festival, e quando l’ha messo in effetti il cerchio si è chiuso. Il suo set ha prodotto un’energia emotiva che ha fatto presa all’istante e a un certo punto il colpo d’occhio era spettacolare, con centinaia di ragazze muoversi sinuose, rapite dalla sensualità della musica, e altrettante centinaia di ragazzi che invece di gettarsi a due piedi nel gioco del flirt son rimasti per un attimo a guardare lo spettacolo. La purezza che ti incanta, per la quale non hai più bisogno di nulla. Esoterico.
Bonobo: Il suo stile lo conosciamo, fatto di cambi passo e gusti di classe, e se il pubblico è preso bene e l’ambiente è quello giusto non c’è volta che non possa funzionare. Figurarsi cosa può succedere arrivati al sabato, quando il buio cala, l’aria si fa finalmente fresca, dal lago la brezza risale sulla spiaggia che ospita il palco e la gente inizia a pregustarsi una notte di musica di qualità e fantasia. Noi ce lo siamo voluti gustare dalla collinetta che sovrasta la spiaggia, volevamo vedere la visione di insieme, fatta di ragazzi felici di essere lì, ballare a piedi scalzi una danza senza eccessi, solo con tanto trasporto. Celestiale.
La tenebra e la paura
Autechre: A un certo punto al Desperados stage sembrava che qualcosa stesse andando storto. Dovevano esserci gli Autechre lì in quel momento, eppure è tutto spento e non noti tanto movimento. Poi ti avvicini e realizzi: sì, è tutto spento. E gli Autechre son lì in mezzo, a fare il loro live. Completamente al buio, lasciando il pubblico confuso e disorientato in pista, ad affannarsi cercando di ballare la musica più sregolata e inafferrabile mai sentita. Non c’è una luce nemmeno per sbaglio. Ma c’è un’ora di musica che ti seziona. Demoniaci.
Evian Christ: uno dei set più affascinanti del festival, una musica aggressiva con tratti di follia, riversata su una pista che è stata immersa appositamente in una spessa colte di fumo, abbagliata costantemente dai riflettori e rifondata nel buio subito dopo. Entrare in quella nebbia enigmatica ti dava la sensazione di starsi lasciando qualche certezza alle spalle. E una volta dentro, ti sembrava di partecipare a un rito sabbatico. Maledetto.
I punti interrogativi
Giorgio Moroder: ovvero, la nuova definizione del concetto di pattume applicato al dj set. Fiacco, molle, per la sua personale autocelebrazione mischia senza connessioni le sue hit del periodo con Donna Summer, pezzi house moderni e classici anni ’90, e ogni pezzo era rivisitato in chiave banale da una cassa noiosissima che riduceva tutto ai minimi termini. Il pubblico era lì più per capire che per godersela. Qualcuno rideva, altri erano parte del teatrino dell’impalpabile come parte dello stesso sistema. Il Melt, si sa, al sabato offre sempre un paio di nomi di rilevanza enorme, e quest’anno pensavamo che l’oggetto primo delle attenzioni fosse lui. Invece il mondo è esploso di felicità solo dopo, quando Kylie Minogue ha fatto Kylie Minogue e diecimila persone cantavano felici. Nonostante la cura soporifera di qualche minuto prima, applicata da Moroder. Superato.
Jamie xx: ha gusto, e si sa. Lo sa il pubblico e lo sa anche lui. Lui però sa anche di essere un vip della scena musicale avanzata e si sente sicuro di poter fare qualsiasi cosa. Col risultato che il set è tutto tranne quel che il pubblico può volere da Jamie xx: è disco classics, è dance emotiva, è momento ambientale. È una cosa diversa ogni pezzo, tante, troppe cose messe insieme seguendo solo l’istinto dell’artista. E quel che accade è che hai la sensazione netta che il DJ lì è focalizzato prima di tutto su sé stesso e sulle proprie sensazioni del momento. Il pubblico, se anche non ci fosse stato non sarebbe cambiato nulla. Va benissimo ai fan, un po’ meno a chi cercava qualcosa di specifico. Egocentrico.
Gli scatenati e gli ispirati
Siriusmodeselektor: Incredibile quanto successo sabato notte al Desperados stage. Nel senso che la combinazione Siriusmo + Modeselektor la conosci e l`effetto te l’aspetti, eppure la reazione del pubblico quella sera aveva lo stesso dell’incredibile. Loro hanno usato tutto il loro corollario di bombe electro-techno, attingendo a piene mani dalla loro discografia e usando quei noti espedienti caratteristici dei loro show (esatto, il pubblico era inzuppato). E per noi sotto è stata un’ora e mezza di headbanging senza freni. Ma con un sorriso in faccia che era l’immagine della pace raggiunta. Incorreggibili.
Cashmere Cat: Il ragazzo ci sa fare, eccome. Ha dinamismo, energia e la capacità di risultare sempre sorprendente nelle scelte. Ha uno stile con cui non riesci a prendere mai completamente confidenza, e questo rende le cose ancora più eccitanti. Ti fa scattare l’adrenalina, come fossero le montagne russe. Magari ci sei già stato in passato, ma da come senti il sangue scorrere in quel momento capisci che per il tuo corpo è puro divertimento inaspettato. Irrequieto.
Le sorprese e le curiosità
Claptone: Il talento berlinese ci era già noto, ma è stato ancora una volta un piacere vederlo all’opera. Perfettamente in equilibrio tra selezione di ricerca e scelte di pancia, precisissimo nel modo in cui fa evolvere il set gradualmente e, sopra ogni cosa, un maestro per come riesce a coinvolgere il pubblico. Tenendo gli spazi e sfruttandoli a dovere, alternando momenti di focus sulla musica ad altri in cui si concede un rapporto diretto col pubblico. Si fa tanto parlare del DJ entertainment come una cosa negativa, ma quando passi di fronte a Clapton capisci come dovrebbe essere la vera accezione benefica di tale pratica. Leader.
La Roux: Doveva essere il festival del successo di quegli act indie-like come Jamie T o Kwabs, ma la verità è che il pubblico più coinvolto e appassionato per stavolta se lo son presi i La Roux. Senza fare niente di stratosferico, peraltro, semplicemente cantando i pezzi dei due album, che ovviamente dal vivo hanno una resa formidabile. Certi casi sono un successo per natura, quella rossa lo sa e ormai ha anche la confidenza sufficiente a gestire tutto senza alcuna incertezza. Catalizzatrice.
I partystarter
Scuba: Il primo giorno c’erano già stati il set di benvenuto dei Modeselektor e pure i Dark Sky, ma di fatto il festival ha ingranato la marcia giusta quando quell’uomo di nome Scuba e salito dietro la console al Big Wheel stage, ha inforcato un paio di Ray Ban che manco Miami Vice e ha tirato fuori il suo solito set perfetto. Fatto di tutti gli elementi che possono far presa, tra piccoli assaggi di tribalismo, nuance deep e tanta tech-house di classe. Il pubblico sembrava muoversi sotto le sue mani. Burattinaio.
XXXY: Prima dell’apertura dei cancelli, il sabato è arrivata una violenta grandinata che per un quarto d’ora ha generato piccoli momenti di panico, soprattutto nell’area camping. Dopo essa, tre ore di sole caldo in cui tutti han solo pensato ad asciugarsi i vestiti. Fatto ciò, XXXY ha scaldato gli animi. Un calore dance avvolgente che ha fatto dimenticare le disavventure di qualche ora prima, metà del pubblico in pista era sporchissimo ma che importa. La riconciliazione col mondo era completata. Sciamano.